10/06/2013
Montecitorio, Sala del Mappamondo

"Parole libere o Parole d'odio? Prevenzione della violenza on-line"

Vorrei innanzitutto ringraziare tutti voi per aver voluto prendere parte a questa iniziativa. Ringrazio i relatori - Vice Segretario Generale Battaini-Dragoni, Ministra Idem, Professor Rodotà, Raffaela Milano, Elizabeth Linder e Giorgia Abeltino - ed i molti giornalisti e blogger che partecipano all'incontro e che spero contribuiranno al dibattito che seguirà le relazioni. Vorrei estendere un ringraziamento particolare e sentito alle persone che offriranno una testimonianza di ciò che possono significare la violenza e l'incitamento all'odio on-line.

L'idea di quest'incontro nasce circa un mese fa a Venezia, dove ho partecipato ad un'iniziativa organizzata dal Consiglio d'Europa assieme a Gabriella Battaini-Dragoni. In quell'occasione, la Vice Segretario Generale mi riferì della campagna del Consiglio d'Europa contro l''hate speech' - i discorsi di odio o incitamento all'odio - che mira a coinvolgere i giovani, rendendoli consapevoli del modo in cui la violenza e gli insulti possono essere diffusi sul web ed aiutandoli a combattere questi fenomeni. Nacque così l'idea di presentare questa campagna - che in Italia verrà attuata dal dicastero della Ministra Josefa Idem - alla Camera dei deputati.

Questo evento nasce dunque dall'esigenza di voler stimolare un dibattito anche qui in Italia su un tema - l'esigenza di trovare un equilibrio, anche sulla Rete, tra tutela della libertà d'espressione e salvaguardia dei diritti umani - di grande attualità in molti Paesi del mondo.

Non siamo qui oggi, dunque, per occuparci della libertà della Rete, bensì delle parole d'odio che la Rete può contribuire a diffondere. Alcuni, nei giorni scorsi, hanno sollevato il dubbio che il senso di questo dibattito potesse essere la censura di chi critica le istituzioni, addirittura la repressione del dissenso. È una distorsione della realtà, tanto più per chi si è speso per anni in difesa dei diritti e delle libertà. Nella mia precedente attività, ho lavorato in situazioni di crisi umanitarie, di guerre e conflitti. Ho assistito rifugiati che riuscivano a fuggire da regimi sanguinari dopo abusi e torture. Tra di loro vi erano anche - penso ai dissidenti iraniani - persone che avevano criticato un regime sul web e che, per questo, erano dovuti fuggire.

Nei miei anni nelle agenzie delle Nazioni Unite, ho potuto anche osservare quanto possa essere dirompente la forza della Rete quale catalizzatore di movimenti per la libertà, la democrazia, i diritti; penso, ad esempio, alle Primavere arabe o alle masse che, in questi giorni, riempiono le piazze della Turchia. Ed ho potuto anche vedere quanto la repressione della libertà in Rete - la chiusura dei social media, il blocco del flusso di informazioni all'interno del Paese e di quelle inviate all'estero - possa contribuire a soffocare i movimenti per la libertà. Penso, ad esempio, alle rivolta dei monaci buddisti in Birmania nel 2007.

La forza della Rete quale strumento di libertà e di partecipazione, qui in Occidente, è evidente ad esempio dalle petizioni on-line che, in pochi giorni, raccolgono decine e centinaia di migliaia di firme, costringendo i governanti ad ascoltare la voce dell'opinione pubblica su temi fondamentali come la salvaguardia dell'ambiente. In Italia è stata anche la straordinaria mobilitazione dei cittadini sul web che ha impedito, appena un anno fa, che venisse approvata una legge che rischiava di limitare la libertà proprio sulla Rete.

Allo stesso tempo bisogna anche essere consci del fatto che la Rete non è uno sconfinato spazio di libertà illimitata. Le finalità di molti tra i più popolari siti al mondo, ad esempio, sono in primis commerciali, mentre mettere in atto forme di tutela efficaci per gli utenti che divengono vittime di odio non è sempre una priorità. L'obiettivo principale, tra i colossi dell'industria di internet, rimane quello di aumentare il numero degli utenti, delle visite, delle cosiddette hit, numeri da rivendere poi alla pubblicità. Non dimentichiamo che la rete di Internet è nata pubblica, ma ha subìto un significativo processo di privatizzazione a partire dalla metà degli anni '90.

La Rete - come ricordavo prima - può anche essere luogo di istigazione all'odio. Ed è di questo che parleremo oggi e di questo che si discute in molti Paesi. In Gran Bretagna, ad esempio, ha stimolato un ampio dibattito il caso di Mary Beard, professoressa di lettere antiche all'università di Cambridge. In seguito ad una sua partecipazione ad una trasmissione televisiva in cui aveva parlato del contributo positivo dei migranti, si è scatenata contro di lei una virulenta campagna di odio on-line, caratterizzata da insulti e minacce sessisti irripetibili. Le donne - anche se non figurano, a differenza delle minoranze etniche o razziali o delle persone omosessuali, tra le categorie ritenute oggetto di hate speech in molte legislazioni nazionali - sono tra le più esposte a questo fenomeno. Ne sanno qualcosa anche molte donne italiane, blogger, giornaliste, politiche, attiviste e cittadine, giovani e meno giovani, che si espongono su temi controversi e per questo sono spesso vittime di una forma di misoginia online.

