17/11/2017
Milano, Università ‘Bocconi’

Intervento in occasione della nona edizione della Conferenza Internazionale ‘Science for Peace. Post-verità. Scienza, democrazia e informazione nella società digitale’

Buongiorno a tutti e a tutte.

Saluto il Magnifico Rettore della Bocconi, Gianmario Verona, che ci ha dovuto lasciare per un altro impegno. Saluto l'Assessore del Comune di Milano Pierfrancesco Majorino, che è sempre un piacere ascoltare: grazie per quello che fa, per quello che dice, per la narrazione che adotta, controcorrente, utilissima perché inquadra un problema complicato. Saluto Emma Bonino, la combattente italiana dei diritti umani: grazie per tutto quello che hai fatto per il nostro paese e continui a fare. E saluto e ringrazio anche Leymah Gbowee, che è Premio Nobel per la Pace: grazie, signora, di essere con noi.

E un saluto affettuoso va a Paolo Veronesi, che è Presidente della Fondazione intitolata a suo padre, Umberto Veronesi. Non ho avuto la fortuna di conoscere Umberto Veronesi, ma è come se lo conoscessi perché di lui si è parlato sempre tanto nella mia famiglia, perché anche la mia famiglia gli deve molto. Tra le altre cose, deve la vita di una mia cara zia che è riuscita nella sua lotta al tumore ad andare avanti fino a 90 anni. Quindi devo anch'io riconoscenza all'opera fatta da Umberto Veronesi per tantissime persone, nel nostro Paese e non solo.

Sono particolarmente contenta per il tema che avete scelto, cruciale per i nostri tempi. E' un tema che si può affrontare in mille modi, questo della cosiddetta post-verità. Che una fondazione che si occupa di scienza lo voglia mettere al centro secondo me è di grande importanza, perché l'era digitale offre tante opportunità per la scienza e anche per la democrazia: la democrazia partecipativa si può fare meglio quando c'è il digitale perché si apre, i cittadini possono essere coinvolti nelle consultazioni pubbliche, possono dire la loro e possono unire le forze con le istituzioni e la politica. Dopodiché tutto questo ha anche un altro aspetto e allora ci serve l'autorevolezza degli scienziati. Perché la post-verità riesce a mettere sullo stesso piano gli amici del bar e gli scienziati, con lo stesso tipo di riscontro, per cui le persone oggi stentano a capire se qualcosa è vera o no. O forse non lo vogliono neanche sapere. L'importante è che quello che viene detto confermi il mio pregiudizio, la mia idea. Si chiamano echo chambers: non voglio sapere se è vero, non è vero ma ci credo, l'importante è che qualcun altro la pensi come me. E' falso? Non importa. E guardate che su questo punto si aprono dimensioni finora sconosciute.

Finalmente stiamo uscendo da quella malsana idea che la disinformazione e le fake news, le bufale, fossero delle goliardate. "Ma perché te le prendi tanto? Sono quattro ragazzi che si divertono, è una cosa da riderci sopra." Finalmente stiamo capendo che non c'è niente da ridere e che la disinformazione non è una simpatica burla, è qualcosa di diverso.

Le fake news sono veleno: gocce di veleno nell'acqua che noi beviamo, e alla fine non ci rendiamo conto di essere anche noi avvelenati. Il terreno della democrazia si avvelena attraverso le fake news. Le fake news vogliono fare qualcosa che fa male a tutti: vogliono creare caos, la società del caos, della confusione. Lo scienziato e l'amico del bar sullo stesso piano, quello che dice lo scienziato vale come quello che dice l'amico al bar, e questo crea caos. E poi non vogliono suscitare un sorriso, le fake news vogliono suscitare l'odio: questo è il fine ultimo, odio. Invento e creo indignazione e dunque odio. E una società che si basa sull'odio è una società che si indebolisce, perché l'odio corrode tutti e non salva nessuno.

L'ultimo esempio di questo tipo, di odio diffuso gratuitamente, lo abbiamo avuto con la fotografia della donna musulmana che passa sul ponte di Westminster, e qualcuno poi - un troll russo pare - rilancia quell'immagine dicendo che lei era indifferente al dolore. Perché fa questo? Per suscitare sdegno verso un gruppo sociale, odio verso un gruppo sociale.

Grazie all'Independent abbiamo capito che c'era stata una manipolazione.

