24/11/2017
Montecitorio, Sala della Regina

Partecipazione alla proiezione del film dedicato a Sara Di Pietrantonio ‘Sara’, di Daniele Autieri, Stefano Pistolini e Giuseppe Scarpa, in occasione della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne

Buongiorno a tutte e a tutti.

Che bella sala oggi! Vedo tanti ragazzi e tante ragazze, sono felice di avervi qui.

Saluto la signora Concetta Raccuia, la madre di Sara Di Pietrantonio; saluto la procuratrice aggiunta di Roma, la dottoressa Maria Monteleone: mi fa sempre piacere riceverla alla Camera, lei ha rappresentato la pubblica accusa nel processo per l'assassinio di Sara.

Saluto Daniele Autieri, Stefano Pistolini e Giuseppe Scarpa, gli autori del docufilm che vedremo fra poco.

Saluto gli studenti e le studentesse degli Istituti Domizia Lucilla e Confalonieri De Chirico di Roma e quelli della Scuola Media di Monterotondo, presenti oggi in Sala. Saluto anche gli insegnanti e le insegnanti.

Sono contenta di vedere tanti giovani, anche perché Sara aveva appena 22 anni, pochi anni più di voi. So che in questa sala ci sono anche le amiche di Sara, le amiche con cui Sara parlava, con cui usciva, le amiche di danza. Sono contenta che siate venute qui oggi a renderle omaggio, perché noi oggi cerchiamo di fare questo: di parlare di lei, di fare in modo che lei sia con noi e di dirle che noi le vogliamo bene.

Dal primo momento la vicenda di Sara mi ha colpito molto, perché ognuno di noi ha una famiglia, dei figli. Sara può essere mia figlia, stessa età, stesso percorso. Può essere la figlia di tante di noi. Ma mi ha colpito anche perché rappresenta una storia-simbolo: l'uomo che non accetta il rifiuto, non accetta di essere lasciato e reagisce in maniera primordiale, con la violenza. Il modo primordiale non ha filtro, non ha elaborazioni: si reagisce come degli 'australopitechi', non si reagisce come esseri umani.

E colpisce perché ci ripropone un tema molto serio. L'assassino di Sara continuava a dire, nelle sequenze dell'interrogatorio condotto dalla dottoressa Monteleone, "io la amo".

E allora voglio chiarirlo subito: non è amore! Non c'è nulla di amorevole nel togliere la vita a una persona, non confondiamo i piani! E' non amore. Chi uccide manifesta "non amore". Chi picchia manifesta "non amore". Chi umilia esprime "non amore". Non confondiamo mai. E' una bestemmia dire "l'ha uccisa per troppo amore", non lo voglio mai più sentire. Che non si dica una bestialità di questo tipo.

La storia di Sara risponde proprio a questo: un giovane uomo non accetta che Sara sia libera. La libertà di dire: no! La libertà di dire: basta! No, tu non hai questo diritto, tu sei cosa mia, e in quanto tale, tu devi fare quello che ti dico io. Io sono il tuo padrone, io ho diritto di vita e di morte su di te. Questa è una mentalità arcaica, primordiale, molto radicata e difficile da debellare.

Ma è un simbolo anche perché il suo assassino ha avuto l'ergastolo. Non c'è stata quindi alcuna sottovalutazione in questo caso, e mi pare un segnale molto importante. Non va sempre così. E invece c'è stato l'ergastolo perché è stata riconosciuta la premeditazione. E un'altra cosa vi voglio dire: che non si dica che è un raptus di gelosia. E' uccidere due volte! Non esiste il raptus di gelosia, è un'altra menzogna. C'è premeditazione quando esci già con gli attrezzi utili per uccidere, hai già pensato a quello che farai, sai tutte le tappe. Quindi anche nel racconto dei femminicidi vorrei che chi nei mezzi di informazione ci ripropone la storia non usasse mai questa alterazione della realtà, perché va a giustificare la persona che, vittima di un raptus, non è consapevole di quello che fa. Non è così: c'è la premeditazione.

Dopo la morte di Sara, siamo rimasti scossi in tanti per l'accaduto e c'è stato chi ha organizzato anche sulla rete una mobilitazione: perché la società civile ha un suo ruolo e deve sapere reagire alle storture, alle violenze, a quello che non accetta. E lo fa mobilitandosi, e questo è molto democratico.