In questi giorni, alcuni drammatici fatti di cronaca avvenuti in Italia ci hanno ricordato ancora una volta in che modo la Rete possa essere utilizzata anche per colpire individui inermi. Un ragazzo ed una ragazza, vittime di una persecuzione mirata da parte dei compagni, si sono tolti la vita negli ultimi mesi. Entrambi erano oggetto di sberleffi ed insulti nella vita reale e sui social media. In questa occasione, la Rete ha dimostrato come possa fungere anche da amplificatore dei messaggi tesi ad annientare una persona o un gruppo di persone.

In passato le vittime di bullismo subivano gli attacchi di un gruppo circoscritto di persone che avevano deciso di prenderli di mira. Una situazione difficile ed angosciante, che ha segnato e segna l'infanzia e l'adolescenza di tanti, soprattutto dei molti - la più parte - che non hanno trovato la forza di reagire. Oggi, però, le bugie, gli insulti, le minacce contro una persona possono raggiungere centinaia o migliaia di utenti, finendo per causare una pressione insostenibile.

Spetta a noi adulti - a noi genitori ed educatori - spiegare ai nostri figli che questa pressione può essere sì enorme, ma che è anche effimera. L'interesse della Rete per una persona, un evento, un fatto ha una durata limitata nel tempo. Viene superata da altre notizie e da altre informazioni nel giro di pochissimi giorni, talvolta di pochissime ore. La Rete - i suoi utenti - possono crocifiggerti un giorno, glorificarti quello successivo e dimenticarti quello ancora dopo.

L'accanimento contro un ragazzo fragile o bollato come diverso è però solo un aspetto dell'uso distorto che si può fare del web. Il cyber-bullismo è una parte dell'incitamento all'odio che avviene in Rete. Uno dei due ragazzi cui accennavo poco fa era omosessuale. Gli attacchi contro di lui erano dovuti al suo essere gay. Quello che questo ragazzo ha subìto è una violenza basata sull'intolleranza verso il suo orientamento sessuale.

Troppo spesso i cosiddetti discorsi di odio verso gli appartenenti a specifici gruppi etnici o razziali, verso le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender, verso le minoranze, verso le donne vengono sottovalutati se diffusi sul web. E invece ciò che costituisce reato off-line, lo è anche on-line, come ci ha ricordato uno degli illustri relatori qui presenti, il professor Stefano Rodotà. Chi incita alla violenza contro le comunità ebraiche, contro i rom ed i sinti, contro le persone di fede musulmana commette un reato, che lo faccia nella pubblica piazza o in quella - ben più ampia e capillare - della Rete. E questo tipo di discorso di odio - quello contro determinate categorie di persone - non si esaurisce in poco tempo. Si moltiplica, fino a diventare talvolta una valanga.

Per combattere questi fenomeni non è necessario prevedere nuove norme e, soprattutto - lo ripeto ancora una volta - non occorre censurare la libertà d'espressione. Bisogna tutelare il legittimo dissenso e, allo stesso tempo, impedire ai violenti di agire. Esattamente come si fa off-line, nella vita di tutti i giorni.

Bisogna però tenere ben presente il fatto che, quando un reato è commesso via web, individuarne l'autore è spesso molto più difficile. False identità o server collocati all'altro capo del mondo offrono un comodo riparo.

Bisognerà dunque rafforzare la cooperazione internazionale per perseguire i reati di incitamento all'odio. L'Unione europea lo sta già facendo, ad esempio attraverso la nuova Strategia contro il 'cybercrime', il crimine sulla Rete. Il Consiglio d'Europa - di cui abbiamo tra noi uno dei più alti rappresentanti - custode della Convenzione europea per i Diritti dell'Uomo, ha elaborato da tempo un trattato sul 'cybercrime', la Convenzione di Budapest. Il Protocollo a questa Convenzione riguarda proprio la lotta agli atti di natura razzista e xenofoba commessi attraverso i sistemi informatici. E' uno strumento che raggiunge quell'equilibrio tra tutela della libertà d'espressione e repressione dell'incitamento all'odio cui accennavo all'inizio e cui credo dovremmo aspirare. L'Italia ha ratificato la Convenzione nel 2008. Mi auguro che il Parlamento consideri al più presto l'opportunità di aderire anche al Protocollo.

L'iniziativa di oggi si propone di stimolare un dibattito su questi temi. E, soprattutto, tenta - attraverso la partecipazione di voci diverse - di far conoscere alcune proposte che mirano a combattere l'incitamento all'odio on-line, attuando iniziative di formazione per adulti e ragazzi e coinvolgendo gli utenti - giovani ed adulti - negli sforzi per porre fine a questi fenomeni.

Vi ringrazio fin d'ora per la vostra attenzione e spero che vorrete partecipare numerosi al dibattito che seguirà le relazioni.