15/12/2014
Brescia, Auditorium Balestrieri

Incontro con gli studenti dal titolo 'L'impegno delle Istituzioni per memoria, giustizia e verità', a conclusione delle manifestazioni in occasione del 40° anniversario della Strage di Piazza della Loggia

Saluto il sindaco Emilio Del Bono, la Prefetta Narcisa Brassesco Pace, il Presidente della casa della Memoria Manlio Milani, il dottor Giuseppe Bonelli dell'Ufficio Scolastico regionale, Franco Sirotti, e tutti voi, studenti e insegnanti. Vi ringrazio per avermi voluto con voi, a chiudere le celebrazioni per un anniversario che è rilevante non solo per la vostra città, ma per tutto il Paese. E per averlo voluto al punto da rinviare gli appuntamenti che erano stati già programmati quasi un mese fa, e che avevo dovuto disdire per impegni parlamentari.

Ma ci tenevo molto anch'io ad essere con voi, perché ricorrenze come queste sono un'occasione preziosa per ricordare, e ricordando ragionare sul nostro presente, sui problemi ancora aperti, sull'importanza di avere giustizia per poter credere nelle istituzioni, sul ruolo che spetta alla politica, alla buona politica. E farlo insieme a voi ragazzi, cercando - noi adulti - di risultare credibili e magari anche di riuscire a trasmettervi il senso, la bellezza, delle passioni civili che rendono viva una comunità.

Per me prendere parte a questi incontri è anche fare i conti con le sensazioni angoscianti che segnarono l'adolescenza di noi ragazzi degli Anni Settanta. Non posso non andare indietro negli anni. Il giorno che scoppiò la bomba a Piazza della Loggia io avevo 13 anni, quindi avevo pochi anni meno di voi. E sono cresciuta, come tutti quelli della mia generazione, in un'Italia che, giorno dopo giorno, veniva minacciata, un'Italia che stentava a rimanere su un tracciato. C'era più di un nemico. I nemici erano tanti, e invisibili. E non è facile crescere in un Paese in cui ci può essere una bomba che esplode, in una piazza, in un treno, o ci può essere un rapimento, un attentato in qualsiasi luogo: si ha un senso di angoscia, si pensa che non c'è futuro, ci si sente minacciati. Ed è anche difficile capire: minacciati da chi? Quindi la mia generazione, in qualche modo, è stata minata da questo tempo.

Voi raramente pensate che questo possa succedere, quando andate ad un concerto, o ad una manifestazione, o quando prendete un treno. Vi è mai capitato di pensare: adesso questo treno salta in aria? Adesso in questa piazza moriremo tutti? No, perché vivete in un Paese che ha superato questa fase storica, che però è accaduta non troppo tempo fa.

Non so se avete mai sentito l'audio di quei minuti. E' su YouTube. Voi magari non l'avete ancora sentito. Ma se non l'avete sentito, fatelo. Io l'ho sentito anche ieri sera questo audio: c'è il comizio, un sindacalista che ricorda anche la strage di Piazza Fontana, che parla dell'italia minacciata. E poi c'è una grande esplosione, e qualche secondo in cui lui non sa più cosa sta succedendo. Si ferma, e c'è un silenzio terribile sotto le grida, le urla. Non ci sono le immagini, ma basta l'audio per restituire quel clima terribile, quel dramma: i soccorsi ai feriti, dieci, venti, trenta, sempre di più… ottanta, cento feriti. E poi ci sono i morti, e tra loro anche gli insegnanti. Cinque di quegli otto morti erano insegnanti, e una di loro era la compagna di vita di Manlio Milani.

Gli insegnanti erano in quella piazza e vennero colpiti. Il miglior antidoto alla violenza è la cultura, la conoscenza. E quindi fa paura chi insegna ai ragazzi ad avere senso critico, a crescere consapevoli. Ed è per questo che non trovo che sia un caso, che ciò sia avvenuto, che in quella piazza siano morte tante figure che rappresentavano la cultura e la conoscenza.

In quella registrazione c'è anche altro. Il sindacalista parla di quegli anni come anni di minaccia e di progresso. Gli anni Settanta sono stati anni difficili, ma pieni di passione civile. Sono stati gli anni dello Statuto dei Lavoratori, in cui finalmente si fissavano dei paletti importanti: i lavoratori dovevano essere tutelati. Quello Statuto ci ha portato all'avanguardia, perché eravamo quelli più garantisti, più capaci di dare dignità al lavoro. Erano gli anni del nuovo diritto di famiglia. L'Italia cresceva, non solo socialmente, ma anche a livello civico e politico. E c'era anche stato il Referendum sul divorzio. Si andava avanti con una tabella di marcia serrata sui diritti civili e sull'acquisizione completa della democrazia. Tutto questo era considerato troppo, un'evoluzione insostenibile per il Paese. Bisognava bloccare questo processo. Bloccarlo con il sangue, con ogni mezzo, perché stavamo progredendo troppo, e questo faceva paura. E quindi ad una strage ne seguì un'altra, poi un rapimento, e un altro ancora.

