20/04/2017
Montecitorio, Sala Aldo Moro

Saluto introduttivo alla presentazione del libro ‘Ho molti amici gay’, di Filippo Maria Battaglia

Buongiorno a tutti e a tutte.

Mi fa molto piacere ospitare la presentazione di questo libro. Saluto l'autore, Filippo Maria Battaglia; la Direttrice di SkyTg24, Sarah Varetto; saluto le insegnanti e gli insegnanti presenti, i ragazzi e le ragazze di due licei romani, l'Orazio e il Socrate, che sono qui.

Vorrei dire subito che all'autore va il grande merito di aver scoperto un nuovo 'filone' letterario, che mette in connessione il tema dei diritti civili e del loro lento avanzamento nella società italiana con gli atti parlamentari. L'anno scorso, con un altro libro dal titolo eloquente, "Stai zitta e va' in cucina", parlava di maschilismo attraverso gli atti parlamentari.

Quest'anno, invece, ci propone un altro lavoro: "Ho molti amici gay", che parla di un tema un po' cugino dell'altro: l'omofobia. Maschilismo e omofobia si basano entrambi su un pregiudizio, che non si è fermato sulla soglia di Montecitorio. Chi lo aveva prima lo ha portato anche dentro queste sale, e anche quindi nel dibattito parlamentare.

Sono sempre più convinta, infatti, che quello che accade fuori del palazzo poi lo avvertiamo anche dentro. Il Parlamento è lo specchio della società: se una persona era maschilista o omofoba prima, continua ad esserlo anche qui dentro; non è che qui ci sia un virus e le persone diventino peggiori di quello che erano.

Dobbiamo ammettere che la nostra società ha dovuto recuperare molto tempo rispetto alla situazione che si viveva in Italia qualche decennio fa. Durante il regime fascista le donne erano mogli e madri e dovevano stare a casa, non era prevista la loro presenza nel mondo sociale e politico, non dovevano avere ruoli. Prima delle elezioni del '46 la donna italiana non era un soggetto titolare del diritto di esprimere la propria opinione.

Questa arretratezza ce la siamo portata dietro per decenni e la vediamo negli atti parlamentari, come Battaglia ci insegna. Una arretratezza che accomunava forze politiche molto diverse nel considerare l'omosessualità una "devianza morale". E questo è andato avanti per decenni.

Il campionario di volgarità e di espressioni irriferibili che è stato raccolto da Battaglia la dice lunga sul livello di percezione dell'omosessualità anche nei palazzi delle istituzioni. Viene usato l'insulto a sfondo sessuale, e per delegittimare una persona si fa spesso ricorso alla possibile o reale omosessualità di quel soggetto, come se fosse una cosa indegna. Se io devo colpire una persona, la cosa peggiore che mi viene in mente è dargli dell'omosessuale.

Una delegittimazione che noi donne conosciamo bene e con la quale facciamo i conti ogni giorno. A una donna viene chiesto sempre di essere più brava per essere rispettata; e anche quando è brava fa molta fatica per essere considerata all'altezza, si fa a gara a delegittimare una donna che è riuscita ad avere una posizione sociale o all'interno delle istituzioni. Perché? Perché il maschilista non accetterà mai che quel ruolo venga svolto da una donna.

Come dicevo, i due temi, maschilismo e omofobia, vanno a braccetto, sono legati. Anche quando una donna esprime un'opinione c'è la tendenza a non rispondere nel merito, ma a ricorrere all'epiteto a sfondo sessuale. Questo denota ancora oggi una grande limitazione nel modo di relazionarsi alle donne. Se tu non sei d'accordo con la direttrice Varetto, non entrerai nel merito ma con lei, con me, con tante altre - immagino molte di voi, qui dentro - si ricorre all'epiteto a sfondo sessuale. Si fa prima. E questo è miserabile.

Se questi due ambiti vanno in parallelo è vero in negativo ma anche in positivo. La società non è stata ferma, non si è rassegnata a questo stato di cose. E' iniziato un percorso di liberazione sia del movimento delle donne che di quello degli omosessuali. Un movimento nato nel Sessantotto, anni di grandi manifestazioni di piazza nei quali le donne dicevano "io sono mia" e i gay cominciavano ad alzare la testa, uscendo dalla clandestinità, perché fino a quel momento erano tollerati se stavano zitti e buoni, se non si facevano vedere in quanto omosessuali.

In quegli anni si comincia a uscire dall'ipocrisia del "si fa ma non si dice" e nasce il movimento che vuole affermare i diritti degli omosessuali. Negli anni '80 iniziano a farsi largo anche politici omosessuali che rivendicano la loro omosessualità e non vogliono più nascondersi, perché la vita non può essere vissuta con la paura della condizione che si vive.

In parallelo, negli stessi anni, anche le donne ottengono tante conquiste: il delitto d'onore e il matrimonio riparatore sono stati aboliti soltanto nel 1981. Prima, se un uomo coglieva 'in flagrante' una sua parente - moglie, figlia, sorella - in un rapporto illegittimo con un uomo che non era suo marito e la uccideva, se la cavava con una pena dai 3 ai 7 anni perché 'difendeva il suo onore'. Prima c'era il matrimonio riparatore, cioè si poteva violentare una donna, ma poi sposandola decadeva il reato. Due istituti legislativi degni di un Paese arcaico e violento, superati solo nel 1981.

