22/03/2017
Aula di Montecitorio

Partecipazione alla cerimonia celebrativa del Sessantesimo Anniversario dei Trattati di Roma istitutivi delle Comunità europee

Signor Presidente della Repubblica, Signor Presidente del Senato, Signor Vicepresidente del Parlamento europeo, Autorità, colleghi e colleghe,

Desidero innanzitutto ringraziare il Presidente Mattarella per la disponibilità a partecipare a questo momento celebrativo del 60° anniversario della firma dei Trattati di Roma.

Iniziative come quella odierna, così come la Conferenza parlamentare che si è tenuta il 17 marzo scorso, rappresentano un giusto omaggio verso un evento che ha segnato una svolta epocale nella storia contemporanea.

Il 25 Marzo del 1957, a due passi da qui, nella Sala degli Orazi e Curiazi del Campidoglio, l'Europa cessava di essere soltanto una dimensione geografica e un bacino di storia e di cultura ma cominciava a definirsi una "comunità", uno spazio per condividere non solo interessi ma principi e valori.

E tutte le ricostruzioni storiche ci dicono che i principali protagonisti del percorso che condusse a quella grande svolta - penso ad Adenauer, a De Gasperi, a Schumann -, avevano piena consapevolezza del fatto che l'obiettivo finale di questa comunità, che nasceva economica, sarebbe stato quello dell'integrazione politica.

Da allora si è fatto un lungo e importante cammino. Traguardi raggiunti, e anche battute d'arresto.

Mi riferisco, ad esempio, al freno interposto dalla Francia nel 1954 alla nascita della Comunità europea di difesa, o ai referendum olandesi e francesi del 2005 che hanno impedito il varo di una vera e propria Costituzione europea.

Ma, come diceva Altiero Spinelli, "la forza di un'idea non si misura nei suoi successi ma nella capacità di rinascere dopo ogni sconfitta".

E dalle cadute, dalle sconfitte ci si è sempre ripresi. La storia del processo di integrazione europea è caratterizzata da "stop and go".

Dopo la bocciatura della Comunità Europea di Difesa vennero i Trattati di Roma. E dopo il freno al progetto di Costituzione, venne il Trattato di Lisbona, che ha avuto il merito, tra l'altro di attribuire alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione lo stesso valore giuridico dei Trattati, rendendola così vincolante per le istituzioni europee e per gli Stati membri.

Anche in questo tempo più recente abbiamo registrato un evento negativo : un Paese importante come la Gran Bretagna ha deciso, con un referendum, di lasciare l'Unione Europea e sta per attivare la procedura di recesso prevista nel trattato di Lisbona.

Una scelta dolorosa che dobbiamo però considerare non come il tramonto del progetto europeista, ma come un'altra battuta d'arresto rispetto a cui dobbiamo reagire.

E reagire riprendendo con coraggio e convinzione quel cammino.

Perché tutte le crisi, anche questa, sono soprattutto occasioni di cambiamento. E il 60° anniversario dei Trattati di Roma deve rappresentare l'avvio di un cambiamento.

La nostra reazione deve partire innanzitutto dalla consapevolezza di che cosa ha rappresentato in questi decenni l'integrazione europea e dei benefici raggiunti grazie ad essa.

Abbiamo innanzitutto garantito la pace, in un continente che nel corso dei secoli aveva conosciuto molte guerre fratricide.

Abbiamo reso possibile la libertà di movimento consentendo così ai nostri popoli di conoscersi sempre più intensamente, superando pregiudizi e diffidenze.

Abbiamo assicurato le condizioni per uno sviluppo che mira alla sostenibilità e al rispetto dell'ambiente, alla crescita economica e al progresso, alla lotta all'esclusione sociale e alle discriminazioni.

L'Unione costituisce, infine, un modello esemplare per il mondo intero, per quanto riguarda la salvaguardia della dignità delle persone, dei diritti fondamentali, della democrazia e dello Stato di diritto. Nei Paesi dell'UE alle donne sono riconosciuti gli stessi diritti degli uomini e nel nostro continente è bandita la pena di morte.