Ma perché io che sono al Presidente della Camera mi occupo di questo? Qualche volta me lo rimproverano: "ma non ha altro a cui pensare? Si occupi dei lavori d'Aula." E invece io penso che è proprio il tempo di occuparsi di questi fenomeni, anche le istituzioni se ne devono fare carico. Io me ne occupo perché creare "fatti" falsi va a impattare direttamente sulla democrazia. Chi è a capo di Montecitorio può disinteressarsi di quello che avviene rispetto alla democrazia? Io penso proprio di no, perché attraverso le falsità e la menzogna si alterano il consenso e il dissenso. Io ho deciso che non dovevo restare a guardare accentando questo stato di cose e delegando altri ad occuparsene. Come può non occuparsene chi presiede la Camera, cioè uno dei luoghi-cardine della democrazia? Le istituzioni non possono restare a guardare. Devono prendersi le loro responsabilità e agire. A queste considerazioni rispondo così: ma ve ne siete accorti che un uso perverso della rete altera la democrazia?

Quello che sta accadendo anche in altri paesi a noi vicini, e dunque con i quali dovremmo sempre più avere collaborazioni sul terreno della disinformazione, ci fa capire quanto sia necessario occuparsene direttamente. Oggi al Congresso Usa stanno sfilando i giganti del web nella Commissione d'inchiesta istituita per capire che ruolo hanno giocato le fake news stimolate da altre potenze, come questo è andato a impattare sull'esito elettorale. Pare che 120 milioni di elettori abbiano subito una propaganda inquinata da account falsi, legati alla Russia. Questo è ciò che sta emergendo oggi se si seguono i lavori della Commissione d'inchiesta. Non è uno scherzo, vedete. Ce lo dice anche Macron, ce lo dice Theresa May, lo stanno dicendo pubblicamente, non è più qualcosa da verificare prima e accertare.

Quando capi di Stato e di Governo dicono senza veli che qui c'è una vera minaccia noi non possiamo far finta di niente. E quello che dicono è che le fake news stanno avendo un impatto di primissimo ordine sull'assetto democratico di questi paesi.

E poi c'è anche Freedom House, che ha fatto un rapporto interessante sulla "libertà nella rete". Per anni si è detto che la rete è libera, guai a chi si azzarda a pensare di regolarla. Ma noi siamo sicuri alla luce di tutto questo che la rete sia libera? Forse qualche dubbio ci dovrebbe venire. Freedom House dice testualmente che "la manipolazione e la disinformazione online, nell'ultimo anno, hanno avuto un ruolo importante nelle elezioni di almeno 18 nazioni." E' questa la libertà?

Avete fatto bene, voi della Fondazione, a voler mettere al centro di questo dibattito il ruolo che l'Unione europea ha in questo clima di post-verità, perché l'Ue è uno dei bersagli preferiti della disinformazione.

Considerate il referendum sulla Brexit. L'ho sempre detto, ma in questa sede è importante ripeterlo. Risulta che Farage, il leader dello Ukip, aveva veicolato durante la campagna elettorale una serie di informazioni che poi tranquillamente ha ammesso non essere vere, ma ormai non importava perché il risultato era stato ottenuto. Una di queste fake news diceva che se il Regno Unito fosse uscito dall'Unione europea ci sarebbe stato un risparmio di 350 milioni di sterline a settimana, cioè 18 miliardi all'anno. Voi capite che questa disinformazione ha un impatto diretto sull'elettorato. Qualche giornofa leggevo una ricerca dell'Università di Edimburgo che è stata riportata da Guardian e da Times in cui si dice che i ricercatori hanno individuato una rete organizzata di 419 account gestita da presunti troll russi. Questa rete negli ultimi due giorni della campagna referendaria ha mandato fuori ben 45mila tweet. C'è poco da ridere, c'è poco da scherzare: come facciamo a non capire che questo tema deve essere centrale nell'agenda politica? Se è centrale in questi paesi è centrale anche nel nostro. Qualcuno dice che il gossip, la disinformazione sono sempre esistiti da che mondo è mondo, non è mica una scoperta del web. Già, ma l'impatto che tutto questo ha sul web prima non esisteva. Prima la falsa notizia, il gossip, terminava nella cerchia di persone conosciute, nella cerchia di amici. Adesso la cosa è di tutt'altra natura. E perché queste fake news sono così popolari? Io mi sono data due risposte: la prima è la fragilità culturale. Ce lo ricordava sempre il professore De Mauro: la fragilità culturale è il terreno su cui la disinformazione nasce e cresce. I truffatori, perché questo sono, gli spacciatori di bufale sfruttano l'ingenuità culturale di tante persone a proprio piacimento, ci guadagnano un sacco di soldi, sia ben chiaro: spararla grossa su un personaggio o un altro vuol dire fare un sacco di traffico e questo vuol dire soldi di pubblicità. Quindi oltre all'agenda politica c'è anche l'obiettivo di fare soldi ai danni delle persone, della loro reputazione. C'è questo dato di fragilità culturale che ci deve far riflettere.

