04/07/2017
Montecitorio, Sala del Mappamondo

Saluto introduttivo al convegno 'Magistratura e rappresentanza di genere. Proposte per un sistema elettorale orientato all'equilibrio tra i sessi'

Buon pomeriggio a tutte e a tutti.

Saluto il Ministro Andrea Orlando, la Sottosegretaria Maria Elena Boschi, la Presidente della Commissione Giustizia della Camera Donatella Ferranti, i componenti del CSM Ercole Aprile e Maria Rosaria San Giorgio, il Presidente dell'ANM Eugenio Albamonte, la Presidente dell'Associazione Donne Magistrato Carla Lèndaro, l'Avvocata Maria Masi, componente del Consiglio Nazionale Forense,i professori di Diritto Costituzionale Marilisa D'Amico e Massimo Luciani, la dottoressa Linda Laura Sabbadini. Vedo la Garante dell'Infanzia davanti a me, tante facce note, deputati e deputate. Saluto e ringrazio anche i giornalisti che coordineranno questa discussione, Elisa Anzaldo e Dino Martirano.

Sono molto grata a Donatella Ferranti per aver promosso questo incontro al quale anch'io tenevo moltissimo. Ci siamo incontrate e abbiamo unito le forze per fare un ragionamento, che nasce da una sua proposta di legge che la vede come prima firmataria, relativa all'equilibrio di genere nella rappresentanza dei magistrati nel CSM.

Per il carattere imparziale della funzione che ricopro non posso pronunciarmi nel merito delle proposte di legge che vengono presentate.

Ma non c'è dubbio che questa proposta tocca un punto nevralgico della vita della magistratura, poiché oggi soltanto una donna è presente nella componente togata del Consiglio Superiore della Magistratura. E' la dottoressa Maria Rosaria San Giorgio che interverrà tra poco.

Perché la considero una questione importante?

Parto da un racconto personale. Appena sono stata eletta Presidente della Camera mi hanno fatto familiarizzare con questa istituzione: per me era una novità assoluta, io non ero stata deputata prima di questa legislatura. Mi hanno portato a visitare le sedi delle Commissioni, le sale dove facciamo incontri come questo, i corridoi. E mi sono accorta che gli uomini erano molto rappresentati: c'erano bellissimi ritratti, busti imponenti, di marmo, importanti figure del nostro Risorgimento. Ma non vedevo figure femminili. Eravamo forse un Paese in cui le donne non avevano mai partecipato alla vita pubblica? Sappiamo bene che non è così: le donne c'erano state, ma non erano rappresentate.

E così, lo scorso anno, in occasione del 70° anniversario del voto alle donne, ho deciso di recuperare e ho voluto istituire qui a Montecitorio la "Sala delle donne" nella quale sono esposte le foto delle Madri della Repubblica. Le 21 Costituenti elette nel 1946. Le prime Sindache elette anche loro nel 1946: pensate che nessuno sapeva se fossero mai state elette sindache in quell'anno; nessuno aveva mai fatto una ricerca negli archivi, siamo stati noi a farla, e non è stato semplice ; ogni tanto qualche sindaco ci chiama e ci dice "anche noi abbiamo avuto una sindaca nel '46", cosicché quel numero aumenta. E poi le foto della prima Ministra, della prima Presidente della Camera, della prima Presidente di Regione.

Campeggiano su uno dei muri di quella sala i testi di due articoli della Costituzione: l'articolo 3, che afferma il principio di uguaglianza e di non discriminazione anche relativamente al sesso, e il 51, che afferma al primo comma "Tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza".

Poiché nella sala delle Donne ho voluto mettere le prime donne delle istituzioni, quando sono arrivata alla carica di Presidente della Repubblica, Presidente del Senato, Presidente del Consiglio non avevo foto da mettere. Allora ho messo tre specchi, e accanto ho fatto presente che "nessuna donna mai ha ricoperto questo incarico: potresti essere tu la prima". Tu ragazza che ti specchi, se credi in te stessa, se hai la volontà di studiare, di andare avanti, di essere competente. Ed è un modo di fare empowerment per le ragazze.

Ora, un dettato costituzionale ha valore per i suoi contenuti, naturalmente.

Ma ha ancora più valore se quei contenuti non rimangono lettera morta, se vengono attuati. Dobbiamo dare concretezza ai principi della nostra Costituzione, tradurli in misure concrete. E chi deve darvi seguito se non innanzitutto gli organi costituzionali?

Per questo sono state importanti tutte quelle leggi che per il Parlamento e per le altre assemblee elettive hanno introdotto norme antidiscriminatorie. Chi parla di 'quote rosa' mi fa molto arrabbiare: si tratta di norme antidiscriminatorie. Per questo è giusto che anche per la composizione del CSM ci si ponga il tema dell'equilibrio di genere.

Sia chiaro: io non sono innamorata delle cosiddette "quote". Ma credo che in una situazione come la nostra ne abbiamo bisogno. Mi batto per una società più evoluta, più avanzata, non per l'affermazione delle cosiddette quote. Ma se non ci fossero, molte di noi non avrebbero la possibilità di essere nelle istituzioni.

Si tratta di misure necessarie per rompere quel "soffitto di cristallo" che ancora oggi impedisce a molte donne di affermare i loro talenti.

