08/04/2014

Conferenza dei Presidenti delle Assemblee parlamentari dell'Unione Europea

Onorevoli Presidenti, autorità, cari colleghi, sono molto lieta di essere qui, alla mia prima Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti dell'Unione europea. Un anno fa, infatti, la mia partecipazione fu preclusa dallo svolgimento concomitante dell'elezione del Presidente della Repubblica italiana.

E' poi un grande piacere ritrovare alcuni di voi, con i quali ci siamo salutati poco più di due settimane fa a Roma, in occasione della conferenza internazionale che ho voluto organizzare assieme al Presidente del Parlamento ellenico, Evanghelos Meimarakis. Infine, lasciatemi ringraziare la Presidente del Seimas lituano, Loreta Graužinienė, che ha voluto invitarmi ad intervenire qui a Vilnius in qualità di relatrice.

A Roma come qui, a Vilnius, il nostro incontro si svolge con lo spettro di un conflitto alle nostre frontiere. E' una minaccia terribile - proprio ieri abbiamo ascoltato le preoccupazioni dei nostri partner orientali - che rende più difficile discutere dei temi, pur importantissimi, al centro della Conferenza di questi giorni.

E' proprio da alcuni degli spunti sollevati nel corso dell'iniziativa di Roma che vorrei partire, come avevo promesso in quella sede. Lo vorrei fare cominciando da una delle domande cui siamo chiamati a rispondere nel corso di questa sessione. Qual è, ci viene chiesto, il contributo dello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia alla crescita ed alla prosperità europea? O, in altri termini, quali sono i costi ed i benefici delle varie politiche in questo settore?

Io ed il Presidente Meimarakis - come anche i colleghi provenienti dalla Spagna, da Malta, da Cipro - conosciamo bene il costo più drammatico di uno dei fenomeni che, nell'assetto dell'Unione, ricade nello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia: la perdita di vite umane tra i migranti che tentano di fare ingresso in Europa. E' una situazione che conosco da vicino: prima di ricoprire quest'incarico ho lavorato per quindici anni con l'Agenzia ONU per i rifugiati e spesso mi sono ritrovata sulla piccola isola italiana di Lampedusa, dove sbarcano ogni anno migliaia di persone.

E' di pochi giorni fa la pubblicazione, da parte di un gruppo di giornalisti e ricercatori, dei dati più esaustivi finora raccolti sul numero di persone morte alle nostre frontiere o lungo le rotte che conducono all'Europa. Dal 2000 ad oggi - secondo queste stime per difetto dei soli morti accertati - oltre 23mila persone sono morte nei nostri mari, alle nostre frontiere terrestri, nei deserti nei Paesi di transito. Il luogo in cui hanno perso la vita più persone - le vittime sono state quasi 8mila - è il Mediterraneo, il Mare Nostrum.

Chi pagherà per queste morti, onorevoli Presidenti, cari colleghi? Se il nostro è uno Spazio di libertà, sicurezza e giustizia, lo deve essere anche per chi ha perso la vita nel tentativo di raggiungerlo in fuga da persecuzioni, violenze, povertà estrema. Come deve esserlo per chi sopravvive al viaggio e di sovente viene avviato allo sfruttamento nei campi agricoli, nei cantieri edili e nel mercato del sesso del nostro continente. Per porre fine al traffico ed alla tratta di esseri umani - people smugglinge trafficking - le risposte dovranno essere congiunte. Questi reati, tra i più odiosi del nostro tempo, sono infatti transfrontalieri per definizione. Ed è per combattere questo tipo di crimini che l'Unione europea, tra i molti progressi conseguiti in questo campo, ha saputo dotarsi di una Direttiva sulla tratta e, più in generale, di una cooperazione giudiziaria rafforzata.

Il 'burden-sharing' - la suddivisione degli oneri tra i Paesi membri - di cui ritengo ci sia più bisogno deve essere dunque quello teso a salvare vite umane. Il Canale di Sicilia, come anche il Mar Egeo ed il Mar Ionio, oppure il Mediterraneo occidentale, non sono le frontiere di pochi Paesi rivieraschi. Sono le frontiere dell'Europa. Dovremo dunque rafforzare le azioni congiunte relative alla ricerca ed al soccorso, come auspicato dalla Taskforce per il Mediterraneo istituita dalla Commissione europea, e garantire l'assoluta inviolabilità del principio di non-respingimento - il non-refoulement di richiedenti asilo e rifugiati - anche nel quadro delle operazioni marittime di FRONTEX, come enunciato nella bozza di Regolamento dell'Agenzia attualmente in via di approvazione da parte del Parlamento europeo.

Non è chiudendo o 'difendendo' le frontiere - come afferma qualcuno per ottenere facili consensi - che fermeremo i flussi migratori. Per gestirli meglio, sarà invece necessario, in maniera bilaterale ed attraverso l'azione esterna dell'Unione, affrontare con maggiore efficacia le cause profonde di questi movimenti di persone.

Per evitare che le persone rischino di perdere la vita in mare, dovremmo inoltre prendere in considerazione anche altre proposte lanciate dall'esecutivo europeo e da alcuni rappresentanti delle istituzioni nazionali, come quella di permettere a chi fugge da violenze e persecuzioni di presentare domanda d'asilo presso le rappresentanze diplomatiche dei Paesi UE negli Stati di transito, in modo da scongiurare i viaggi, spesso mortali, per raggiungere l'Europa. Come richiesto sia dalla Commissione europea che dalle organizzazioni internazionali, dovremmo poi rafforzare le politiche di reinsediamento - il 'resettlement' - attraverso le quali i rifugiati, con l'ausilio delle agenzie multilaterali, vengono trasferiti dai Paesi di prima accoglienza - dove si trova, va ricordato, la maggior parte degli sfollati forzati al mondo - ai vari Stati destinatari. Nel 2012, dei circa 70mila rifugiati accolti in Paesi terzi tramite il programma di reinsediamento dell'Agenzia ONU per i Rifugiati, solo 4.400 sono giunti nell'Unione Europea; è chiaro che dobbiamo fare di più.

