05/04/2017
Montecitorio, Sala della Lupa

Saluto introduttivo all’incontro ‘Tullio De Mauro. Alfabeto civile: i pensieri e le parole’

Buon pomeriggio a tutti e a tutte.

Il mio saluto più affettuoso ai familiari del professor De Mauro: la moglie, la signora Silvana Ferreri, i figli Giovanni e Sabina, e gli altri membri della famiglia che oggi sono qui presenti.

Saluto e ringrazio i relatori che interverranno tra poco: la ministra Valeria Fedeli, il ministro Franceschini che ci raggiungerà tra qualche minuto; il professor Sabino Cassese; Walter Veltroni; la Presidente onoraria dell'Accademia della Crusca Nicoletta Maraschio; e poi abbiamo la deputata della Commissione Giustizia Fabrizia Giuliani, che insieme all'onorevole Verini ha promosso questo nostro incontro. Ringrazio i tanti deputati e deputate presenti e tutti voi che avete accettato il nostro invito a essere qui oggi pomeriggio.

La sede della Camera mi pare particolarmente appropriata per ricordare Tullio De Mauro a tre mesi dalla sua scomparsa, perché il professor De Mauro ha sempre partecipato in maniera molto attiva alla vita politico-istituzionale, fino ad essere Ministro della Pubblica Istruzione nel secondo governo Amato, tra il 2000 e il 2001.

I temi a lui cari, che ha studiato, a cui ha dedicato una vita, ovvero i problemi dell'insufficiente sviluppo culturale del nostro paese, sono essenziali per capire le cause della crisi economica, politica e sociale. Uno sviluppo insufficiente dal punto di vista culturale è alla base della difficile realtà che stiamo vivendo.

Parlare di De Mauro qui, in uno dei luoghi-cardine della democrazia, significa interrogarsi su alcuni elementi di fragilità della nostra vita democratica e sul perché oggi attecchiscano così facilmente alcune semplificazioni che tanto sono utilizzate dai populisti e che creano consenso. In un mondo complicato, persone che hanno strumenti culturali non dovrebbero abbracciare soluzioni semplici. Invece questo avviene.

Parlare di De Mauro oggi vuol dire, dunque, parlare del sistema dell'istruzione e della formazione come luogo in cui le diseguaglianze devono essere superate. L'ascensore sociale funziona quando ci sono una scuola e un'università capaci di metterlo in atto, luoghi dove dovremmo essere tutti nelle stesse condizioni, a prescindere dalle famiglie di provenienza, e avere davanti a noi dei percorsi fattibili.

De Mauro si soffermava su questo tema perché la democrazia ha un significato concreto quando l'ascensore sociale le dà credibile sostanza.

Ci viene da chiedere: sta funzionando questo strumento? Vi cito un dato positivo: è scesa la quota di giovani che abbandonano precocemente gli studi, oggi siamo al 14,7 %. Ma ci sono altri dati che non ci rassicurano affatto. Secondo l'Istat, nel 2015, la quota di persone tra i 25 e i 64 anni con almeno il diploma di media superiore è stata pari al 59,9 %, ben al di sotto della media Ue che è del 76,5. Il dato ancora più preoccupante è che il titolo universitario tra i 30-34enni nel nostro paese è al 25,3 % e siamo 13 punti sotto la media europea, ultimi in classifica. Così come siamo ultimi per risorse investite nella scuola e nell'università. Tutto questo ha conseguenze evidenti.

Spero che ci aiuti a cambiare rotta anche un'importante innovazione legislativa introdotta nello scorso agosto. Parlo degli indicatori di benessere equo e sostenibile che abbiamo introdotto nella Legge di bilancio. Grazie ad essi la discussione delle politiche economiche non si occuperà più soltanto delle variazioni percentuali di PIL, del rapporto deficit/PIL, ma anche del benessere delle persone.

Il Bes prenderà sicuramente in considerazione anche istruzione e formazione, indicatori importanti per il benessere delle persone. Dunque scuola e istruzione, universitaria in particolare, avranno più peso se vogliamo dare la priorità al benessere delle persone nelle scelte di politica generale.

L'arretratezza culturale del nostro Paese è un problema grande per la nostra competitività, ci penalizza dal punto di vista economico, competitivo e anche in termini di tenuta sociale.

Qui vorrei citare le parole del professor De Mauro quando dice: "Basta dire che si svolgono libere elezioni per essere certi che questo sia un Paese democratico? Ma come la mettiamo se questo sistema è esercitato in condizioni di analfabetismo diffuso, di diffusa incapacità di valutare i programmi?".

Penso a queste parole di De Mauro in relazione alle cosiddette fake news, anche se lui le scriveva in anni nei quali il tema delle 'bufale' non era all'ordine del giorno. Quanto incide nell'assetto democratico il basso livello culturale?

Oggi questo tema si impone più che mai; all'epoca non era attuale ma adesso sì, perché chi decide di produrre fake news lo fa perché ci vuole guadagnare - si fanno un sacco di soldi gettando panico, creando caos - o perché c'è un'agenda politica, nel senso che si inventano notizie sui propri oppositori che li delegittimino e li indeboliscano. Credo che quando la politica arriva a questo punto abbia toccato veramente il fondo.

E mi preoccupa ancora di più il fatto che dall'altra parte ci sia una fragilità culturale: le persone credono alle fake news, in buona fede. I nostri giovani fanno fatica a distinguere un'inserzione pubblicitaria da una notizia verificata. Se questo è il livello culturale, voi capite bene che più si sparano grosse e più c'è séguito, perché manca l'antidoto culturale.

La diffusione del sapere, soprattutto in un tempo come il nostro in cui quella che viene chiamata la post-verità si impone sulla verità oggettiva dei fatti, è dunque essenziale.

Penso che per fare argine a questo bisogna lavorare nelle scuole - come il Ministero sta facendo, e Valeria ne parlerà diffusamente - per aumentare la cultura della verifica, diffonderla tra i nostri giovani, perché non cadano poi nella trappola dell'odio che è il passo successivo.

I nostri giovani spesso cadono in questa trappola perché non verificano se quella notizia attribuita a qualcuno è vera o non è vera: ci credono e basta, innescando la macchina dell'odio.

Nel ricordare il professor De Mauro alla Camera mi fa piacere sottolineare che è stato anche uno dei componenti di una Commissione che abbiamo voluto istituire a Montecitorio per studiare i fenomeni di odio, razzismo e discriminazione. Un organismo che abbiamo voluto dedicare a Jo Cox, la deputata laburista uccisa in Inghilterra alla vigilia del referendum, proprio perché vittima dell'odio politico.

In quella sede, il professor De Mauro ha elaborato un inventario delle parole di odio, le hate words, "Parole per ferire", parole per fare male. Noi questo inventario lo pubblicheremo in calce alla nostra relazione che verrà finalizzata prima dell'estate.

Dunque il nostro compito, oggi più che mai, è quello di difendere le parole da chi le parole ce le vuole espropriare e le vuole macchiare di odio. Contro questo sequestro delle parole noi ci dobbiamo impegnare anche in memoria del professor De Mauro.

Vi ringrazio.