Ascoli Piceno, Palazzo dei Capitani del Popolo, Sala della Ragione
70° Anniversario della Liberazione di Ascoli Piceno: Convegno ‘La Città racconta la storia… Storia di donne di ieri, storie di donne di oggi’
La storia della Liberazione dal regime nazifascista, come ben sapete in questo territorio, è una storia densa di dolore, di sofferenza e di distruzione, nella quale non mancano eccidi di inaudita ferocia, messi in atto per piegare il coraggio e la compattezza di un movimento popolare che non aveva mai accettato il fascismo e che nei mesi che precedettero l'agosto del 1944 dette prova di grande unità e determinazione.
E' molto importante, a settant'anni di distanza, fermarci a riflettere ancora una volta su quegli eventi. Ed è importante farlo, non solo con gli studiosi e con coloro che conservano ancora la memoria di quei momenti, ma soprattutto con i giovani. Con i nipoti e bisnipoti di coloro che combatterono per la nostra libertà di oggi, molto spesso a costo della vita.
Non mi stanco mai di ripetere ai tanti studenti che incontro, fuori e dentro il palazzo di Montecitorio, che il bene più prezioso del quale dispongono, la libertà, non è un bene da considerarsi acquisito una volta per sempre. Insisto con i ragazzi loro su questo punto perché chi è nato e cresciuto in uno Stato democratico, non può neanche immaginare cosa significhi essere privati della libertà di pensiero, di parola, di azione.
Neanche la mia generazione ha vissuto la dittatura, ma io ho visto con i miei occhi cosa vuol dire vivere sotto un regime illiberale, nelle tante aree di crisi in cui ho svolto missioni durante il mio lavoro di venticinque anni presso le agenzie delle Nazioni Unite.
Ancora oggi la democrazia è un bene preziosissimo sappiatelo valorizzare.
Ecco allora che ricordare la Resistenza e la nostra storia post bellica non è un semplice esercizio di memoria, è un modo per capire il presente dell'Italia e del mondo. Oggi basta andare a Lampedusa, a Siracusa. Qui, a casa nostra,arriva chi é dovuto fuggire per mancanza di democrazia. Le loro storie ci aiutano a comprendere le ragioni di quanti oggi - dall'Eritrea, dalla Somalia come dalla Siria o dall'Afghanistan - sono costretti a lasciare il proprio Paese per poter vivere in pace e sicurezza. Temiche non possono essere esclusi dal dibattito politico.
Ma noi siamo qui oggi soprattutto per parlare del contributo che tante donne italiane hanno dato alla lotta di Liberazione. Un contributo che nelle varie ricostruzioni storiche ha stentato ad essere riconosciuto e che invece è stato fondamentale. Offerto generosamente non solo sulle montagne, dove pure molte resistenti sono state in prima linea, imbracciando le armi al fianco dei loro compagni di lotta, ma anche e soprattutto nelle città. Penso alle proteste contro la penuria di viveri, al sostegno alle bande partigiane, alle azioni di resistenza contro il reclutamento coatto di manodopera per il Terzo Reich, all'aiuto ai perseguitati, ebrei e antifascisti, alla diffusione di fogli di propaganda, alla cura dei feriti e dei fuoriusciti.
Sono molto grata all'ANPI e alle amministrazioni che oggi lavorano per il giusto riconoscimento alle donne. Non è stato sempre così.
Eppure, terminate le ostilità, la qualifica di resistente venne riconosciuta solo a chi impugnò le armi per lunghi periodi o a chi partecipò ad un certo numero di azioni di guerra o di sabotaggio. Criteri molto restrittivi, insomma, che di fatto hanno impedito a moltissime italiane, che pure lo avrebbero meritato, il titolo di "partigiane combattenti".Criteri discutibili perché la resistenza non si fa solo con le armi, anzi. Si fa con la forza delle idee ed è questa la resistenza che a me piace di più.
Una mancanza che le stesse partigiane non hanno mancato negli anni di rimarcare. Penso alla vostra concittadina Dora Tombini, una delle più prestigiose rappresentanti della resistenza ascolana, che in un'intervista disse testualmente: " Le donne partigiane con tanto di riconoscimento sono poche, ma io ricordo che eravamo tante, mezza popolazione..".
E questo è anche testimoniato dai numeri: secondo l'ANPI, le donne partigiane combattenti furono 35 mila, 4653 furono arrestate e torturate, oltre 2700 vennero deportate in Germania, 2812 furono fucilate o impiccate, 1070 caddero in combattimento.