Si chiedeva, in quei giorni, di esporre un drappo rosso, una sciarpa rossa, qualcosa per dire 'basta con il sangue delle ragazze'. Ho voluto aderire a questa campagna in un modo un po' irrituale per la terza carica dello Stato, me ne rendo conto. Ma noi anche siamo persone, noi che rappresentiamo le istituzioni, e come persone dobbiamo agire sempre nel rispetto dell'istituzione che rappresentiamo: faceva onore alla Camera dei deputati reagire! E io ho reagito: ho messo il drappo rosso alla finestra e sta ancora esposto nella piazza di Montecitorio; e ci rimarrà finché io sarò qui, finché le donne continueranno a morire, non ho nessuna intenzione di toglierlo.

Quel drappo è un simbolo e anche i simboli sono importanti. Questa è una società che vive anche di simboli e ognuno deve fare la propria parte anche attraverso i simboli.

E poi ci sono le leggi che vengono fatte in questo Palazzo.

Le leggi sono alla base del vivere civile, il nostro stato di diritto si basa sulle leggi. Noi dobbiamo fare buone leggi se vogliamo essere rispettati dai cittadini. Ci abbiamo provato in questa legislatura, in questo ambito, a fare buone leggi, ma ci sono state anche delle falle nel nostro tentativo.

Abbiamo ratificato, come primo atto di questo Parlamento, la Convenzione di Istanbul. Perché è importante? Perché dice tante cose, ma una è la più importante di tutte: che la violenza sulle donne non è un fatto privato, ma è una violazione dei diritti umani. Dunque lo Stato se ne deve occupare e deve mettere in atto misure per prevenire quella violenza e per contrastarla. Non si può dire "sono affari miei, di famiglia, me ne occupo da sola, da solo, non vi immischiate". Questa dimensione è sorpassata.

Proprio per questo ho fatto iniziative simboliche in questa legislatura: abbassare a mezz'asta la bandiera italiana sul Palazzo Montecitorio, in segno di lutto per le donne ammazzate e in segno di rispetto per i figli di quelle donne che sono rimasti orfani, ha un senso dal punto di vista simbolico. Così come sabato 25 novembre aprirò l'aula di Montecitorio e tutte le sale di questo Palazzo alle donne vittime di violenza, alle donne che sono riuscite a ribellarsi alla forza degli uomini.

Sarà la forza delle donne ad essere al centro di quella giornata. Montecitorio, che è il luogo della democrazia dovrà stare in ascolto delle donne, le vittime che sono diventate la forza del Paese. Le donne che dedicano la loro esistenza ad aiutare altre donne. E' la parte bella del nostro Paese, che va valorizzata. Per questo ho voluto organizzare una iniziativa che non ha precedenti nella storia della nostra Repubblica, non era mai accaduto. Sono felice di poterlo fare e ringrazio tutte quelle donne che hanno avuto fiducia in me, che hanno detto "lo faremo perché pensiamo che sia utile farlo, perché crediamo che sia una iniziativa seria, la apprezziamo".

A quella iniziativa parteciperanno anche Concetta, la mamma di Sara, e la procuratrice Monteleone: saranno anche loro con noi.

In conclusione voglio dire che noi il 25 saremo solo donne, perché è importante mettere le donne al centro. Ma è evidente che nella battaglia contro la violenza noi abbiamo bisogno degli uomini, dei non violenti, perché qui c'è troppa timidezza. Gli uomini, quelli che amano le donne, gli uomini che vogliono bene alle loro figlie, alle loro mogli, alle loro sorelle, devono essere con noi. Fatevi avanti! Basta far finta di niente, basta sottovalutare questo nodo che logora la nostra società, la corrode, la sfregia. Chiedo anche a voi uomini di farvi carico, di mettere all'angolo i violenti, di non tollerarli, di non far finta di non vedere. Vi chiedo di essere con noi in questa battaglia, che non va solo a vantaggio delle donne ma a vantaggio di tutto il Paese. Noi vi aspettiamo, fatevi avanti e insieme riusciremo a farcela.

Vi ringrazio e invito la procuratrice Maria Monteleone a prendere la parola.