Questo tema non va inteso come una questione che va solo a vantaggio delle donne - 'facciamole contente' - o una misura "riparatrice" nei loro confronti. C'è molto di più, in ballo.

Riguarda la rappresentatività dei corpi sociali, degli organi politici e degli organi istituzionali.

Perché se la metà del genere umano viene tagliata fuori o compressa nella rappresentanza, è la democrazia a soffrirne, prima ancora delle stesse donne.

Perché se la democrazia è meno rappresentativa e meno inclusiva, è anche più fragile, meno capace di interloquire con tutte le istanze della società.

E questo problema ce l'hanno avuto storicamente sia la politica che la magistratura.

La politica: perché fino al 30 Luglio del 1976, quando Tina Anselmi fu nominata Ministra, la Repubblica italiana aveva avuto per trent'anni governi formati da soli uomini: 36 Governi e 836 ministri. Tutti rigorosamente uomini. Ma vi sembra una cosa concepibile? Il ritardo è plateale.

E la magistratura. Fino al 1963 alle donne non era addirittura consentito l'ingresso in magistratura. Anche questo è un pesantissimo ritardo.

Oggi la situazione è certamente diversa. Quasi un terzo dei parlamentari sono donne. Ci sono state e ci sono Ministre e Sottosegretarie, dunque donne in posizioni di grande responsabilità. Ma la parità è ancora molto, molto lontana.

Le magistrate oggi sono più dei magistrati (il 52 %) e ogni dieci vincitori di concorso, almeno sei sono di sesso femminile.

Ma se andiamo a guardare gli incarichi direttivi e semidirettivi la situazione cambia drasticamente. Le magistrate tornano ad essere una chiara minoranza.

Perché c'è questo gap di genere? Sono forse gli ultimi colpi di coda di pregiudizio duro a morire? Siamo di fronte a un cambiamento che non riesce a prendere corpo? Certo non è una questione di merito, visto che le donne si affermano meglio degli uomini nel concorso per l'accesso in magistratura. Perché allora non riescono ad avere la carriera che legittimamente dovrebbero avere?

Queste diffidenze e questi pregiudizi esistono ancora in ogni ambito della nostra società. Non a caso siamo il Paese in cui soltanto il 47% delle donne lavora, mentre la media europea è del 60%. Come la vogliamo definire, questa percentuale? E quando la donna lavora, spesso si deve accontentare di retribuzioni più basse: perché? Dobbiamo rispondere a questi interrogativi.

In una società così, noi donne dobbiamo faticare il doppio degli uomini per far credere agli uomini che abbiamo gli strumenti adeguati. E' una grande fatica. Ma è una fatica che fa bene al Paese.

Perché tutti i dati dicono che quando le donne lavorano il Pil aumenta. E' sulla nostra fatica che il Pil aumenta.

E' dimostrato che quando le donne conquistano nuovi diritti è tutta la società che va avanti.

Dobbiamo credere di più in noi stesse e nella nostra forza. Siamo più del 50% nella società, non possiamo essere sempre costrette a venire dopo.

Bisogna combattere: con la forza della ragione, con l'intelligenza, con la determinazione, che passa anche attraverso il linguaggio di genere.

Perché se si dice infermiera si deve dire anche primaria;

se si dice operaia si deve dire anche amministratrice delegata;

se si dice maestra si può anche dire anche rettrice.

E' l'Accademia della Crusca che ce lo chiede, perché è così che è corretto dire. E allora si deve dire magistrata, avvocata, giudice. La Presidente, la Ministra, la Sottosegretaria. Perché la nostra lingua neolatina declina il genere. E io non voglio prendere in prestito un genere che non è il mio solo perché svolgo una certa professione o arrivo a livelli di vertice.

Alla Camera, per la prima volta in 70 anni, abbiamo introdotto la declinazione di genere in tutti gli atti ufficiali, nei documenti e nei resoconti parlamentari. Prima esisteva solo il genere maschile. Entrando qui eravamo tutti uomini, tutti deputati, tutti 'il Ministro'.

In 70 anni non era venuto il dubbio che forse bisognava adattare anche il linguaggio al cambiamento della nostra società.

C'è sempre qualcuno che dice: "sono quisquilie, si adatteranno, è la stessa cosa". No, non è la stessa cosa: il contrario fa ridere. Ma fa ridere anche quando una donna si sente chiamare al maschile, ve lo assicuro. Se fa ridere che io chiami un deputato 'signora deputata', fa ridere anche quando un deputato chiama me 'signor Presidente'. E' ridicolo allo stesso identico modo.

Il problema non è 'ben altro', in questo Paese pieno di "benaltristi".

Tutto si tiene: norme sulla rappresentanza, incentivi per il lavoro e l'imprenditoria femminile, lotta contro la violenza e la mercificazione del corpo delle donne così come il linguaggio di genere. E' tutto collegato, è un unico 'pacchetto': rispetto per la dignità della donna, per la sua intelligenza, per il suo lungo percorso. Si chiama pacchetto 'diritti e dignità'.

E non è una battaglia di parte, non ha colore politico. Non è una battaglia delle donne, va a vantaggio di tutto il Paese.

Vi ringrazio.