Tutto questo non può essere né dimenticato, né sottovalutato.

Non ci si deve arrendere ad una narrazione negativa che indica l'Unione europea come esperienza fallimentare e capro espiatorio di tutti i problemi attuali.

Problemi ve ne sono e non serve negarli.

La crisi economica ha colpito pesantemente i nostri Paesi. Sono cresciute la disoccupazione, le diseguaglianze sociali e le fasce di povertà. E le politiche restrittive con le quali le istituzioni europee e gli Stati membri hanno scelto di rispondere alla crisi non hanno certo alleviato questi problemi.

Ma a questo si reagisce con un cambiamento nella politica economica, non prospettando un ritorno al protezionismo nazionale.

Più Europa sociale, questa è la priorità. Che significa più investimenti per la crescita e per l'occupazione.

E non c'è dubbio che la debolezza delle istituzioni europee, determinata dall'egoismo di alcuni Stati membri, abbia impedito una gestione razionale e condivisa di grandi problemi, primo fra tutti quello dei richiedenti asilo.

Ma qualcuno può davvero sostenere che problemi come i flussi migratori, la lotta al terrorismo, le politiche energetiche, il riscaldamento climatico, possono essere risolti da ogni Paese per proprio conto ?

Se le istituzioni europee non riescono a dare risposte tempestive è proprio perché quello dell'integrazione europea è ancora un progetto incompiuto. E questa incompiutezza non consente al nostro continente di sprigionare tutte le proprie potenzialità e di essere un protagonista di primo piano nella scena globale.

L'Europa, se unita, è una grande potenza mondiale. A fronte di una popolazione di 510 milioni di abitanti, il 7% di quella globale, l'Unione produce oltre il 20% del Pil di tutto il mondo ed è il primo grande esportatore. Nell'era della globalizzazione questo dato ha un valore primario.

Al contrario, nessun Paese europeo da solo, neanche il più forte, riuscirebbe a reggere la sfida con i giganti vecchi e nuovi dell'economia internazionale.

La fine del progetto europeo condannerebbe quindi il nostro continente all'irrilevanza e alla marginalizzazione.

Ma questo discorso vale anche per le potenzialità politiche dell'Unione. Quando riesce a parlare con una voce sola, come è accaduto in occasione della Cop 21, l'Europa è in grado di influenzare le scelte della politica internazionale. Quando è divisa e ogni Stato pensa di fare da sé, siamo tutti più deboli e più esposti alle decisioni delle potenze più grandi.

Ecco perché l'interesse dei nostri cittadini si difende con il rafforzamento dell'Unione, non con la sua disgregazione.

Rendendo le istituzioni europee più efficienti e più democratiche al tempo stesso. Riprendendo con ancora più slancio il percorso verso l'integrazione politica.

Sarebbe auspicabile che tutti i Paesi europei procedessero insieme in questa direzione. Sono tuttavia note le diversità di vedute su questo punto. E queste differenze vanno rispettate.

Ma dico con altrettanta chiarezza che le riserve di alcuni, non possono diventare la paralisi di tutti. Per questo va presa in considerazione la possibilità per gli Stati che lo vorranno di procedere verso un'integrazione più stretta, ferma restando la facoltà per gli altri, se e quando lo riterranno, di aderire successivamente.

Non facciamoci frenare dalla paura, non è più tempo dei piccoli passi.

Grazie all'Erasmus e alla libertà di movimento si sta affermando la prima vera generazione europea. Non possiamo tarpare le ali ai nostri giovani interrompendo proprio adesso il cammino dell'integrazione. Non possiamo compromettere il futuro dei nostri figli.

Dobbiamo garantire loro di vivere in un'Europa di pace, benessere e libertà.

E questo merita tutto il nostro impegno.