03/12/2013
Auditorium della Fondazione Santa Lucia

Giornata internazionale dei Diritti delle Persone con disabilità

Buon giorno. Saluto tutti i presenti, il sottosegretario Paolo Fadda e le altre autorità civili e religiose. Ringrazio la Fondazione Santa Lucia e il Consorzio Sociale Coin per l'invito che mi è stato rivolto a prendere parte a questa iniziativa che considero di grande valore e per lo straordinario lavoro che fanno.

Apprezzo, in modo particolare, il fatto che abbiate promosso in questa occasione un dialogo con le Istituzioni locali e nazionali, perché l'affermazione dei diritti delle persone disabili è una questione che ci coinvolge tutti e rispetto alla quale tutti debbono sentirsi responsabilizzati.

Le persone colpite da gravi forme di disabilità sono in Italia poco meno di 3 milioni e nel mondo, secondo le stime delle Nazioni Unite, circa 650 milioni, quasi il 10 per cento della popolazione globale. Vale a dire che le persone con disabilità potrebbero rappresentare il terzo "paese" per numero di abitanti dopo la Cina e l'India.

A loro le Nazioni Unite dedicano ormai da anni questa giornata internazionale.

Ci aiuta ad affrontare i temi al centro di questa giornata, la lettura di alcuni passi della nostra Costituzione. Consentitemi di farlo ora con voi:

Articolo 3. "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali", ed anzi, aggiunge in modo inequivocabile il testo costituzionale, "è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese".

Partiamo da qui: dal limpido messaggio della Carta costituzionale che non si limita a riproporre il fondamentale valore della solidarietà ma ci dice che di fronte alla legge siamo tutti uguali, che abbiamo tutti la stessa dignità e tutti abbiamo il diritto al pieno sviluppo della persona, alla libertà, alla partecipazione.

Tutti, nessuno escluso.

E allora la disabilità diventa diversità, diventa handicap, solo quando è marcata dall'egoismo e dall'indifferenza degli altri, solo quando al pieno sviluppo della persona si frappongono le barriere architettoniche e quelle culturali, le difficoltà materiali, l'impossibilità di attivare i propri diritti, l'incertezza sul proprio futuro. In una parola : la solitudine.

Ma la Costituzione ci dice che questo non lo possiamo e non lo dobbiamo consentire !

Non possiamo consentire che si voltino le spalle di fronte al dramma di milioni di persone con disabilità e a quello delle loro famiglie.

Si, anche di questo dobbiamo parlare oggi, delle famiglie. Se vengono lasciate sole, in quelle famiglie entra l'angoscia e la disperazione. Non c'è più serenità, e la vita si fa davvero difficile. Lo dico anche per esperienza personale.

Ecco perché, come dicevo all'inizio, ciascuno si deve responsabilizzare. Perché la disabilità è un problema sociale, non individuale.

E la piena integrazione non è una concessione generosa e caritatevole : è un'opportunità per il sistema paese su cui investire con progetti innovativi e risorse materiali.

Gli atteggiamenti e i pregiudizi discriminatori sono quindi non solo ingiusti ma anche miopi, perché se le persone con disabilità potessero esprimere liberamente i loro talenti e le loro potenzialità, a trarne vantaggio sarebbe tutta la società.

Ma c'è una battaglia culturale da fare, perché nel profondo della nostra società, e spesso purtroppo tra i giovani, si sviluppano culture di odio e di sopraffazione che si scagliano, a volte in modo violento, verso tutto ciò che appare o viene presentato come diverso, e quindi anche verso i disabili.

A questo non bisogna stancarsi mai di contrapporre un'altra visione, quella della valorizzazione di ogni diversità come ricchezza delle società aperte e democratiche. E bisogna farlo a partire dall'educazione scolastica.

E poi c'è il mondo dell'informazione, c'è il cinema, il teatro, il mondo dello sport. Tutti debbono far sentire la propria voce, tutti debbono ingaggiarla questa battaglia ideale, perché è parte essenziale della più generale battaglia contro ogni forma di razzismo e di sopraffazione.

Dal punto di vista delle istituzioni intervenire a sostegno delle persone che partono con uno svantaggio oggettivo è, dunque, una grande questione di libertà e di giustizia sociale che deve rimanere sempre al centro dell'agenda politica, che non può essere spazzata via dai venti di crisi, né sacrificata sull'altare dei tagli alla spesa.

