27/05/2017
Roma, Hotel Bernini Bristol

Partecipazione alla cerimonia di conferimento del riconoscimento di Ambasciatrice del Telefono Rosa alla Presidente Boldrini

Buongiorno a tutte e a tutti.

Saluto e ringrazio la presidente di Telefono Rosa, Gabriella Carnieri Moscatelli, e tutte le altre "colleghe" ambasciatrici che fra poco verranno premiate.

Sono felice di essere qui con voi perché stimo la Presidente Moscatelli, stimo il telefono Rosa. Conosco questa associazione da tanti anni, da molto prima che io diventassi presidente della Camera.

So quanto è complicato portare aventi questo impegno da 29 anni. Telefono Rosa lo fa con intelligenza, mettendo insieme le risorse del settore privato con quelle del pubblico - quelle del pubblico sempre di meno, devo dire - lo fa motivando le tante volontarie e volontari che sono qui oggi.

Il mio grazie va, attraverso la Presidente, a tutte voi che siete qui, perché è evidente che voi siete la colonna portante di questo lavoro che è di straordinaria utilità. Io sono diventata Presidente della Camera inaspettatamente. E' stata una sorpresa per tutti, e per me in particolare. Sono arrivata a questo ruolo con un bagaglio culturale che mi accompagna ogni giorno, quello di chi ha lavorato per molti anni nei luoghi più difficili del pianeta e che ha visto chi sono le persone più vulnerabili.

Le donne, sia pur fortissime, sia pur straordinariamente battagliere, sono, in Italia come in tante altre parti del mondo, i soggetti che pagano sempre il prezzo più alto. Sono forti, sono capaci, sono coraggiose, non hanno paura, eppure pagano il prezzo più alto.

Penso che la battaglia delle donne debba andare avanti nel nostro Paese senza dimenticarci dei tre quarti di umanità femminile che ancora non ha nessuno dei tanti diritti che qui abbiamo conquistato. Non ci sarà piena emancipazione, non ci sarà piena parità, se noi ci dimentichiamo quei tre quarti di umanità femminile.

La nostra battaglia è cominciata da qualche decennio ma dovrà continuare almeno per qualche decennio. In questa legislatura ho fatto delle questioni di genere una pietra miliare del mio operato, del mio operato istituzionale, sociale, politico. L'ho fatto perché lo ritengo necessario.

In Italia su questo tema sembra calata una cappa. Si dice: "non ce n'è più bisogno, roba da veterofemministe, per carità! Se ne parlava negli anni '60 e '70. Perché continuare con questioni che oramai sono superate?".

Invece non sono superate, sono tutte sotto traccia e sono in gran parte irrisolte, e quando si alza la testa pubblicamente questo suscita un vespaio di reazioni: reazioni violente, sessiste. Non c'è giorno che chi di noi alza la testa non riceva questo tipo di reazioni.

La nostra società ha uno zoccolo duro di misoginia che è ancora tutto lì, e noi dobbiamo continuare questa battaglia. Una battaglia per il lavoro, che ci rende libere e ci dà la possibilità di dire no alla violenza.

Per contrastare la violenza ancora troppo diffusa c'è Telefono Rosa, ci sono tante altre associazioni e strutture. Ma è soprattutto il lavoro a dare alla donna la possibilità di riscattarsi dalla violenza, perché è più facile sottrarsi ad un contesto violento se si hanno le risorse per farlo.

Mi ha fatto piacere vedere la reazione che c'è stata rispetto a quella donna - qui la violenza non c'entra - che era stata assente dal lavoro perché aveva avuto un bambino. E' tornata in azienda dopo la gravidanza e il suo posto di lavoro non c'era più. Ma la reazione dei colleghi in sua difesa è stata compatta: hanno tutti deciso di scioperare per quella donna che non poteva essere così penalizzata.

Per fare un figlio non si può, ancora oggi, continuare a perdere il lavoro.

In questa legislatura abbiamo fatto parecchie cose. Le menziono rapidamente. La ratifica della Convenzione di Istanbul è stata determinante, il primo atto di questa legislatura. Un atto importante perché sancisce che la violenza sulla donna non è una questione privata, ma è una violazione dei diritti umani. Dunque, in quanto tale, è una questione di cui lo Stato e le istituzioni si devono fare carico. Credo sia stato un cambiamento importantissimo per la questione della violenza.

