20/11/2017
Camera dei deputati, Aula del Palazzo dei Gruppi parlamentari

Partecipazione alla presentazione del libro 'The challenge of the digital economy', a cura di Francesco Boccia e Robert Leonardi

Buon giorno a tutte e a tutti.

Saluto il Presidente del Parlamento Europeo Antonio Tajani, e gli autori del libro, il Presidente della Commissione Bilancio della Camera Francesco Boccia e il Professor Robert Leonardi.

Saluto le autorità, i parlamentari e tutti i presenti. Saluto il Presidente Brunetta.

Oggi parliamo di un libro interessante, che ci porta direttamente nella nostra contemporaneità: "The challenge of the digital economy". Si afferma che ormai la rivoluzione digitale, intrecciata con i processi di globalizzazione, ha portato un cambio radicale nell'economia mondiale, così come ha radicalmente modificato il mondo dell'informazione, le attività commerciali, la ricerca, gli stili di vita di ciascuno di noi. Tutto è orami in via di cambiamento

E tutti sappiamo due cose : che siamo solo agli inizi di questo processo e che le innovazioni si stanno succedendo con una rapidità finora inimmaginabile.

Non è affatto sbagliato definirla una rivoluzione, perché di questo si tratta. E viene spesso paragonata ai passaggi d'epoca che in precedenza hanno segnato i più radicali cambiamenti nella produzione industriale e nell'organizzazione sociale.

Quando la storia ci presenta questi passaggi, ci si divide sempre, avrebbe detto Umberto Eco, tra "apocalittici e integrati". E cioè tra chi si ritrae spaventato, si chiude perché "è troppo", e chi invece si lascia andare a qualsiasi ottimismo senza preoccuparsi delle conseguenze del cambiamento stesso.

La politica dovrebbe giocare un ruolo importante, senza lasciarsi andare all'emotività dell'uno o dell'altro segno. Non può rifiutare il cambiamento, in quanto ne uscirebbe travolta. Ma non può non interrogarsi sulle sue conseguenze, perché la politica deve governare i cambiamenti.

Quello delle regole per Internet e per la rivoluzione digitale è uno dei principali problemi della politica mondiale.

Quando si è cominciato a parlare di regole qui alla Camera c'è stata una levata di scusi: "non se ne parla, c'è incompatibilità tra la rete e le regole. Il prezzo sarebbe troppo alto, uccidere la libertà: perché la rete è libera". Questo era l'atteggiamento di chi non voleva comprimere lo spazio digitale tra 'paletti' che altri invece consideravano necessari.

Ora mi sembra che molti abbiano rivisto la loro convinzione, questa posizione, perché l'assenza delle regole, come sempre, favorisce i più forti; l'assenza delle regole crea disuguaglianza, e in questo libro, infatti, si parla di disuguaglianza. L'assenza delle regole dà al più forte la possibilità di imporsi.

Non sono quindi le regole, ma al contrario la mancanza delle regole a compromettere il carattere libero ed egualitario della rete. In questo libro si parla di questo tema, perché non c'è dubbio che la rivoluzione digitale dia una grande opportunità per conoscere, per comunicare, per vivere meglio; ma, appunto, le regole servono anche in questo spazio .

E servono ad evitare che queste innovazioni compromettano quei diritti e quei principi sui quali sono costruite le nostre società. Non si può concepire una rete che vada oltre i principi e i valori delle nostre Costituzioni, ad esempio. Perché altrimenti noi arriveremmo al far web, cioè il luogo dove è possibile tutto il contrario di quello che noi abbiamo stabilito in secoli di civiltà.

Faccio alcuni esempi.

La web tax. E' l'elemento centrale di questo libro, che in qualche modo scaturisce anche da riflessioni e approfondimenti, fatemelo dire, che abbiamo fatto proprio qui alla Camera, in occasione delle iniziative parlamentari per il semestre di Presidenza italiana dell'Unione Europea nel 2014.

E qui abbiamo fatto una particolare sessione su questo tema, cioè una Conferenza Interparlamentare sul coordinamento delle politiche fiscali. Il Professor Salvatore Biasco, il cui intervento aggiornato è nel libro, fece un approfondimento proprio su questo tema che io trovo molto interessante. I giganti della rete fanno leva su un principio molto chiaro: la "non stabile organizzazione". Siccome sono di "non stabile organizzazione" si sentono titolati a eludere le imposte nei Paesi nei quali fanno business.

E quanto costa all'Italia tutto questo? L'Ufficio Parlamentare di bilancio - che è un ufficio autonomo, terzo - ha fatto uno studio per cui mancano all'appello del gettito fiscale ogni anno 5-6 miliardi. Una quantità ingente di denaro, con cui potremmo fare molte cose utili nel nostro Paese.

Quindi la web tax è una misura di equità e di giustizia, perché invece i lavoratori dipendenti e le imprese stabilmente presenti sul nostro territorio le tasse le devono pagare e se non le pagano ne devono rispondere.