Anzi, è proprio nei momenti di difficoltà, quando cioè è necessario fare delle rinunce e dei sacrifici, che non si può abbandonare al proprio destino la parte più vulnerabile della società.

Ho visto nel vostro comunicato tagli sempre più inquietanti, mi riesce difficile capire il perché dei tagli fatti.

In altre parole, non si possono chiedere ulteriori sacrifici a quell'Italia silenziosa, fatta di famiglie che vivono il dramma di un parente disabile, fatta di associazioni, di volontari, di professionisti, di persone competenti che si dedicano agli altri.

Un'Italia che c'è ma non si vede, che non balza mai agli onori della cronaca, che va ascoltata e sostenuta proprio nei momenti di difficoltà come quelli stiamo attraversando.

Nel nostro Paese, come è a voi noto, l'obiettivo della pari dignità sociale dei soggetti disabili è stato perseguito attraverso l'approvazione di importanti provvedimenti legislativi che hanno sancito il passaggio dal modello medico e assistenziale a quello dell' inclusione.

Mi riferisco soprattutto alla legge quadro sull'handicap del 1992 e a quella sull'inserimento e l'integrazione dei disabili nel mondo del lavoro.

Tutto questo non sarebbe stato possibile senza la partecipazione attiva dei disabili stessi, delle loro famiglie , delle associazioni di volontariato, di una vasta rete solidale. E i risultati si sono visti.

Ma molto resta ancora da fare.

Infatti il percorso di inclusione della persona disabile non si è tradotto ancora in una piena effettività dei diritti.

Mancano progetti che accompagnino l'intero percorso di vita del disabile, e che ne garantiscano l'autonomia e l'indipendenza nel momento in cui verrà a mancare il sostegno della famiglia, nella fase del cosiddetto "dopo di noi", il grande assillo di tutti i genitori dei disabili, preoccupati della sorte dei loro cari nel momento in cui essi verranno a mancare.

E' in questo contesto che si è innestato il ruolo del no-profit, il cosiddetto "terzo settore".

L'impresa sociale si è affermata via via come una componente fondamentale della vita economica del Paese, una realtà da cui è ormai difficile prescindere.

Le statistiche, anche quelle presentate qui poco fa, ci dicono che mentre le istituzioni pubbliche e le imprese private conoscevano una contrazione del numero degli occupati già prima dell'avvio della crisi nel 2008, le imprese sociali, nel decennio 2001-2011 hanno aumentato il numero di occupati di quasi il 40% e sono cresciute nel numero del 28%.

Ancora oggi, nonostante pure su questo settore si siano sentiti i colpi della crisi e delle spending review, e nonostante pesi enormemente la mancata corresponsione dei debiti da parte della Pubblica Amministrazione, il no-profit si conferma come un settore in crescita.

Il segreto di questo sviluppo sta, a mio avviso, in tre ragioni :

Primo, perché è cresciuta in questi anni di crisi l'area del disagio sociale e con essa la domanda di assistenza.

Secondo, perché l'evoluzione del mercato del lavoro offre maggiori opportunità all'autoimpiego e alla creazione d'impresa piuttosto che al lavoro dipendente.

Terzo, perché il no-profit non agisce in settori di mercato ormai saturi, ma nella grande arena, ancora poco praticata, della tutela della salute e dell'ambiente, della valorizzazione dei beni culturali e dei servizi alla persona. E fa tutto questo con uno sforzo continuo di aggiornamento e di innovazione tecnologica.

E la cultura, l'ambiente, la salute, le nuove tecnologie non sono mode del momento : sono i settori del futuro, sui quali si può costruire un nuovo modello di sviluppo sostenibile.

Parte importante del mondo no-profit, sono proprio realtà significative come quelle che hanno promosso questo incontro, e che ringrazio ancora una volta per l'invito.

La missione di realtà come le vostre è scritta nel titolo di questo convegno : autonomia.

Fare in modo cioè che le persone con disabilità possano avere una vita indipendente. Possano lavorare, studiare, vivere i propri affetti con libertà e responsabilità.

Possano essere a tutti gli effetti cittadini portatori di diritti inalienabili.

Questa deve essere sempre di più anche la missione delle istituzioni.

Vi ringrazio ancora una volta perché voi la Costituzione la onorate ogni giorno.

Grazie e buon lavoro.