28/05/2014
Montecitorio, Sala della Regina

Presentazione del rapporto annuale 2014 dell'Istat dal titolo 'La situazione del Paese'

Buongiorno. Saluto e ringrazio il Presidente Antonio Golini e tutti i presenti. La Camera dei deputati ospita ancora una volta con grande piacere la presentazione del Rapporto annuale dell'Istat sulla situazione del paese. Si tratta ormai di una consuetudine che testimonia il forte legame che esiste fra il Parlamento e l'Istituto di statistica. Il Rapporto Istat è un grande libro aperto sulle maggiori questioni di carattere economico, politico e sociale che attendono una risposta da parte delle forze politiche e delle istituzioni democratiche.

Una fonte di dati che disegna con precisione il profilo dell'Italia di oggi. Trovo molto opportuna la scelta, fatta nel Rapporto, di confrontare sistematicamente i dati italiani con quelli degli altri partner dell'Unione europea. Ho sempre ritenuto questo l'approccio migliore per analizzare i tanti problemi che vive il nostro paese: pensarli all'interno del più ampio orizzonte europeo e internazionale. E questo è tanto più necessario all'indomani dell'elezione del nuovo Parlamento europeo e alla vigilia del semestre italiano di presidenza del Consiglio dell'Unione.

L'Istat ha svolto e continua a svolgere un prezioso lavoro di sostegno all'attività parlamentare, non facendo mai mancare il proprio apporto di conoscenza e di analisi. Per preservare questo ruolo di alta consulenza verso il Parlamento e gli altri organi politici è fondamentale continuare a garantire all'Istituto di statistica la più completa indipendenza rispetto ad ogni tipo di condizionamento.

E' proprio grazie alla sua indipendenza che, in un paese come il nostro ad alta conflittualità politica, l'Istat ha saputo guadagnarsi quella reputazione di attendibilità e di rigore che gli viene oggi universalmente riconosciuta. Rappresenta per noi un grande riferimento.

Altrettanto importante è il fatto che l'Istituto sia inserito nel sistema statistico europeo, quale ulteriore garanzia di oggettività e di accuratezza scientifica.

L'Istat ha dimostrato negli anni anche una continua capacità di innovazione che è stata recentemente espressa nella messa a punto - in collaborazione con il CNEL - del BES, la misura dello stato di benessere equo e sostenibile del paese. Una iniziativa che nasce dalla giusta convinzione che i parametri per definire il grado di progresso della società non possano essere solo quelli di ordine economico e che occorre prendere in considerazione altri fattori, come la qualità dei servizi sociali, la tutela ambientale, la conciliazione dei tempi di lavoro e di vita delle persone. Si tratta di aspetti che ci aiutano a capire, al di là dei numeri del PIL, il vero stato di salute della comunità nazionale e le reali prospettive della nostra società.

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Il ritratto del paese che emerge dal Rapporto 2014 è innanzitutto quello di un'Italia in grande sofferenza a causa della crisi economica. Una crisi economica che ha messo a dura prova la tenuta del nostro tessuto sociale.

Alcuni dati sono impressionanti e ci trasmettono un messaggio di allarme che dovrebbe indurre ad interventi immediati. Penso ad esempio ai dati sulla povertà : milioni di uomini e di donne che non possono permettersi neppure la spesa minima necessaria per acquisire il paniere di beni e servizi considerati essenziali, per condurre insomma uno standard di vita che possa definirsi minimamente accettabile. Sono dati difficilmente compatibili con quei doveri inderogabili di solidarietà sociale iscritti fra i principi fondamentali della nostra Costituzione.

Il disagio sociale continua ad essere molto più elevato nelle regioni del Mezzogiorno rispetto alle altre aree del Paese.

Ma , paradossalmente, le capacità di risposta da parte degli enti locali sono assai più incisive al Nord che al Sud: la spesa per abitante per il contrasto alla povertà e all'esclusione sociale nella provincia di Trento è di quasi dodici volte superiore a quella della regione Calabria!

Se non si inverte questa tendenza, le diseguaglianze fra le classi sociali e tra le diverse aree del paese sono destinate ad allargarsi e a diventare ancora più insostenibili.

Non possiamo continuare ad essere tra i paesi europei con le percentuali più basse di spesa destinate alla disabilità e penultimi nella classifica delle risorse dedicate alle famiglie. E' una tale contraddizione, in un Paese in cui la famiglia è così centrale nel discorso pubblico.