Ma è anche una misura che risponde al principio della libera concorrenza, perché nella situazione attuale si determina distorsione del mercato e concorrenza sleale. Se alcune aziende pagano le tasse, e le pagano a caro prezzo, e altro possono non farlo, questa si chiama concorrenza sleale.

Anche la rivoluzione digitale deve inquadrarsi in una cornice di rispetto, di giustizia sociale, di equità e di libera concorrenza.

E, per fare un altro esempio, questa rivoluzione deve rispettare la dignità e i diritti di chi lavora. Segnalo un problema immediato e uno più di prospettiva.

Quello immediato riguarda i servizi low-cost, che utilizzano ampiamente la rete come sistema di delivery.

Il servizio è low-cost, ma noi ci chiediamo perché lo è? E' low-cost perché ci sono lavoratrici e lavoratori low-cost che non hanno diritti, zero diritti. Io parlo senza esitazione di "caporalato digitale". E' accettabile nella nostra società che questo avvenga sotto i nostri occhi? In nome di che cosa? Di un'innovazione che dovrebbe invece emancipare, anziché azzerare garanzie e certezze che abbiamo costruito con anni e anni di civiltà giuridica. E questo credo sia ancora più intollerabile nel nostro Paese, visto che questa è una Repubblica fondata sul lavoro. La contraddizione è ancora più pesante.

Poi abbiamo un problema più di prospettiva: riguarda le conseguenze della robotizzazione.

Siamo pieni di ricerche che ci dicono cosa succederà da qui a dieci, a venti, a cinquanta anni, quanti lavori non ci saranno più, come sarà e quale sarà la qualità del lavoro. Ci sono due temi che qui dobbiamo affrontare: quello dei mestieri che scompariranno e quello del fatto che molti dei nostri figli dovranno abituarsi a cambiare più e più volte lavoro, fino a sei-sette volte nel corso della vita.

Non mi lamento del fatto che alcuni lavori scompariranno: lavori routinari, alienanti, ripetitivi. Non ne sentiremo la mancanza. Però dobbiamo porci anche dei problemi riguardo ai livelli di istruzione, ai livelli di formazione e aggiornamento, al sostegno al reddito che dovranno avere le persone, i nostri figli, quando cambieranno lavoro. Come vivranno se dovranno cambiare così spesso lavoro? Il sistema pensionistico come dovrà reagire rispetto a questo?

Dobbiamo garantire, anche nell'era digitale, che i diritti e la dignità di chi lavora non vengano stracciati completamente.

Nell'industria 4.0 dovrà esserci anche un sindacato 4.0, capace di far rispettare questi diritti nel nuovo scenario. E dovrà esserci anche un welfare 4.0 che sostenga le persone in questo passaggio d'epoca.

Care amiche e cari amici, la legislatura sta volgendo al termine e sono contenta di poter dire che in questa legislatura noi abbiamo voluto affrontare il tema digitale. E' necessario farlo. Quando sono entrata qui e sono diventata Presidente, la prima cosa che ho notato è che la Camera dei deputati non era sui social network. Non era facile comunicare con la Camera, i giovani avevano difficoltà a farlo. E allora ci siamo attrezzati e siamo subito passati all'azione: abbiamo capito che bisognava essere presenti almeno su Facebook, su Twitter e su Flickr.

Poi le Commissioni permanenti: ne abbiamo 14, non ce n'è una sugli affari digitali, sull'innovazione. Quindi ho pensato di istituirne una ad hoc, fatta di deputati ma anche di esperti che venivano da fuori perché è un segnale di apertura dell'istituzione in un tempo di anti-politica, è importante portare nel palazzo le migliori expertise. E quindi abbiamo fatto una "Commissione sui diritti e i doveri di internet" che ha prodotto una sorta di carta costituzionale sui principi dell'era digitale. Fu il Professor Stefano Rodotà, scomparso nel giugno scorso, a coordinare il lavoro di redazione della Carta. Noi ricorderemo il Professor Rodotà con una grande iniziativa qui alla Camera il prossimo 27 novembre.

Quella Commissione, dicevo, ha prodotto una Carta che poi è diventata una mozione, approvata all'unanimità nel novembre del 2015. Ci sono in questa Carta 14 articoli, che rappresentano una vera road map dei diritti nell'era digitale. Siamo arrivati a definirli, questi articoli, in un modo totalmente innovativo per questo Parlamento: abbiamo fatto la prima consultazione pubblica on line su un documento parlamentare, non era mai accaduto prima. Quella bozza di Carta dei diritti prima di finalizzarla l'abbiamo messa a disposizione dei cittadini e che hanno espresso a migliaia pareri, contraddizioni, hanno evidenziato carenze, e hanno dato un contributo che abbiamo poi inserito nel testo finale della Carta. Con la mozione il Governo si è impegnato a dare séguito e a promuovere quei principi che sono contenuti nella Carta.

