22/11/2017
Roma, Corte di Cassazione

Saluto introduttivo alla cerimonia di inaugurazione del corso di formazione 'La violenza contro le donne' organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura

Buongiorno a tutte e a tutti.

Saluto il primo presidente della Corte di Cassazione, Giovanni Canzio. Ho accolto il suo invito a introdurre un tema aggiuntivo, un tema che - ha ragione lui - è essenziale e non poteva mancare nel saluto ad un corso contro la violenza sulle donne. Saluto anche il procuratore generale presso la Corte di Cassazione, Pasquale Ciccolo, che mi fa piacere rincontrare; così come il presidente della Scuola superiore della Magistratura, Gaetano Silvestri. Ringrazio anche gli organizzatori e le organizzatrici di questo incontro e ringrazio per la sua presenza la senatrice Francesca Puglisi, Presidente della Commissione d'Inchiesta del Senato sul femminicidio. Saluto e ringrazio i magistrati e le magistrate, così come i ragazzi e le ragazze che sono qui oggi ad assistere al momento di avvio di un corso importante su un tema importante.

Mi fa piacere che la Scuola abbia colto l'urgenza di dedicare un approfondimento al tema della violenza contro le donne.

Un tema che certo non è limitato al nostro Paese, un tema che purtroppo tocca tutto il mondo: ovunque, a ogni latitudine c'è questo problema. Un problema che non è circoscritto a specifiche classi sociali; non c'è nessuna classe sociale che ne è esente. Vediamo dalle cronache che è stata uccisa una donna che faceva la manager, o una contadina, o un'operaia, un'avvocata: il fenomeno è trasversale.

Ed è un fenomeno che purtroppo non accenna a diminuire: diminuiscono gli omicidi ma non diminuiscono le uccisioni delle donne in quanto donne. L'Istat ci fornisce dati abbastanza agghiaccianti: ci dice che in Italia ogni due giorni e mezzo una donna viene uccisa per mano di chi dovrebbe amarla. La violenza mascherata da amore. E ci dice anche, l'Istat, che le donne che hanno subìto violenza sono più di 6 milioni, e sono più di 3 milioni le donne che sono state vessate da atti di stalking. Il panorama è quanto meno allarmante, sono cifre impressionanti.

E ci dobbiamo interrogare sulle cause: come è possibile che nel 2017 tutto questo avvenga. Perché? Io penso che bisogna affermare un principio molto semplice: non possiamo accettare di convivere con la violenza. Non è normale vivere in una famiglia violenta. Ci sono troppe donne che pensano che non ci sia altra possibilità, che sia l'unica dimensione possibile; che accettano questa condizione perché non ne conoscono un'altra.

Cosa induce un fidanzato, un marito o un ex, a violare, a picchiare, ferire la donna con cui ha una relazione? Cosa può indurlo a fare questo? Cosa spinge un uomo a brutalizzare la propria compagna, a volte fino addirittura ad ucciderla? Che cosa succede? Che cosa è che non funziona? Dove sta il corto circuito?

Io mi sono data delle risposte, sono anni che me lo chiedo. Si arriva a questo per NON amore. Si fa male per "non amore", si umilia per "non amore". È il "non amore", il possesso, il desiderio di dominio, sopraffazione, rivincita, rivalsa, che porta ad uccidere. Non c'è nulla di amorevole nell'uccidere qualcun altro, nulla che possa essere lontanamente paragonato all'amore. Non facciamo questo errore! "L'ha uccisa per troppo amore": è una bestemmia. Oggi dobbiamo dire che è un problema culturale serissimo. E' un problema che ci portiamo dietro da molto tempo. A tutt'oggi gli uomini hanno dei problemi e faticano a relazionarsi in modo paritario con donne che stanno andando avanti nella società, che pretendono di "essere". No, non è possibile "essere", tu non sei in quanto persona, tu sei perché sei mia.

E allora, quando la figura femminile si rifiuta di essere figura di accudimento, o figura meramente familiare, o si permette di dire basta, scatta il meccanismo che porta alla violenza sfrenata. L'uomo diventa preda di una cultura arcaica che vuole la donna sottomessa. Basta leggere la letteratura dei secoli che ci hanno preceduto: la donna ubbidiente, la donna serva, la donna proprietà. Sei di mia proprietà, e poiché sei di mia proprietà io di te faccio quello che voglio. La donna quindi non come un soggetto da amare, ma un oggetto su cui esercitare il diritto di vita e di morte. Posso tutto su di te perché non ti riconosco come soggetto, sei un oggetto nelle mie mani.

Che abbiamo fatto noi in Parlamento?

Io penso che l'Italia sia un Paese che dovrebbe fare un grande balzo in avanti su tante cose. Però sul fronte della violenza contro le donne, in questa legislatura, ne abbiamo fatti di passi in avanti. E ho il piacere di ricordare che il primo atto che abbiamo fatto alla Camera, ma poi anche al Senato, è stata la ratifica della Convenzione di Istanbul, il primo atto compiuto in questa XVII legislatura.