Abbiamo approvato il cosiddetto provvedimento sul femminicidio. La Presidente faceva riferimento a questo provvedimento di legge in merito alla possibilità di dare assistenza ai ragazzi e alle ragazze, ai bambini e alle bambine che hanno visto uccidere la madre per mano del padre, agli orfani di femminicidio. Ad oggi, purtroppo, questi figli sono abbastanza soli, non hanno neanche le cose più ovvie che si dovrebbero fornire per consentire loro una esistenza dignitosa.

Inoltre ho promosso alcune iniziative a livello personale. Ho esposto un drappo rosso sulla facciata di Montecitorio per dire no alla violenza di genere, che rimarrà lì sicuramente fintanto che io rimarrò alla Presidenza della Camera; anche se mi auguro che chi verrà dopo lo consideri qualcosa di utile per fare capire che l'istituzione non è indifferente.

Ho anche abbassato la bandiera a mezz'asta nel giorno della Festa della donna, per ricordare le donne ammazzate per mano di chi doveva amarle.

Inoltre ho istituito la Sala delle Donne, per restituire alle Madri della Repubblica quella centralità che meritano. A Montecitorio c'erano solo busti di uomini, è come se le donne non avessero mai fatto parte dell'istituzione. E non si capiva perché questa trascuratezza, questo oblio, questa ombra. E allora ho voluto dare visibilità alle Madri della Repubblica, figure straordinarie che le nostre figlie dovrebbero conoscere. Così nella Sala delle Donne ci sono i ritratti delle 21 costituenti. Delle prime sindache elette nel '46: di loro non c'era traccia, per trovarle abbiamo dovuto fare ricerche d'archivio per sapere quante fossero e dove fossero state elette. Le loro fotografie oggi sono esposte nella Sala delle Donne. E ancora ci sono i ritratti della prima Presidente della Camera, della prima Ministra e della prima donna Presidente di Regione.

Purtroppo non c'erano le foto della prima donna Presidente del Consiglio, della prima donna Presidente del Senato, della prima donna Presidente della Repubblica. Ma non mi sono rassegnata e ho deciso di usare uno spazio della sala per sollevare la questione. Ci ho messo tre specchi, con sotto le scritte dei ruoli mancanti e poi delle targhe per ricordare i due articoli della Costituzione che sanciscono che non c'è differenza e non c'è nessun ambito che sia precluso alle donne.

Infine, c'è una targa rivolta alle nostre giovani: "Nessuna donna mai ha ricoperto questo ruolo, potresti essere tu la prima". E' un modo per fare empowerment alle ragazze che vengono! Tutte si fanno un selfie lì davanti! E questo vuol dire che hanno fiducia in loro stesse, che ci credono e noi le dobbiamo sostenere.

Per chi, come me, ha investito tanto nelle questioni di genere, esponendosi anche a tentativi di delegittimazione, era importante anche affermare il linguaggio di genere. Mi è stato detto: "Ma non ha altro da fare, si occupa di queste stupidaggini, di facezie". Invece, in 70 anni è stata la prima volta che il genere femminile è entrato negli atti parlamentari. Prima eravamo tutti deputati, tutti ministri e tutti presidenti. Ho pensato che non avremmo dovuto avallare un'assenza di declinazione femminile ai vertici. Contadina è accettato, operaia è accettato: perché ministra non si può dire? Così come sindaca o deputata? Perché non ci può essere il femminile ai vertici? Se ci sono le donne deve esserci il femminile, e quindi introdurre il femminile vuol dire affermare che noi esistiamo lì, non siamo delle comete che passeranno e tutto ritornerà al maschile.

Per questo la mia carta intestata è "La Presidente". Io non sono un uomo e quando i deputati, fortunatamente pochi adesso, mi chiamano "Signor Presidente" io li ringrazio e rispondo: "Grazie, signora deputata". Tutti ridono e non lo fanno più. Perché se fa ridere chiamare un uomo al femminile, fa anche ridere chiamare una donna al maschile. Non arrendiamoci a questo e non deleghiamo a nessuno questa battaglia.

Grazie.