Ma la Commissione Internet non ha concluso il suo lavoro. Fa una cosa irrituale: esce dal palazzo, va nelle scuole, insegna ai ragazzi un uso responsabile della rete. I deputati, le deputate, gli esperti, insieme fanno questo e anche ciò credo che sia alquanto innovativo.

Abbiamo poi chiamato in causa le grandi piattaforme digitali, perché in questo momento loro non possono chiamarsi fuori. Fanno enormi ricavati, business ovunque, hanno un grande potere e dunque una grande responsabilità. Li abbiamo chiamati anche alla Commissione Jo Cox - un'altra Commissione che ho voluto istituire sui fenomeni d'odio, dedicata alla deputata laburista uccisa dall'odio politico. L'odio è un problema e trova un veicolo di diffusione anche e soprattutto nelle grandi piattaforme digitali, che non sono delle semplici autostrade ma, a mio avviso, media company; e come tali devono rispondere, sempre per il principio di non fare concorrenza sleale.

Questa Commissione ha prodotto una relazione, "La piramide dell'odio". E nella "piramide dell'odio" c'è posto per tutti; ci sono 56 raccomandazioni, rivolte alle istituzioni italiane e europee ma anche alle grandi piattaforme digitali. Se veramente vogliono fare sul serio nei confronti dell'odio devono investire risorse e tecnologie.

Da ultimo ci siamo impegnati qui alla Camera sul fenomeno delle fake-news.

Le fake news sono una minaccia alla democrazia. Le fake news sono gocce di veleno. Le fake news alterano l'opinione pubblica, i meccanismi della sua formazione, quindi il consenso e il dissenso, manipolando i cittadini perché si servono della menzogna. Le fake news hanno come obiettivo il caos. E dunque è un grande problema quello che noi abbiamo affrontato qui alla Camera. Un lungo percorso iniziato con un appello, rivolto a tutti i cittadini, #bastabufale. Migliaia di cittadini ci hanno detto: andate avanti, perché hanno capito che essere informati correttamente è un diritto, essere disinformati è una minaccia al loro diritto e alla democrazia stessa.

Da lì poi abbiamo fatto un tavolo di lavoro con tutti i soggetti che possono fare la differenza nella disinformazione. Dico Confindustria, perché se le aziende non fanno pubblicità nei siti che usano le bufale questi siti avranno poi poco da vivere. Abbiamo coinvolto la Rai, perché il servizio pubblico deve essere più impegnato. La Federazione degli editori, perché se i giovani giornalisti non vengono pagati adeguatamente, se prendono 10 euro a pezzo, non si può pretendere che poi facciano anche il riscontro della fonte. Quindi è una raccomandazione a investire di più nella buona informazione.

E poi abbiamo coinvolto le piattaforme digitali come Facebook e Google. Questa sinergia, dopo i tavoli di lavoro tecnici e scientifici, ci ha consentito di far partire il primo progetto di educazione civica digitale. E' stato avviato in Italia, più di 4 milioni di ragazzi potranno usufruirne. Con la ministra Valeria Fedeli, il 31 ottobre al Liceo Visconti di Roma, abbiamo lanciato questo progetto che vuole dare ai ragazzi gli strumenti per districarsi in un mare di falsità, per capire quello che è vero e quello che è falso, per diventare loro stessicacciatori di bufale, scoprire le bufale, renderle note nei loro account e spiegare agli altri come non cadere nella trappola della menzogna. Lo abbiamo fatto perché riteniamo che i cittadini non possano essere manipolati come marionette.

Questo libro, così come quello che noi abbiamo fatto in questi quasi 5 anni, ha un valore perché richiama il tema generale della lotta contro le diseguaglianze che è centrale per il futuro della nostra società.

Perché la distanza non è solo tra chi ha e chi non ha, è anche tra chi sa e chi non sa, chi può avere accesso alla rete e chi non lo ha. Il digital divide è il nuovo volto della disuguaglianza.

E c'è un'enorme distanza tra chi usa la rete per allargare i propri orizzonti, per fare partecipazione democratica, e chi usa invece la rete per delegittimare, per infangare, per creare caos e per manipolare i cittadini.

Purtroppo la politica, a mio avviso, non ha ancora colto l'importanza di questo tema, non lo vedo al centro del dibattito, che si incentra su tutt'altro. Pochi, pochissimi deputati, deputate o soggetti politici ne fanno una questione di confronto politico. Vedo qui la deputata Nunzia de Girolamo, che so aver presentato recentemente una proposta di legge; ci sono anche altri deputati che hanno consapevolezza, ma questo tema non riesce a imporsi nel dibattito.

Credo invece che serva più consapevolezza, più convinzione: perché questo sarà il tema del futuro, e la politica sulla questione deve poter avere una posizione. Questo libro aiuta a orientarsi. Grazie.