E che le donne resistenti poi qui nelle Marche fossero tante lo ricorda anche la scrittrice e partigiana Joyce Lussu che scrive testualmente: "il coinvolgimento delle donne era pari a quello degli uomini: Martina Cristanziani cadde in combattimento a Umito dopo aver ucciso un sergente tedesco; a Porra fu uccisa la giovane contadina Teresa Sparapani mentre scagliava una bomba a mano; Antonietta Albanesi prese parte ai combattimenti attorno a Sarnano nelle formazioni miste italo-slave; valorose partigiane patriote furono tra le altre Lida Lelli, Gina Rusponi, Dora Tombini, [che abbiamo appena ricordato] Giacinta Salvadori, Anna Carpani, Ada Natali, Laura Zara e tantissime altre".
Ma mi piace ricordare anche il ruolo delle staffette, in particolare la storia di Adriana Rumoli, responsabile di un centro di smistamento e di recapito e che per le missioni più delicate si serviva della sua bambina che nascondeva i messaggi dentro l'orlo del suoi vestiti. Sua madre Anita teneva i documenti del comando in una panciera da lei stessa confezionata. O la storia di Alvina Matteucci, che riuscì a trasportare una macchina da scrivere coperta di verdura nella borsa della spesa.
Quel che spinse tante donne ad aderire alla Resistenza fu certamente un atto di ribellione aperta contro l'occupazione nazifascista; ma fu anche, un atto di libertà che le riguardava da vicino. Spesso sono le stesse partigiane a raccontarlo: le donne che presero parte alla Resistenza, che imbracciarono le armi o fecero le staffette, erano le stesse donne che il regime fascista aveva relegato all'esclusivo ruolo di mogli e madri. Donne alle quali era stata negata una vita sociale al di là della cerchia familiare e domestica. E che non si erano mai mosse senza mariti, padri o fratelli al seguito.
E la prima donna che prenderà la parola nell'emiciclo di Montecitorio, il 1° ottobre 1945, Angela Maria Guidi Cingolani, ricorderà ai colleghi e rivendicherà di essere espressione di quella metà del popolo italiano che ha lavorato, sofferto, resistito, combattuto e che lotta per una democrazia che sia libertà politica, giustizia sociale ed elevazione morale.
La lunga strada che le donne ancora oggi percorrono per la piena ed effettiva affermazione dei propri diritti e che si incrocia molto spesso con un forte impegno nella società civile, poggia sui principi di parità e uguaglianza fissati nella nostra Costituzione.
Come non ricordare, allora, lo straordinario lavoro che le prime donne democraticamente elette svolsero nell'Assemblea costituente. Si trattava di donne molto diverse tra loro, per età, per appartenenza politica, per esperienze maturate; ma seppero battersi compatte per dare voce alle legittime aspirazioni di emancipazione.
Proprio grazie a quello spirito condiviso fu possibile introdurre nel testo costituzionale alcuni fondamentali principi - l'affermazione dei diritti della famiglia, la parità tra uomini e donne, la tutela della maternità e dell'infanzia - che hanno rappresentato la precondizione essenziale per il consolidamento ulteriore e successivo dei diritti delle donne nel nostro Paese e per il concreto miglioramento delle loro condizioni di vita.
Sarebbe un clamoroso errore, tuttavia, pensare che la lotta delle donne nel nostro Paese sia finita perché i traguardi essenziali sono stati raggiunti. Oggi più che mai le italiane sono chiamate a "resistere" e a combattere, nelle famiglie come nei luoghi di lavoro, nella società e nella politica.
Cambiando se stesse le donne hanno cambiato la società italiana. L'hanno resa più aperta e più moderna. Anche nella politica e nelle istituzioni si son fatti passi avanti, ma sono ancora largamente insufficienti.
Eppure -lo posso testimoniare sulla base dell'esperienza che sto facendo- il contributo che le deputate di tutti i partiti danno ai lavori parlamentari è un contributo del tutto particolare : è un insieme di competenza, concretezza e passione civile che fa bene alle istituzioni e alla democrazia.
Per questo voglio concludere con un invito alle donne presenti. Ed è lo stesso invito che rivolgo spesso ai giovani. Irrompete nelle istituzioni, impadronitevi della politica, rinnovatela, rendetela sempre più aperta e più vicina alle persone. Portate nella politica lo stesso slancio, la stessa passione delle donne della Resistenza. Ci hanno lasciato un grande dono : la nostra democrazia. Dobbiamo difenderla ogni giorno e ogni giorno rinnovarla.
In questo modo sarà anche il nostro dono : quello che lasceremo ai nostri figli e ai nostri nipoti.
