18/11/2017
Torino, Cinema Massimo

Intervento in occasione dell’incontro di chiusura del ‘Gruppo Abele Social Festival 2017’ dal titolo ‘Fare Società oggi. Socializzare i problemi, socializzare le opportunità’

Buongiorno a tutti e a tutte. Sono molto contenta di essere qui stamattina.

Saluto e ringrazio Franco Floris, Direttore della rivista che promuove il Social Festival. E ringrazio anche Mauro Berruto per il contributo che ci ha voluto dare: è stato interessante sentirlo parlare di vittoria, di team, del vedere le cose da un'altra prospettiva. Perché infatti è così la vita: quando ci si mette nei panni degli altri si vedono le cose diversamente. Lo sport sicuramente è un modo per testare la persona: è bello quando si vince, è bello quando vincono questi atleti. E ci sono anche tante atlete donne che vincono nella scherma, nel nuoto, in tante discipline. La vittoria è qualcosa che anima tutti, uomini e donne, avere il desiderio di mettere in pratica quello a cui si aspira da sempre: "desidero questo, io lo farò!". Ecco, questa è una prerogativa, oggi, sempre di più anche delle ragazze. Le ragazze non hanno più paura di affermare i loro desideri e di sperare che un giorno i loro desideri diventeranno realtà.

Ringrazio "Animazione Sociale" per l'invito, perché non era scontato. Oggi si parla, tra gli altri temi, di "fare società" e per parlarne si invita la Presidente della Camera. Società e istituzione sono due dimensioni che in una lettura manichea, che va molto di moda in questi tempi, quasi si contrappongono, sono antitetici nella semplificazione per cui la società è buona, le istituzioni e la politica sono cattive e sorde. Da una parte c'è chi è buono, da una parte c'è chi è cattivo. Io vengo dalla società, ho lavorato 25 anni per le agenzie delle Nazioni Unite, ho lavorato in tante crisi difficili del nostro pianeta degli ultimi anni e ho lavorato anche nel nostro Paese: dando voce alle persone che arrivavano e continuano ad arrivare, quasi sempre perché non hanno scelta, perché nessuno decide di lasciare casa propria con leggerezza, perché sono condizioni di pericolo quelle a cui si va incontro.

A un certo punto dalla società sono entrata nelle istituzioni: dopo tanti anni di lavoro fatto in prima linea mi hanno chiesto di portare quei valori nell'istituzione. E certamente non potevo immaginare che al secondo giorno da deputata sarei diventata la terza carica dello Stato. Ma non è Laura Boldrini che è diventata presidente della Camera: sono i valori che Laura Boldrini rappresentava e rappresenta, valori che in quel momento erano considerati centrali. Quei valori sono l'inclusione sociale, sono il rispetto, sono la pari dignità, sono la comunità e l'uguaglianza.

Per questo sono qui oggi, perché voi mi avete invitato a fare una chiacchierata su un tema che ci ha accumunato e che io penso oggi ancora ci accomuni, nonostante le diverse posizioni. La politica e le istituzioni sono lo specchio della società, non sono altro che questo. Non è che chi entra a Montecitorio a un certo punto si ammala di uno strano virus e diventa peggiore di quello che era prima di entrarci: se prima era una brava persona con dei valori e dei principi, continuerà a esserlo. Se prima non lo era, non lo sarà neppure a Montecitorio.

In questo senso penso che la società e le istituzioni abbiano un avversario in comune, che si chiama individualismo. L'individualismo fa male. Torna alla mente la celebre frase di una donna che ha segnato una parte di storia dagli anni Ottanta a ora, la sua cifra è rimasta scolpita. La donna si chiama Margareth Thatcher e la sua affermazione dice: "la società non esiste, esistono solo gli individui".

Quando quella frase venne pronunciata da Margareth Thatcher io ero una ragazza, come voi che siete qui in tanti, ma quella pagina di storia ancora persiste.

E non mi riferisco soltanto a un modello economico neoliberista, ma alla scala sociale di valori che quella frase ha posto al centro. Una scala sociale di valori per cui il culto dell'io si impone su tutto il resto. L'economia dei pochi, non dei molti. Paolo Vi diceva che l'economia deve essere al servizio dell'uomo. Adesso il frame si capovolge e diventa il contrario.