E poi c'è il capitolo giustizia: come è stato gestito tutto questo? Una strage non può rimanere impunita. E invece più di una strage è rimasta impunita. Ci sono stati tanti processi, ma ancora non c'è stata una giustizia netta, chiara, che restituisca serenità ai familiari delle vittime. Questo pone un inquietante interrogativo sulle Istituzioni. Il 2 agosto dello scorso anno sono stata invitata dalla Città di Bologna a rappresentare lo Stato in quella piazza dove il 2 agosto del 1980 c'era stata una carneficina. Come si fa a rappresentare lo Stato in una piazza come quella senza sentire tutto il disagio possibile, perché mancano ancora le risposte. Una giustizia che non arriva mai è un grande punto interrogativo sulle Istituzioni stesse. La crisi delle Istituzioni che oggi noi viviamo ha anche origine da questo, dall'incapacità di fare giustizia e chiarezza.

Uno Stato che ha paura del proprio passato non è uno Stato profondamente democratico, perché è uno Stato che ha paura dei propri cittadini. Ed è per questo che nelle mie facoltà di Presidente della Camera dall'inizio della Legislatura sto cercando di fare chiarezza, sto cercando di 'desecretare', di togliere il segreto di Stato su quegli atti. Alla Camera abbiamo tanti atti di varie Commissioni d'inchiesta che però non riguardano le stragi, perché quella parte di documentazione non è alla Camera dei deputati. Quello che è alla Camera è, ad esempio, la deposizione del pentito di mafia Carmine Schiavone, che depose sulla 'Terra dei fuochi', e che noi abbiamo desecretato. Abbiamo gli atti dell' 'Armadio della vergogna', risalenti alle stragi nazi-fasciste, che dopo settant'anni sono ancora secretate. E abbiamo chiesto alle autorità che produssero quei documenti, di poterli desecretare. Perché uno Stato democratico non può aver paura della propria storia e dei propri cittadini. Lo stesso sto facendo sulle 'Navi dei veleni', e sulla Commissione che ha indagato sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, i due giornalisti che vennero uccisi in Somalia nel 1994.

Questo è un nostro dovere: fare trasparenza il più possibile, perché la nostra credibilità dipende anche da questo. Credo fortemente che non ci possano essere questi 'buchi neri' nella nostra storia. Proviamo a trasferire quello che è accaduto nella nostra vita di tutti i giorni: è come se voi, ragazzi, stamattina andaste a scuola con la consapevolezza che lì possa succedere qualsiasi violenza, qualsiasi pestaggio, qualsiasi atto di bullismo. Con la consapevolezza che avrete sempre dalla preside tutte le rassicurazioni che questo non accadrà più, ma ogni giorno questo continua ad accadere. E poi venite anche a scoprire che i bastoni che vengono usati contro di voi per pestarvi vengono passati sotto banco dai professori della scuola. Immaginatevi questo. Che cosa pensereste? Avreste fiducia in questa scuola, che non vi garantisce la sicurezza fisica e che copre quei professori che sotto banco alimentano tutto questo? No. Voi non avreste fiducia in questa scuola, e non vorreste andarci più. Ecco, mutatis mutandis questo è ciò che è accaduto nel nostro Paese, laddove gli studenti di una classe sono i cittadini italiani, la preside è l'Istituzione nazionale, e i professori sono elementi deviati dell'apparato dello Stato. E' per questo che ritengo che sia imprescindibile, imperativo, fare chiarezza per acquisire fiducia da parte dei cittadini.

Ma a fronte di questo, per onestà, devo dire che lo Stato non è solo questo, non è stato rappresentato solo da chi ha voluto collaborare ad un tentativo di sfascio dello Stato stesso, di invertire l'ordine precostituito. Lo Stato ha fornito anche figure alte, uomini e donne che hanno combattuto per la nostra democrazia, servitori dello Stato che non si sono piegati: magistrati, funzionari di Polizia, agenti. A tutti loro noi dobbiamo essere grati se il nostro Paese oggi continua ad essere un Paese democratico. Senza quei servitori dello Stato noi non vivremmo in un Paese democratico. Sono loro che hanno fatto da baluardo, che hanno tenuto la facoltà di andare avanti in un tracciato democratico. Lo Stato è soprattutto questo, perché altrimenti si fa confusione, quando si parla dello Stato.