E poi c'è la rabbia sociale. Perché c'è la rabbia sociale? Perché c'è diseguaglianza. E c'è diseguaglianza perché non siamo stati in grado di andare incontro ai bisogni delle persone, perché le politiche messe in atto negli ultimi anni sono andate a impattare sulle fasce più deboli e hanno creato rabbia sociale. Questi due elementi insieme sono esplosivi. Quindi la politica farà bene a occuparsi di più delle disuguaglianze che non solo sono un'emergenza etica, e già basterebbe, ma anche economica: un'emergenza che poi porta le persone a dare il peggio perché sono sopraffatte. Occuparsene di più, quindi, significherebbe anche prosciugare il bacino di utenza delle fake news.

Bacchette magiche non ce ne sono. Che si fa? In alcuni Stati hanno pensato, come in Germania, di fare una legge: perché ognuno si deve assumere delle responsabilità, anche i giganti del web sarebbe ora che se le assumessero. In altri paesi non si è arrivati a questo. A livello europeo si cerca di giungere a un lavoro condiviso tra gli stati membri, perché il fenomeno è senza frontiere quindi affrontarlo a livello nazionale è velleitario. Io penso che noi non ci dobbiamo arrendere, non dobbiamo minimamente pensare che sia troppo tardi, che il fenomeno sia troppo esteso e che dobbiamo accettarlo per quello che è. No. Ognuno deve fare delle cose.

Io nel mio piccolo ho cercato di farle. Sapete che alla Camera esistono 14 Commissioni permanenti, e quando io sono entrata a Montecitorio mi sono accorta non c'era una Commissione agli affari digitali. E siccome non potevo fare una riforma del Regolamento senza il consenso di tutti i gruppi parlamentari - e quello ancora non è arrivato, perché la riforma del Regolamento è pronta ma non c'è il consenso - ho pensato di istituirla io. E ho costituito una Commissione su internet, una Commissione di deputati e di esperti. Abbiamo lavorato mesi, abbiamo fatto una 'carta costituzionale' su "I diritti e i doveri di internet". La Commissione adesso sta andando in giro nelle scuole italiane a parlare con i ragazzi. E' molto nuovo come approccio, ma è bello perché vuol dire che la Commissione esce, va nelle scuole, parla coi ragazzi, cerca di educarli a un utilizzo responsabile della rete. E poi, in questo clima che viviamo tutti - Pierfrancesco Majorino sa come è difficile conviverci quando si tratta di amministrare - io ho istituito anche una Commissione sui fenomeni di odio, come ci chiedeva il Consiglio d'Europa. L'ho fatto, anche lì con deputati ed esperti. Abbiamo redatto un rapporto, la professoressa Chiara Saraceno ci ha aiutato a farlo: "la piramide dell'odio". E in questa "piramide dell'odio" nel nostro Paese le donne purtroppo svettano, da noi la misoginia non molla.

Tornando al tema, questa Commissione sui fenomeni di odio l'ho dedicata a Jo Cox, la deputata giovane, quarantenne, uccisa in Inghilterra durante la campagna referendaria perché credeva nell'Europa, credeva nell'inclusione sociale. E' l'esempio più classico di trasferimento dal digitale al reale. Era minacciata sulla rete e l'hanno uccisa. "Britain first" gridavano quando l'hanno uccisa; per questo ciò che avviene sulla rete non va sottovalutato. Quello che avviene sulla rete avviene nella vita. Quei gentiluomini che passano ore a dire sconcezze sulla rete non li vedo poi uscire dalle loro case, andare fuori ed essere ben disposti verso le donne.