Presidenti, colleghi, molto spesso si dimentica una delle maggiori novità apportate dal Trattato di Lisbona: all'Articolo 3, nell'elencare le varie missioni istituzionali e gli obiettivi generali dell'azione dell'Unione europea, si colloca al primo posto - dopo la tutela della pace e del benessere dei popoli europei - la creazione di uno Spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Soltanto nei paragrafi successivi si richiamano gli obiettivi dell'istituzione del mercato interno, della crescita economica e della stabilità dei prezzi. Eppure - come abbiamo avuto modo di convenire a Roma - l'Unione europea, sotto l'incalzare della crisi economico-finanziaria degli ultimi anni, ha approvato una serie di decisioni allo scopo di garantire la sostenibilità delle finanze pubbliche e private, senza valutarne appieno l'impatto in termini sociali.

In molti Paesi membri, ampie fasce della popolazione sono state esposte a condizioni di crescente precarietà: il rischio povertà è aumentato, in palese contrasto con gli obiettivi della Strategia 2020, e si sono accentuate le diseguaglianze sociali. Tutto ciò ha finito per intaccare alcuni diritti irrinunciabili, a partire da quelli alla salute ed al lavoro, affermati solennemente dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. E, conseguentemente, è calata drasticamente la fiducia dei cittadini nelle istituzioni nazionali ed europee. Una perdita di fiducia che potrebbe avere un fortissimo impatto sulla partecipazione alle elezioni europee e sulle scelte dei cittadini che si recheranno alle urne.

Si ha l'impressione che l'Unione europea non sempre abbia colto appieno la centralità degli obiettivi stabiliti all'Articolo 3, obiettivi che richiamano i valori fondanti dell'Unione europea: rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e dei diritti umani, con particolare riguardo alle minoranze, alla tutela del pluralismo ed alla non discriminazione.

Ritengo che il 2014 - l'anno in cui l'Italia sarà nuovamente chiamata a ricoprire la Presidenza del Consiglio dell'Unione europea - sia l'anno in cui si debba imprimere una svolta nella direzione indicata dall'Articolo 3. Innanzitutto rilanciando la crescita e l'occupazione, precondizione per garantire i diritti sociali e per depotenziare gli argomenti di chi predica l'odio ed istiga alla violenza contro i marginalizzati, gli esclusi, gli appartenenti a minoranze.

Poi agendo con determinazione per far sì che i diritti fondamentali - tutti i diritti fondamentali - vengano rispettati nei Paesi dell'Unione europea, attraverso meccanismi di monitoraggio e sanzionatori rapidi ed efficaci. Non possiamo più permetterci di essere accusati di utilizzare due pesi e due misure a seconda se si è Paesi candidati all'adesione o Paesi membri dell'UE, e non possiamo agitare lo spauracchio dell'Articolo 7 del Trattato sull'Unione europea - la cosiddetta 'opzione nucleare' per sanzionare i Paesi membri che violano i diritti fondamentali - senza ricorrervi mai e senza individuare soluzioni alternative.

Quest'anno - come si è scelto giustamente di sottolineare nella bozza di Conclusioni della Conferenza - il Programma di Stoccolma arriverà al termine e l'Unione sarà poi chiamata a stabilire le proprie linee guida strategiche in materia di giustizia e affari interni per gli anni a venire. Nel periodo dal 2010 ad oggi, sono stati compiuti molti passi in avanti: dal consolidamento di un sistema d'asilo comune; al rafforzamento della protezione dei dati personali; al riconoscimento automatico ed all'immediata esecutività delle decisioni giudiziarie in tutti gli Stati membri, i cui benefici sono già evidenti per i cittadini e per le imprese.

Tuttavia, onorevoli Presidenti e colleghi, molto rimane da fare. E' preoccupante, ad esempio, il ritardo con il quale procede l'iter di approvazione della proposta di direttiva orizzontale antidiscriminazioni, relativa alla parità di trattamento indipendentemente da religione, età o orientamento sessuale. Presentata dalla Commissione europea addirittura sei anni fa, nel 2008, è stata finora bloccata dalle forti resistenze in alcuni Stati membri.

Alcuni fenomeni propri dei nostri tempi, inoltre, non sono stati ancora affrontati con la dovuta efficacia, anche per quanto riguarda la cooperazione tra Stati. Penso al proliferare del bullismo, dell'incitamento all'odio e delle molestie in rete - i cosiddetti cyber-bullying, online hate speech e cyber-harassment - che, come peraltro sollecitato di recente dal Parlamento europeo, dovranno essere contrastati con politiche mirate, nonché attraverso programmi formativi e didattici per i giovani.

Il 2014, infine, è l'anno in cui terminerà il cosiddetto periodo transitorio istituito dopo l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Dal gennaio del 2015, anche alle materie attinenti allo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia verrà applicata la procedura legislativa ordinaria, rafforzando dunque il ruolo ed i poteri del Parlamento europeo e, attraverso le disposizioni sulla sussidiarietà, quelli dei Parlamenti nazionali.

Dunque, cari colleghi, spetta anche a noi far sì che l'Europa non solo consolidi i traguardi raggiunti finora per quanto riguarda lo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia, ma che sappia andare oltre, restituendo al nostro continente il primato mondiale nella tutela dei diritti fondamentali e dello stato di diritto.

Vi ringrazio dell'attenzione e mi auguro di accogliervi tra un anno a Roma, in occasione della prossima Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti dell'Unione europea.