Però oggi possiamo vedere tutti i limiti di questa impostazione. L'idea di far arricchire pochi perché poi c'è uno "sgocciolamento" verso il basso non ha funzionato: perché quello "sgocciolamento" - come dicono appunto gli economisti anglosassoni - non c'è stato. Non ha funzionato perché abbiamo visto che abbattendo i diritti dei lavoratori - in un tempo in cui oggi noi siamo tutti precari - e indebolendo i sindacati non c'è più benessere, non c'è più lavoro.

Che quel sistema non abbia funzionato ce lo dicono anche molti osservatori. Ce lo dice Oxfam, che nel suo Rapporto annuale fa una proporzione: due anni fa ci volevano i 62 più ricchi del pianeta per fare la ricchezza della metà più povera del mondo; l'anno scorso ne bastavano 8, di ricchi, per fare la ricchezza di 3,6 miliardi di persone. 8 persone hanno la stessa ricchezza di 3,6 miliardi di persone. Capite che in questo contesto, con questo paradigma, crescono le disuguaglianze e crescono in vari modi: crescono fra nord e sud del mondo, crescono all'interno dei vari paesi, crescono tra nord e sud del paese, crescono tra uomo e donna. I volti delle disuguaglianze sono tanti.

La stessa cosa che ci dice il rapporto Oxfam ce la dicono anche il World Economic Forum di Davos e il Fondo Monetario Internazionale. L'eccesso di disuguaglianza - oltre ad essere un problema etico, e già sarebbe abbastanza - è diventato un problema economico: perché se i ricchi sono così pochi, se si assottiglia la classe media, se aumenta la povertà, ma come si fa a rimettere in circolo l'economia e i consumi? Ma quanto dovranno consumare mai, questi otto ricconi del mondo? Chi potrà riuscire a consumare così tanto da consentire una ripresa economica?

E abbiamo visto come il paradigma non abbia funzionato neanche a livello europeo. La politica economica dell'Unione europea si è fossilizzata sul dogma dell'austerità. Vedo Cécile Kyenge, la cara amica eurodeputata, lo sa bene Cécile, che cosa è oggi la politica economica europea. Il paradigma dell'austerità è stato quello che ha contribuito di più alla crescita delle disuguaglianze in molti paesi europei.

Arriviamo a casa nostra. Gli indicatori del Pil ci dicono che siamo tornati in positivo, ma se questo accade non vuol dire che le disuguaglianze si siano ridotte. Il Pil può aumentare, ma con l'aumento del Pil può aumentare anche la disuguaglianza, perché la ricchezza si concentra nelle mani di pochi, non si ridistribuisce.

In Italia oggi i numeri purtroppo parlano molto chiaro: abbiamo ancora 4 milioni 700mila persone che vivono in assoluta povertà, o meglio sopravvivono. Su questo c'è da fare qualche ragionamento. Due giorni fa ero con il caro don Ciotti ad Ostia, per manifestare la vicinanza ai cronisti e alle croniste che cercano di fare il loro lavoro e che in certi territori rischiano. E don Ciotti ha fatto un intervento molto appassionato: "sento parlare di 'sofferenze bancarie' - ha detto - e vedo che si trovano i miliardi per lenirle. Mi chiedo quando avverrà lo stesso per le sofferenze umane". Negli ultimi anni siamo arrivati a concepire categorie di lavoratori che prima non esistevano: li chiamano i working poors, i lavoratori poveri. Cogliete la contraddizione di questo termine? Il lavoro non dovrebbe tirar fuori le persone dalla povertà, invece di tirarcele dentro? Come si fa a lavorare e poi non avere una vita dignitosa? Qual è quel meccanismo perverso per cui si lavora ma quel lavoro non ha valore e tu sei continuamente in affanno, continui a essere povero nonostante il lavoro?