Ci siamo organizzati perché non stiamo a guardare. Abbiamo lanciato un appello, "Bastabufale", a febbraio di quest'anno. Io pensavo che ancora la questione non fosse molto all'ordine del giorno e non ci fosse seguito a questo appello, però bisognava provare a smuovere le acque. Invece c'è stato seguito. L'appello è stato fatto e studiato da esperti - ecco l'importanza dell'approccio scientifico - io mi sono rivolta ai più grandi esperti che abbiamo nell'ambito del debunking: Paolo Attivissimo, Michelangelo Coltelli, David Puente e Walter Quattrociocchi. Sono loro che hanno studiato i contenuti di questo appello.

Abbiamo raccolto migliaia di firme, e allora ci siamo detti: facciamo dei tavoli di studio, di approfondimento, perché l'approccio deve essere scientifico, non improvvisato. Ognuno fa il suo mestiere, io ci metto la disponibilità dell'istituzione parlamentare ma non mi sostituisco a chi è del mestiere. E infatti abbiamo fatto 4 tavoli di lavoro, circa 40 sigle di soggetti pubblici e privati, e uno di questi tavoli era appunto dedicato a Ricerca, Università e Scuola e al ruolo che potevano avere nella battaglia contro le fake news, perché è chiaro che l'approccio scientifico è quello che fa più male alle fake news. La scienza è la nemica delle fake news.

E' a questo tavolo che ci siamo ritrovati con voi della Fondazione Veronesi, insieme a rappresentanti del Miur, dell'Istituto superiore della Sanità, del Cnr, della Conferenza dei Rettori. Hanno fatto un documento che insieme agli altri documenti poi ci è servito per lanciare il primo progetto di "educazione civica digitale", insieme alla Ministra Fedeli, Per la prima volta nelle scuole italiane si insegna a scovare le bufale. Noi vogliamo fare dei ragazzi dei cacciatori di bufale, dei detective del web per difendersi dalla disinformazione. E' un progetto che non ha eguali, tanto che la stampa di tutto il mondo l'ha trovato di grande interesse e adesso stiamo collaborando con altri paesi per fare in modo che anche lì i ragazzi possano entrare con consapevolezza nella sfera digitale. Gli abbiamo dato degli strumenti, certo, un decalogo, anzi una lista di otto punti sempre elaborati dagli esperti: come capire che è una bufala, come fare tecnicamente per svelarla, e cosa fare nel caso in cui ci si imbatta in una bufala.

Io in questo progetto ho voluto coinvolgere altri ambiti. Per questo insieme alla Camera e al Miur c'è anche Confindustria: perché se le aziende fanno pubblicità sui siti "bufalari" partecipano alla disinformazione, dunque Confindustria si deve impegnare a non farlo. E poi abbiamo voluto invitare la Fieg: gli editori c'entrano perché se i giovani giornalisti e le giovani giornaliste vengono pagati 10 euro a pezzo come pretendiamo che facciano anche il riscontro delle fonti? Che vadano a controllare se è vera o no una cosa? Questo è sfruttamento. Se vogliamo una informazione seria ci deve essere anche una retribuzione adeguata, dobbiamo fare in modo che i giornalisti possano lavorare dignitosamente e fornirci un'informazione seria e autorevole.

Abbiamo anche invitato Facebook e Google, e non devo dire perché c'entrano. Le grandi piattaforme, i giganti della rete devono assumersi le loro responsabilità: basta con l'idea che siano semplici autostrade dove tutto circola senza responsabilità. No, siete media company, questo principio deve affermarsi, altrimenti è concorrenza sleale. Voi avete un grande potere e ai grandi poteri corrispondono anche grandi responsabilità.

In Italia Facebook ha 30 milioni di utenti; a fronte di questo non ha un ufficio operativo che possa fare il monitoraggio dei messaggi, che possa controllare se c'è l'odio nella rete, che possa essere di supporto alle persone che si sentono attaccate. Non è possibile che non ci sia un ufficio operativo. Io ho scritto a Zuckerberg su questo punto, e anche sulla vergogna delle pagine che inneggiano al fascismo e al nazismo, che non si possono vedere. E' un reato, l'apologia di fascismo. Gli ho chiesto di cancellare le pagine della vergogna.

Se la responsabilità è la parola-chiave, nessuno può chiamarsi fuori in questo tempo.

Io penso che le regole non siano mai un bavaglio. In assenza di regole, ci chi rimette è sempre il più debole, e in democrazia questo non è tollerabile.

Vi ringrazio.