70° Anniversario della Liberazione di Ascoli Piceno: Convegno ‘La Città racconta la storia… Storia di donne di ieri, storie di donne di oggi’
La storia della Liberazione dal regime nazifascista, come ben sapete in questo territorio, è una storia densa di dolore, di sofferenza e di distruzione, nella quale non mancano eccidi di inaudita ferocia, messi in atto per piegare il coraggio e la compattezza di un movimento popolare che non aveva mai accettato il fascismo e che nei mesi che precedettero l'agosto del 1944 dette prova di grande unità e determinazione.
E' molto importante, a settant'anni di distanza, fermarci a riflettere ancora una volta su quegli eventi. Ed è importante farlo, non solo con gli studiosi e con coloro che conservano ancora la memoria di quei momenti, ma soprattutto con i giovani. Con i nipoti e bisnipoti di coloro che combatterono per la nostra libertà di oggi, molto spesso a costo della vita.
Non mi stanco mai di ripetere ai tanti studenti che incontro, fuori e dentro il palazzo di Montecitorio, che il bene più prezioso del quale dispongono, la libertà, non è un bene da considerarsi acquisito una volta per sempre. Insisto con i ragazzi loro su questo punto perché chi è nato e cresciuto in uno Stato democratico, non può neanche immaginare cosa significhi essere privati della libertà di pensiero, di parola, di azione.
Neanche la mia generazione ha vissuto la dittatura, ma io ho visto con i miei occhi cosa vuol dire vivere sotto un regime illiberale, nelle tante aree di crisi in cui ho svolto missioni durante il mio lavoro di venticinque anni presso le agenzie delle Nazioni Unite.
Ancora oggi la democrazia è un bene preziosissimo sappiatelo valorizzare.
Ecco allora che ricordare la Resistenza e la nostra storia post bellica non è un semplice esercizio di memoria, è un modo per capire il presente dell'Italia e del mondo. Oggi basta andare a Lampedusa, a Siracusa. Qui, a casa nostra, arriva chi é dovuto fuggire per mancanza di democrazia. Le loro storie ci aiutano a comprendere le ragioni di quanti oggi - dall'Eritrea, dalla Somalia come dalla Siria o dall'Afghanistan - sono costretti a lasciare il proprio Paese per poter vivere in pace e sicurezza. Temi che non possono essere esclusi dal dibattito politico.
Ma noi siamo qui oggi soprattutto per parlare del contributo che tante donne italiane hanno dato alla lotta di Liberazione. Un contributo che nelle varie ricostruzioni storiche ha stentato ad essere riconosciuto e che invece è stato fondamentale. Offerto generosamente non solo sulle montagne, dove pure molte resistenti sono state in prima linea, imbracciando le armi al fianco dei loro compagni di lotta, ma anche e soprattutto nelle città. Penso alle proteste contro la penuria di viveri, al sostegno alle bande partigiane, alle azioni di resistenza contro il reclutamento coatto di manodopera per il Terzo Reich, all'aiuto ai perseguitati, ebrei e antifascisti, alla diffusione di fogli di propaganda, alla cura dei feriti e dei fuoriusciti.
Sono molto grata all'ANPI e alle amministrazioni che oggi lavorano per il giusto riconoscimento alle donne. Non è stato sempre così.
Eppure, terminate le ostilità, la qualifica di resistente venne riconosciuta solo a chi impugnò le armi per lunghi periodi o a chi partecipò ad un certo numero di azioni di guerra o di sabotaggio. Criteri molto restrittivi, insomma, che di fatto hanno impedito a moltissime italiane, che pure lo avrebbero meritato, il titolo di "partigiane combattenti".Criteri discutibili perché la resistenza non si fa solo con le armi, anzi. Si fa con la forza delle idee ed è questa la resistenza che a me piace di più.
Una mancanza che le stesse partigiane non hanno mancato negli anni di rimarcare. Penso alla vostra concittadina Dora Tombini, una delle più prestigiose rappresentanti della resistenza ascolana, che in un'intervista disse testualmente: " Le donne partigiane con tanto di riconoscimento sono poche, ma io ricordo che eravamo tante, mezza popolazione..".
E questo è anche testimoniato dai numeri: secondo l'ANPI, le donne partigiane combattenti furono 35 mila, 4653 furono arrestate e torturate, oltre 2700 vennero deportate in Germania, 2812 furono fucilate o impiccate, 1070 caddero in combattimento.