Perché è importante? Perché lo dico con orgoglio? Perché è una pietra miliare. La Convenzione di Istanbul - non lo devo dire a voi magistrate e magistrati, ma mi rivolgo soprattutto agli studenti e alle studentesse - dice una cosa importante: la violenza sulle donne non è un fatto privato, "me la sbrigo a casa mia perché sono fatti miei e nessuno ci deve mettere bocca, ognuno si occupi di casa propria". La violenza contro le donne è una violazione dei diritti umani, è una discriminazione. Capite il salto che ci fa fare? La Convenzione di Istanbul poi pone agli Stati che l'hanno ratificata degli obblighi molto chiari: gli obblighi sono soprattutto sulla prevenzione e sulla promozione di una cultura che si basi sul rispetto, il rispetto delle donne.

Ma io penso che non basteranno le leggi e non basterà neanche il fatto che questo tema sia trattato solo dalle donne. Mi fa piacere vedere che qui abbiamo tre uomini autorevoli, e tanti uomini in questa sala. Il problema della la violenza sulle donne è un problema di tutta la società, è un problema che nasce dagli uomini, è un loro problema, che non sanno relazionarsi in modo civile nei confronti delle donne. Quindi non è una «faccenda da femmina», una faccenda di donne, è una faccenda che riguarda uomini e donne. A me dà fastidio, per esempio, quando alla Camera si parla di una mozione su questo tema o di questioni inerenti all'occupazione femminile, che il tema venga delegato alle donne. Perché? Questo è un tema che riguarda tutta la società.

Ed allora è importante cominciare da bambini, cominciare nelle scuole, perché il rispetto delle donne è una cosa che si insegna nei primi anni di vita. Si insegna la parità, si insegna il rispetto, si insegna la condivisione. Perché magari non è automatico che venga, quindi è importante che si insegni il rispetto della libertà delle donne a scuola.

Solo così noi potremo affidare alle parole i sentimenti di qualsiasi natura: se noi avremo educato fin dai primi anni, sapremo che quei sentimenti saranno affidati alle parole e non a gesti violenti che mirano sempre alla sottomissione. E' la stessa sottocultura che poi porta a bullizzare gli omosessuali, che porta ad accanirsi contro i disabili, la stessa sottocultura dell'accanimento verso i gruppi sociali che vengono ritenuti assoggettabili.

Questo schema si rompe attraverso diverse prospettive. Vi vorrei parlare del linguaggio. Io ho una figlia poco più che ventenne, e leggo a volte con lei messaggi, chat. Vedo il linguaggio che viene usato quando si rivolgono alle ragazze poco più che adolescenti: se tu ce l'hai con una tua coetanea perché non sei d'accordo su qualcosa, non è che la stani su quel tema, ti ci confronti, dimostri che lei ha torto. No, tu l'aggredisci con epiteti sessisti, la umili verbalmente in quanto ragazza, in quanto donna. E anche le stesse ragazze usano quelle modalità sessiste, cioè l'insulto a sfondo sessuale. Denigrare la donna, farla stare zitta con epiteti sessisti è un'attitudine molto dura a morire.

Al di là di questi modi denigratori, ci sono anche altri modi nel linguaggio che sono altrettanto problematici. C'è una parte della nostra società che fa fatica, anzi a volte rifiuta letteralmente, di declinare al femminile i ruoli e le mansioni. Perché non è possibile? Perché va bene a tutti che si dica operaia, nulla quaestio, siamo tutti d'accordo, non si dice operaio per una donna, si dice operaia. E allora perché non si deve dire ingegnera? Perché finora non era così? Certo, c'erano solo uomini che facevano quella professione.

Si dice infermiera, e allora non si deve primaria? Solo perché abbiamo salito la scala sociale, come è che funziona? Non ce n'erano mai state prima, di donne primarie. Adesso ci sono, decliniamolo. Poi c'è la maestra: anche qui tutti d'accordo. Ma la rettrice suona male? Suona benissimo! E più ce ne saranno, più ci aiuteranno ad andare avanti. E così via con sindaca, ministra, consigliera, avvocata e magistrata. Ci devono essere le donne. Allora ci sarà la procuratrice e ci sarà anche la giudice, come ci insegna la vostra collega Paola De Nicola, che ha scritto un libro intitolato appunto La giudice. Se questo cambiamento non lo mettiamo in atto noi rappresentanti delle istituzioni e della magistratura, come si fa poi a trasmetterlo nelle sentenze e nelle leggi?

