09/07/2015
Montecitorio, Sala Aldo Moro

Saluto introduttivo al Convegno 'Srebrenica, vent'anni dopo il genocidio. Per non dimenticare'

Ministra Borovać, Ministra Consigliere Planinić, Signore e Signori, è un onore poter ospitare qui oggi quest'iniziativa, organizzata assieme alla comunità della Bosnia-Erzegovina in Italia. Nel ventesimo anniversario del genocidio di Srebrenica - il primo tentativo di sterminio di un popolo avvenuto sul suolo europeo dalla fine della Seconda Guerra mondiale - ho voluto fortemente che la Camera dei deputati ricordasse quanto accaduto. Perché i fatti di Srebrenica non possono in alcun modo essere considerati superati o metabolizzati.

Questo pomeriggio andrò in Bosnia-Erzegovina, dove farò visita alle principali istituzioni e raggiungerò, nella giornata di sabato, Srebrenica, dove rappresenterò l'Italia alla cerimonia ufficiale di commemorazione dell'11 luglio.

Vent'anni fa, l'Europa intorpidita osservava con distacco le vicende che si svolgevano a pochi chilometri dai propri confini. L'Italia, che pure solo il Mar Adriatico separa dai territori della Jugoslavia ormai in disgregazione, aveva accolto un numero limitato di rifugiati e non subiva - a differenza di altri Paesi come la Germania, la Svezia, l'Austria - l'impatto dell'afflusso di decine di migliaia di persone in fuga. L'assedio di Sarajevo durato più di tre anni e le immagini dei cecchini che falcidiavano i civili mentre cercavano di attraversare le strade della città erano ormai ritenute poco 'newsworthy' - 'notiziabili' - dai telegiornali.

Ero, all'epoca, una funzionaria delle Nazioni Unite. Lavoravo per il World Food Programme, il Programma alimentare mondiale, e dal 1993 avevo effettuato diverse missioni nei Balcani, tavolta accompagnando i convogli umanitari che trasportavano alimenti per le centinaia di migliaia di sfollati. Avevo potuto anche apprezzare gli sforzi di una parte della popolazione italiana che aveva saputo dar prova di grandissima generosità, raccogliendo fondi e beni di prima necessità per le persone in fuga all'interno e dalla ex Jugoslavia. Talvolta questo avveniva anche grazie alla televisione pubblica, come nel caso della trasmissione Rai 'Ho bisogno di te', di cui Giovanni Anversa è stato per anni il conduttore.

Numerosi italiani si impegnarono in prima persona per la pace, cercando di promuovere il dialogo tra esponenti della società civile dei diversi gruppi etnici e di tenere viva l'attenzione dei decisori in Italia ed in Europa. Penso, in particolare, a figure come quella di Alexander Langer, di cui ricorre quest'anno il ventennale della scomparsa.

In quel luglio del 1995, le notizie in arrivo da Srebrenica, le immagini riprese da quelli che sarebbero, di lì a breve, divenuti dei carnefici efferati, non lasciavano dubbi su quanto stava per accadere. In quel luglio del 1995, la comunità internazionale non agì per fermare il massacro di oltre ottomila uomini, ragazzi e bambini; non agì per impedire la caccia all'uomo tra i boschi che separavano Srebrenica da Tuzla; non agì per evitare le violenze e gli stupri di centinaia di donne; non agì per far sì che non avvenisse la pulizia etnica - termine che fu coniato proprio in quegli anni dagli aguzzini - di Srebrenica e delle zone circostanti. Territori che erano stati dichiarati 'safe area', ''area sicura' cioè, in cui le persone avrebbero dovuto sentirsi protette.

Oggi, dunque, sta a tutti noi, esponenti delle istituzioni dei Paesi occidentali e semplici cittadini, riconoscere la nostra corresponsabilità per quanto accadde a Srebrenica. Con la consapevolezza che non può esserci pace senza giustizia, sia a livello nazionale che internazionale, e che per questo è necessario l'impegno di tutti. Così come sta a noi - soprattutto alle persone che erano già adulte, vent'anni fa - ricordare il genocidio e trasmetterne la memoria ai più giovani. Srebrenica e la guerra di Bosnia sono ferite ancora aperte nel cuore dell'Europa.

Tutte le ferite, però, vanno rimarginate. Per farlo, occorre che i responsabili dei crimini commessi in Bosnia-Erzegovina siano assicurati alla giustizia, sia internazionale che nazionale. L'accordo recente in materia di cooperazione giudiziaria tra Serbia e Bosnia-Erzegovina è un passo in avanti in questa direzione, ma le recenti schermaglie tra i due Paesi che hanno coinvolto l'ex comandante bosniacco Orić, come anche il tentativo fallito di approvare una Risoluzione sul genocidio al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, hanno riacceso le tensioni alla vigilia delle commemorazioni del ventennale.

Tensioni che non dovrebbero avere ragione d'esistere in una Bosnia-Erzegovina ormai avviata verso l'integrazione europea. Vent'anni fa, questo sarebbe stato impensabile. Oggi, spetta all'Unione europea - ed in primo luogo all'Italia, così vicina geograficamente e culturalmente - sostenere la Bosnia in questo percorso, spronando anche le istituzioni bosniache ad avviare le riforme necessarie per superare lo stallo post-Dayton e per offrire, con la crescita economica, le opportunità che permettano ai giovani di costruirsi una vita reale.

Tensioni che occorre dunque stemperare, ricordando anche che le responsabilità sono sempre individuali e mai collettive, e che è giunta l'ora di permettere alle giovani generazioni di abbandonare l'odio perché solo così si potranno muovere verso un percorso di riconciliazione. Riconciliazione che non deve prescindere dal ricordo, ma che è la base per assicurare alla Bosnia-Erzegovina un futuro di pace, un futuro più prospero, un futuro europeo.

Vi ringrazio dell'attenzione.