Il maxiprecariato digitale io lo chiamo caporalato digitale. Ci piace il low cost, ci piace spendere di meno. Ma noi ci chiediamo perché costa di meno? A che prezzo noi spendiamo di meno? Ma sappiamo quanto pagano le persone che ci sono dietro a quei servizi? Stipendi da fame, mancanza totale di rispetto dei diritti, precariato assoluto. Questo è un sistema abbastanza spaventoso. Poi ci meravigliamo che non si facciano figli, c'è il record negativo di natalità. Lo scorso anno, vorrei ricordarlo, sono nati 474mila bambini e bambine: siamo non al livello zero, siamo sotto zero. Un paese che non fa figli è destinato al declino, e un paese che non si occupa di questo non ha una visione di medio e lungo termine, non fa squadra. Perché non si fanno figli? Le nostre ragazze e i nostri ragazzi non hanno più desiderio di fare figli, di fare una famiglia? No, non è questo. Ma come si fa a mettere su famiglia, se poi non si sa come si potrà mantenere un figlio? Se le donne non lavorano non si fanno neanche i figli. Non è vero il contrario, che se lavorano non fanno figli. E' vero invece che se non hanno un lavoro non fanno figli. E questo è un problema molto serio per la nostra società.

E' questa la società che vogliamo? Una società dove si vive ognuno per sé, dove non c'è neanche l'idea della comunità, del nucleo più stretto di comunità che è quello della famiglia, perché non si ha la possibilità neanche di immaginarsela, una famiglia.

Io penso di no, che non sia questo ciò che vogliamo, che non vogliamo vivere così. E allora che fare? Come uscire da questa condizione? Credo che non bastino gli aggiustamenti messi lì anno dopo anno, piccole correzioni di rotta. Bisogna cambiare il modello di sviluppo. Essere radicali in questo, non estremisti ma radicali. Capire che questo modello di sviluppo non funziona.

Bisogna andare alla radice: perché non funziona? Le strade percorse finora tutto hanno fatto meno che farci vivere bene: noi non viviamo più bene, siamo tutti sopraffatti dai problemi, tutti chiusi nel nostro microcosmo; noi non viviamo bene perché la nostra società è diseguale, perché è ingiusta e perché ci rende tutti infelici. Come si fa? Bisogna affermare un diritto semplice e antico: il diritto a stare bene tutti. Noi dobbiamo affermarlo questo diritto, perché oggi non stiamo bene. Ed è un diritto antico questo, che ci porta secoli indietro: se ne trova traccia come diritto al "perseguimento della felicità" nella Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d'America. Era il 1776 e si parlava del "perseguimento della felicità", il diritto a stare bene. Noi dobbiamo capire come poter affermare questo diritto.

Io ho visto gente che lo afferma, questo diritto, ho visto all'opera chi ogni giorno fa di tutto per affermare il diritto a stare bene. L'ho visto nelle periferie delle grandi città.

Sono ormai due anni che vado in giro nelle periferie delle grandi città: da Nord a Sud, da Quarto Oggiaro allo Zen, da Librino a Corviale, a Tor Bella Monaca e tante altre periferie. Lì ho incontrato chi si prodiga per affermare il diritto a stare bene. E sono persone che spesso non contano. Non sono andata nelle periferie per denunciare il degrado - certo anche quello è importante - ma ho voluto fare queste visite per dare centralità a chi si ribella al degrado, al lasciare andare, al fare in modo che nulla cambi. E ho scoperto un mondo fatto di comitati, di associazioni, di laboratori, di gente generosa che decide di dare una risposta ai bisogni di chi non ce la fa più, mettendoci il tempo, mettendoci le energie. Questa è buona politica, perché è la politica che fa stare bene anche chi oggi sta male: cerca di farlo, per lo meno. Quello è l'obiettivo. La cittadinanza attiva aiuta tutti, in politica e nelle istituzioni, a lavorare meglio. Quando i cittadini ci sono, si organizzano, entrano nelle istituzioni, le istituzioni e la politica hanno meno margine di fare errori.

Questa sinergia è vitale. Dovete tutti fare politica, la politica è essenziale! Non si può fare la separazione tra la società e la politica. Se vogliamo una buona politica la società ci deve entrare dentro, a pieno titolo. Penso che in questa legislatura questo esercizio in alcuni frangenti lo abbiamo fatto e quando lo abbiamo fatto ha funzionato.