La memoria è importante perché noi dobbiamo ricordarci da dove veniamo. Se voi oggi non aveste contezza di questa nostra storia recente, non potreste cogliere appieno il senso della democrazia. Per 25 anni io ho lavorato nelle agenzie delle Nazioni Unite, nei contesti più difficili di questo pianeta. Ho avuto la facoltà di essere presente nei luoghi dove succedevano le cose peggiori: i tanti conflitti degli anni Novanta, dalla guerra in Bosnia alla guerra in Kosovo, in Afghanistan, in Iraq, in Iran, in Sudan. Ho visto cosa vuol dire non avere la libertà, non poter parlare, non poter fare uno sciopero, non poter dissentire. Quanti milioni di persone oggi sono costrette a fuggire dai propri Paesi perché non godono delle nostre libertà, della libertà di pensiero? Quanti ragazzi vengono imprigionati perché fanno sciopero, perché non è consentito il dissenso? Ancora oggi è così. Non date per scontato che questo si possa fare liberamente, perché in tre quarti del pianeta questo non si può fare. Le galere sono piene di giovani vostri coetanei, che in nome della libertà sono pronti a farsi uccidere. E non lo dico perché l'ho sentito dire, lo dico perché l'ho visto, ho vissuto direttamente cosa vuol dire sopraffare l'altro, annientarlo, non vedere le diversità, annullarle, fare la pulizia etnica, imporre una religione sulle altre. Tutto questo esiste, e oggi chi fugge da questi Paesi è poi costretto a fare un altro passaggio, tra la vita e la morte, la roulette russa del Mediterraneo, con la pistola puntata alla tempia, solo che la pistola è l'attraversamento del Mediterraneo. Ma quando non hai nulla da perdere, perché la tua vita in Siria, in Somalia, in Eritrea, non è vita, allora pensi che anche quella può essere una soluzione, e rischi il tutto per tutto, perché non vuoi sopravvivere nella violenza, vuoi vivere in libertà. Questo muove tanta gente che arriva sulle nostre coste: bisogno di libertà, di rispetto, di futuro e di sicurezza, che non è solo una prerogativa del nord del mondo, ma un diritto per tutti.

La memoria è importante perché ci riporta a cosa eravamo durante il fascismo, a quelle figure che dopo la dittatura tornarono in Italia e scrissero la Costituzione, ma che prima erano state costrette a fuggire, come i rifugiati, come quelle stesse persone che oggi arrivano sulle nostre coste. I nostri Padri costituenti fuggirono, e allora non scherziamo con questi valori, non lasciamo che la politica venga gestita da chi non ha rispetto di questi valori. Voi dovete prendere in mano il vostro presente, essere capaci di mettere ai margini chi vuole sporcare la politica. La politica, se fatta con gli ideali, con i valori, è l'attività più nobile che esista, perché è un esercizio rivolto alla collettività. E' destinare le proprie energie, il proprio tempo, le proprie intelligenze, al benessere collettivo.

Questo dovrebbe essere la politica, mentre oggi noi purtroppo vediamo quanto tutto questo possa essere deturpato, sporcato, come a Roma, con l'inchiesta 'Mafia Capitale'. Ma lo abbiamo visto anche a Milano, con l'Expo, a Venezia, con il Mose. Cosa vediamo in tutte queste inchieste? Che c'è sì una politica malata, ma c'è anche una società che ha perso la bussola: non è solo la politica che non funziona. Non raccontiamoci questa favola, perché la politica è lo specchio della società. Non è che chi entra in politica sano poi si ammala con la politica. Chi entra in politica per fare politica ed è una persona per bene, continuerà ad esserlo. Chi è invece un malfattore ed entra in politica, sarà stato un malfattore anche prima, un pessimo cittadino. E da pessimo cittadino diventerà un pessimo politico.

Guardiamo quindi la realtà senza farci sconti: queste inchieste denunciano una crisi valoriale fortissima nella nostra società tutta. E' ovvio che il politico è colpevole due volte. Ha due responsabilità: quella verso la giustizia e quella verso i cittadini. Dunque, nessuno sconto. Ma è anche vero che per troppi anni gli stessi cittadini hanno convissuto con questo sistema, e hanno cercato di trarne dei favori, delle scorciatoie. C'è stata una connivenza, un patto opaco tra eletto ed elettore. Se vogliamo cambiare, ognuno di noi deve cambiare, e deve mettere in atto una svolta con il proprio cambiamento. Non aspettiamo che ci sia il miracolo, che qualcun altro lo faccia per noi: ognuno di noi deve mettere in atto quel cambiamento che vorremmo vedere. Noi siamo il cambiamento che ci aspettiamo che avvenga: noi, con le nostre azioni quotidiane.

Chiudo questa introduzione con un invito rivolto a voi, di non essere attori passivi, di non stare a guardare. Ma di essere, voi, la forza motrice di questo Paese, di essere capaci di decidere la rotta. Siate cittadini esigenti e siate parte attiva della politica. Questo è l'augurio che mi sento di farvi.

Grazie.