E che le donne resistenti poi qui nelle Marche fossero tante lo ricorda anche la scrittrice e partigiana Joyce Lussu che scrive testualmente: "il coinvolgimento delle donne era pari a quello degli uomini: Martina Cristanziani cadde in combattimento a Umito dopo aver ucciso un sergente tedesco; a Porra fu uccisa la giovane contadina Teresa Sparapani mentre scagliava una bomba a mano; Antonietta Albanesi prese parte ai combattimenti attorno a Sarnano nelle formazioni miste italo-slave; valorose partigiane patriote furono tra le altre Lida Lelli, Gina Rusponi, Dora Tombini, [che abbiamo appena ricordato] Giacinta Salvadori, Anna Carpani, Ada Natali, Laura Zara e tantissime altre".
Ma mi piace ricordare anche il ruolo delle staffette, in particolare la storia di Adriana Rumoli, responsabile di un centro di smistamento e di recapito e che per le missioni più delicate si serviva della sua bambina che nascondeva i messaggi dentro l'orlo del suoi vestiti. Sua madre Anita teneva i documenti del comando in una panciera da lei stessa confezionata. O la storia di Alvina Matteucci, che riuscì a trasportare una macchina da scrivere coperta di verdura nella borsa della spesa.
Quel che spinse tante donne ad aderire alla Resistenza fu certamente un atto di ribellione aperta contro l'occupazione nazifascista; ma fu anche, un atto di libertà che le riguardava da vicino. Spesso sono le stesse partigiane a raccontarlo: le donne che presero parte alla Resistenza, che imbracciarono le armi o fecero le staffette, erano le stesse donne che il regime fascista aveva relegato all'esclusivo ruolo di mogli e madri. Donne alle quali era stata negata una vita sociale al di là della cerchia familiare e domestica. E che non si erano mai mosse senza mariti, padri o fratelli al seguito.
E la prima donna che prenderà la parola nell'emiciclo di Montecitorio, il 1° ottobre 1945, Angela Maria Guidi Cingolani, ricorderà ai colleghi e rivendicherà di essere espressione di quella metà del popolo italiano che ha lavorato, sofferto, resistito, combattuto e che lotta per una democrazia che sia libertà politica, giustizia sociale ed elevazione morale.
La lunga strada che le donne ancora oggi percorrono per la piena ed effettiva affermazione dei propri diritti e che si incrocia molto spesso con un forte impegno nella società civile, poggia sui principi di parità e uguaglianza fissati nella nostra Costituzione.
Come non ricordare, allora, lo straordinario lavoro che le prime donne democraticamente elette svolsero nell'Assemblea costituente. Si trattava di donne molto diverse tra loro, per età, per appartenenza politica, per esperienze maturate; ma seppero battersi compatte per dare voce alle legittime aspirazioni di emancipazione.
Proprio grazie a quello spirito condiviso fu possibile introdurre nel testo costituzionale alcuni fondamentali principi - l'affermazione dei diritti della famiglia, la parità tra uomini e donne, la tutela della maternità e dell'infanzia - che hanno rappresentato la precondizione essenziale per il consolidamento ulteriore e successivo dei diritti delle donne nel nostro Paese e per il concreto miglioramento delle loro condizioni di vita.
Sarebbe un clamoroso errore, tuttavia, pensare che la lotta delle donne nel nostro Paese sia finita perché i traguardi essenziali sono stati raggiunti. Oggi più che mai le italiane sono chiamate a "resistere" e a combattere, nelle famiglie come nei luoghi di lavoro, nella società e nella politica.
Cambiando se stesse le donne hanno cambiato la società italiana. L'hanno resa più aperta e più moderna. Anche nella politica e nelle istituzioni si son fatti passi avanti, ma sono ancora largamente insufficienti.
Eppure -lo posso testimoniare sulla base dell'esperienza che sto facendo- il contributo che le deputate di tutti i partiti danno ai lavori parlamentari è un contributo del tutto particolare : è un insieme di competenza, concretezza e passione civile che fa bene alle istituzioni e alla democrazia.
Per questo voglio concludere con un invito alle donne presenti. Ed è lo stesso invito che rivolgo spesso ai giovani. Irrompete nelle istituzioni, impadronitevi della politica, rinnovatela, rendetela sempre più aperta e più vicina alle persone. Portate nella politica lo stesso slancio, la stessa passione delle donne della Resistenza. Ci hanno lasciato un grande dono : la nostra democrazia. Dobbiamo difenderla ogni giorno e ogni giorno rinnovarla.
In questo modo sarà anche il nostro dono : quello che lasceremo ai nostri figli e ai nostri nipoti.
Vi ringrazio.