Lo abbiamo fatto su quella legge che abbiamo tanto voluto, quella contro il caporalato. Nasce dalla sinergia tra tanti. Io ho fatto un Primo Maggio a Mesagne, nelle campagne con centinaia di donne braccianti, quasi tutte italiane: ventisette ore al giorno, morte di fatica, per portare a casa i soldi necessari per dare il minimo indispensabile ai propri figli. Quelle donne poi hanno creduto nel ruolo che potevano svolgere all'interno dell'istituzione: sono venute alla Camera, hanno parlato con la Commissione che stava elaborando il provvedimento; i sindacati si sono dati da fare, hanno agito da tramite e hanno fatto in modo che quel provvedimento avesse dentro tutte le garanzie. Buona politica. E il provvedimento oggi mette l'accento anche sulle aziende che usano i nuovi schiavi: perché se esistono i caporali esiste anche chi sfrutta quel lavoro, e chi sfrutta deve essere punito, deve essere sanzionato, ne deve rispondere.

Abbiamo fatto la legge sul "dopo di noi": certo, ci sono dei limiti quanto a risorse, però oggi c'è una legge.

Abbiamo fatto la legge sulle unioni civili, tanto richiesta da chi voleva affermare un diritto, senza toglierlo ad altri. Chi ambisce all'affermazione di un diritto non lo fa a discapito di altri: lo fa perché crede nelle istituzioni, altrimenti lascerebbe perdere. E quella parte di cittadinanza non può rimanere isolata.

Abbiamo lavorato molto con la società civile sugli ecoreati, specialmente in alcune zone d'Italia. Ultimamente abbiamo varato il whistleblowing, cioè abbiamo approvato il provvedimento che tutela chi denuncia degli abusi, degli illeciti nel posto di lavoro, sia nella pubblica amministrazione che nel privato.

Ci siamo sforzati anche con il Reddito di Inclusione, abbiamo ascoltato l'"Alleanza contro la povertà". Bisognava metterci più risorse, è vero, è solo un inizio, però bisognava riuscire a dare un segnale positivo.

Inoltre chi ha a cuore i diritti deve secondo me fare uno sforzo ulteriore, un rush finale di questa legislatura. Abbiamo un "pacchetto diritti" sul quale abbiamo lavorato tantissime ore, provvedimenti approvati alla Camera che sono ancora in discussione al Senato. La legislatura sta per finire, quel pacchetto è patrimonio di questa legislatura ed è importante non lasciar cadere quei provvedimenti.

Il provvedimento sulla riforma della cittadinanza: abbiamo tanti giovani, giovanissimi, bambini, ragazzi, che sono nati nel nostro Paese, vanno a scuola con i nostri figli, parlano la nostra lingua, non conoscono altro che il nostro Paese ma non hanno il diritto a essere cittadini. Non va bene. Quel provvedimento servirebbe a tutti. E' un provvedimento che impropriamente viene chiamato ius soli, ma non lo è. Ius soli vuol dire che se nasci in Italia diventi italiano. No, la legge della riforma della cittadinanza non dice questo: dice che i tuoi genitori devono aver soggiornato per almeno 5 anni con un permesso di lungo periodo, dice che il ragazzo o la ragazza deve avere un percorso di studio di almeno 5 anni. Ci sono molti paletti, è un provvedimento molto equilibrato.

Poi c'è il provvedimento sull'omofobia, anche quello bloccato.

C'è il testamento biologico, anche quello al Senato.

Abbiamo un provvedimento a sostegno degli orfani di femminicidio, quei figli che vedono ammazzare la propria madre per mano del padre, che poi a volte si toglie la vita oppure finisce in prigione. Chi si cura di loro? C'è un provvedimento che si occupa di loro, è bloccato al Senato. E ce n'è un altro che penso sia di civiltà, il cognome delle madre ai figli. Perché no? Perché questo non si può fare? Quale è il motivo che sottende a questo ritardo? Vedete, sono tutti provvedimenti che hanno un'alta temperatura nella polemica politica. Ma io penso che il primo obiettivo della politica sia dare benessere alle persone, quindi affermare il diritto a stare bene tutti.

E dietro ognuno di quei provvedimenti c'è la vita delle persone, ci sono i bisogni delle persone, il diritto a stare bene anche loro. O recuperiamo questo senso della politica, cioè il legame stretto con la vita, il legame stretto con quello che le persone si aspettano, oppure aumenterà sempre di più la sfiducia. La gente non andrà a votare, l'astensionismo aumenterà e aumenterà anche l'individualismo. Ognuno per sé, "tanto non cambia niente".

Alle istituzioni e alla buona politica va anche il compito di dimostrare che il "noi" è più utile dell'"io". Quindi ognuno di noi deve fare la propria parte.

Vi ringrazio.