Per il riconoscimento dei diritti delle persone omosessuali il cammino è stato ancora più difficile e impervio. Il libro dà conto dei tentativi fatti nelle scorse legislature, a partire dalla metà degli anni Duemila, per arrivare a una regolamentazione delle unioni tra persone dello stesso sesso e al riconoscimento di alcuni loro diritti. Tentativi per lungo tempo vani, abbinati a sigle come Pacs e Dico, e a discussioni accesissime in cui trovava ampio sfogo la volgarità.

In quegli anni in cui noi tentavano di oltrepassare il Rubicone, ma non ci riuscivamo, e l'Europa ci richiamava: perché l'Europa ci richiama non solo quando i conti non sono in regola ma anche quando non sono in regola i diritti. Da quel punto di vista abbiamo stentato a uniformarci agli standard europei, alle legislazioni vigenti nella gran parte dei paesi europei. Quando ci sono questioni di ordine finanziario, tutti si scatta sull'attenti e il dibattito pubblico si incentra su questo tema, invece sui diritti civili no. Per i diritti non c'è mai fretta, anzi, non è mai tempo per i diritti, e invece io credo che una società evolve solo quando riesce ad affermare i diritti, non a negarli. Stiamo provando a colmare questo ritardo.

A giugno del 2013 per la prima volta la terza carica dello Stato ha partecipato al Gay Pride a Palermo. Sono stata molto contenta di averlo fatto e ho visto anche la grande soddisfazione di questa parte di società nel ricevere considerazione istituzionale. Credo che uno Stato non possa discriminare anche nel sostegno alle iniziative di una parte della cittadinanza come il Gay Pride.

In questa legislatura siamo finalmente riusciti a varare la norma sulle unioni civili, ma certamente non bisogna ritenersi soddisfatti fino in fondo. E' necessario andare avanti.

C'è un altro impegno che spero riusciremo a onorare. Riguarda la legge sull'omofobia approvata nel settembre del 2013 alla Camera. Quella norma è ferma al Senato da tre anni e mezzo, in Commissione Giustizia, e mi auguro che questa legislatura non termini prima che quel provvedimento sia stato approvato.

Sul tema delle discriminazioni ho voluto istituire qui a Montecitorio una Commissione, costituita da deputati ed esperti, sui temi che riguardano l'odio, la xenofobia, il razzismo, e quando dico fenomeni di odio includo anche l'omofobia. Lavoriamo su questo tema perché, purtroppo, l'odio sta diventando una cifra dei nostri rapporti, delle nostre relazioni, nella vita reale e in quella online. L'odio come cifra interrelazionale è assolutamente inaccettabile. Per questo ho voluto istituire una Commissione parlamentare ad hoc che produrrà una relazione su come prevenire e combattere l'odio.

Dobbiamo uscire dall'idea, che per troppo tempo ha frenato l'attività legislativa - come il libro di Battaglia ricorda - che i diritti civili siano questioni marginali, che c'è sempre qualcosa di più importante. Invece no, perché la qualità della vita delle persone dipende anche dalla libertà di poter affermare la propria condizione e lo Stato deve tutelare tutti i suoi cittadini.

I diritti hanno questo di bello: che riconoscerne a chi non ne ha non significa sottrarli a chi li ha già. Se io affermo i diritti delle coppie omosessuali, non tolgo qualcosa ai diritti della famiglia composta da uomo e donna. Non è così, estendo solo la platea di chi può fruire dei diritti.

Penso che i diritti possano crescere insieme, a patto che si agisca per la loro diffusione, per la loro affermazione. E i diritti vanno difesi perché, una volta acquisiti, non sono per sempre. Ci sono società che oggi rischiano di perdere i diritti acquisiti, e altre che non hanno ancora acquisito i diritti necessari.

Ci sono Paesi dove l'omosessualità è punita con la pena di morte: parlo dell'Arabia Saudita, dell'Iran, dello Yemen, della Mauritania. E ci sono una settantina di Stati in cui l'omosessualità è punita con il carcere. Come vedete c'è ancora molta strada da fare, perché fino a che tutti questi Paesi non usciranno da questa condizione non potremo dire di aver raggiunto l'obiettivo.

L'ultima notizia che trovo agghiacciante è quella riportata da alcune Ong e organismi internazionali secondo cui in Cecenia starebbe accadendo qualcosa di terribile, cioè esisterebbero dei campi di rieducazione per gay. Campi in cui gli omosessuali subirebbero ogni tipo di tortura finalizzata a far rivelare loro i nomi di altre persone gay.

L'ultima pagina del libro riporta dati ottimistici, sui quali mi piace concludere anche questo mio saluto. I dati Istat ci danno qualche speranza, perché ci dicono che i ragazzi sotto i 34 anni oggi sono molto più rispettosi nei confronti delle persone omosessuali in confronto ai loro genitori e ai loro nonni.

Dunque, nelle nuove generazioni c'è un atteggiamento di maggior consapevolezza, di maggior rispetto. E' un segno positivo: significa che anche in queste aule, in questi palazzi, in futuro il tema verrà affrontato diversamente perché, nel bene e nel male, il Parlamento rappresenta il paese.

Vi ringrazio.