A colmare questo divario si impegna quella che è una delle migliori risorse italiane: l'intervento del terzo settore che vede ogni giorno oltre 4 milioni di volontari prestare la propria opera per rendere migliori le condizioni della convivenza civile. E' una grande ricchezza di capitale sociale che non può tuttavia essere lasciata sola a fronteggiare fenomeni che hanno una portata generale e di lunga durata.

Uno di questi fenomeni è la crescita della popolazione anziana. Siamo, subito dopo la Germania, il paese con il più alto indice di vecchiaia dell'Unione europea, e con un andamento demografico negativo, se non fosse per l'afflusso dei migranti provenienti da paesi stranieri.

Ma è il lavoro la grande priorità dell'Italia di oggi. La disoccupazione giovanile rappresenta uno spreco di energie e di intelligenze che non ci possiamo più permettere!

Così come non è più tollerabile il fatto che tante, troppe donne vengano poste di fronte all'alternativa drammatica tra la professione e la scelta della maternità perché si fa sempre più fatica a conciliare i tempi di vita e di lavoro. E' incredibilmente alto il dato, circa il 22 per cento, delle donne che perdono il lavoro dopo il parto, soprattutto nel Mezzogiorno dove il dato sale quasi al 30 per cento.

E in questo dato rientrano certamente gli effetti di quella pratica odiosa delle "dimissioni in bianco" che il Parlamento sta cercando da tempo di cancellare, pur tra molte,troppe resistenze ancora in atto.

Sono stata la settimana scorsa in visita ufficiale negli Stati Uniti. Ho incontrato nel Maryland, vicino Washington gli scienziati italiani del National Institutes of Health e a New York un gruppo di giovani imprenditori italiani che sono riusciti a realizzare le loro idee attraverso start up che operano in settori innovativi.

Due incontri davvero interessanti, nei quali i miei sentimenti sono stati misti: da un lato l'orgoglio di vedere nostri connazionali che si affermano per le loro competenze, dall'altro la frustrazione di non poter dire loro di tornare in Italia. Ho visto da vicino quale perdita sia per il nostro paese la rinuncia ad avvalersi di questi talenti e quanto sia drammaticamente vero quanto riportato nel Rapporto: il numero degli emigrati italiani nel 2012 è stato il più alto dell'ultimo decennio e cresce di anno in anno in modo consistente. A fronte di un calo altrettanto progressivo dei rientri.

Non considero un problema in sé il fatto che i nostri giovani decidano di trascorrere un periodo di studio o di lavoro all'estero. Da esperienze di questo tipo si ricava un sicuro arricchimento culturale. Il problema sta nel fatto che l'Italia non attrae giovani di altri paesi e non convince i nostri a tornare. Anche per questo serve un maggiore investimento nella formazione, nella cultura e nella ricerca. La sfida della conoscenza ha ormai la stessa dimensione globale di quella dell'economia ed è ad essa strettamente intrecciata.

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La fotografia che emerge da questo Rapporto sullo stato del paese è dunque complessivamente preoccupante. Ma non mancano aspetti positivi che vanno assolutamente valorizzati, soprattutto in un momento come questo. Penso ad esempio ai segnali di ripresa che vengono dal nostro sistema produttivo. I dati più recenti dimostrano come non poche imprese abbiano saputo reagire alla crisi economica, facendo leva sull'internazionalizzazione, sull'innovazione, sulla capacità di fare rete con altre imprese.

Altri dati confortanti riguardano la fiducia dei consumatori, che segna il valore più alto dal 2010 e la tutela della salute.

Pur con una spesa sanitaria pubblica per abitante nettamente inferiore a quella di molti paesi europei, alcuni indici sullo stato di salute della popolazione collocano l'Italia nella fascia alta dell'Europa: ad esempio per aspettativa di vita, per i bassi tassi di mortalità infantile, per la capacità di intervento e di cura delle più diffuse patologie.

Ho accennato solo ad alcuni fra i tantissimi spunti di interesse contenuti nel Rapporto dell'Istat. Gli elementi di tenuta del nostro paese davvero non mancano, nonostante la formidabile scossa data dalla crisi. Spetta alla politica far sì che essi diventino semi attivi di speranza.

Il Rapporto che oggi presentiamo ci spinge a non rassegnarci e a progettare il cambiamento necessario a migliorare le condizioni di vita dei nostri concittadini.

Anche il recente voto europeo, pur con le sue tante contraddizioni, ci richiama al dovere del cambiamento. A questa esigenza le istituzioni devono essere pronte a corrispondere con apertura e con fiducia. La Camera dei deputati farà certamente la parte che le spetta.

Grazie.