Penso che ognuno debba fare la sua parte. Io ho cercato di fare la mia in questi quasi 5 anni, e per la prima volta a Montecitorio, grazie alla Segretaria Generale, Lucia Pagano, che è qui - una donna per la prima volta nella storia della Repubblica - abbiamo deciso che bisognava cercare di aggiornare il linguaggio e far entrare il genere femminile. Non siamo solo "deputati", "ministri", "sottosegretari", ma esistiamo in quanto donne: "le deputate", "le ministre", "le sottosegretarie". Oggi negli atti parlamentari è scritto così, oggi nei dibattiti in Aula o in Commissione si dice così.

E quando qualcuno non si arrende, c'è l'ironia che ci viene in soccorso. Quando in Aula continuano a chiamarmi "signor Presidente", io al deputato che si rivolge così a me replico con un "grazie, signora deputata!". E tutti ridono. E' altrettanto ridicolo che lui si rivolga a me con "signor Presidente", perché evidentemente io non sono un uomo.

In questa legislatura, iniziata con l'approvazione della Convenzione di Istanbul, sono seguiti diversi provvedimenti importanti. Il cosiddetto decreto sul femminicidio, poi convertito in legge, ha introdotto misure importanti di natura penale e anche in procedura penale: per esempio per dare la precedenza a questi casi, ed anche provvedimenti che tengano lontani i violenti, così come misure a maggiore protezione della donna.

Le leggi poi vanno tradotte, vanno interpretate, e il principio del libero convincimento del giudice io lo trovo sacrosanto, sia ben chiaro. Però sulla violenza domestica abbiamo situazioni critiche che molto facilmente possono diventare tragedie. Questo implica una maggiore attenzione anche interpretativa delle stesse leggi. Perché a volte è accaduto, lo si diceva prima, che purtroppo le denunce sono cadute nel vuoto, ci sono casi eclatanti. Ricordiamo tutti il caso, qualche tempo fa, di quella donna in provincia di Catania, che aveva denunciato ben 12 volte e non era successo niente, nonostante il marito le mostrasse continuamente un coltello con cui sicuramente l'avrebbe ammazzata. 12 denunce, non succede nulla, l'unica cosa che succede è che la donna viene ammazzata. Era tutto già prevedibile, perché tante volte quella donna aveva ricevuto quelle minacce.

Dobbiamo tutti ammettere che capita ancora troppo spesso che donne in difficoltà si rivolgano alle istituzioni a vario livello e trovino indifferenza. E così le minacce non restano solo vuote parole di ira e risentimento, ma diventano presagio di morte, l'anticamera della morte. Di una morte che può e deve essere evitata. Per questo penso che una iniziativa così è importantissima. La formazione è importante a tutti i livelli, per tutti quelli che hanno a che fare con i fenomeni sociali che sono in evoluzione.

Anche noi, del resto, dobbiamo seguire lo stesso criterio, quando in Parlamento facciamo le leggi. Perché non accada più quello che è accaduto con il reato di stalking, che per effetto della recente riforma del processo penale può essere estinto con un modesto risarcimento in barba alla volontà della donna offesa, che non conta.

Stiamo provvedendo, perché quando si compiono degli errori, è giusto ammetterlo e correre ai ripari. Ci stiamo provando e io mi auguro che si arrivi a farlo prima possibile, prima della fine della Legislatura.

Prima il Presidente Canzio mi ricordava di dire anche qualcosa su una nuova forma di violenza contro le donne. La nuova frontiera della violenza contro le donne si svolge sulla rete. Il digitale è il nuovo terreno dove la donna deve confrontarsi ogni giorno con la violenza. E' una constatazione molto amara quella che devo fare, e non la faccio solo a livello di percezione. Alla Camera dei deputati ho istituito - dopo la Commissione Internet che ha seguito poi il percorso di fare una Carta per i diritti e i doveri in rete - anche un'altra Commissione, quella sui fenomeni di odio. Questa Commissione, composta da deputati e da esperti esterni - un modo di far lavorare insieme i deputati con chi opera fuori dal Parlamento - ha fatto una relazione: "La Piramide dell'odio". E nella "La Piramide dell'odio", che vi invito a guardare con molta attenzione, noi donne siamo le prime vittime. In Italia i primi soggetti di violenza sul web sono le donne.

Capite che c'è da fare di più? Perché se succede che le minacce di stupro, di morte, di qualsiasi cosa si susseguono ogni giorno, arrivano a destinazione, questo è uno stato di diritto o non lo è? Se è uno stato di diritto, le leggi devono essere messe in atto nella rete e fuori della rete. Un reato è un reato sempre, e io invito tutti in questa sede a non abbandonare le donne, i minori, a un destino di violenza. Ci deve aiutare la magistratura ad affermare uno stato di diritto, e deve farlo considerando seriamente quello che avviene sulla rete. Non è un mondo a parte.

La deputata Jo Cox, in Gran Bretagna, è stata uccisa dall'odio politico perché voleva rimanere in Gran Bretagna. L'avevano assillata, minacciata sulla rete. Non hanno fermato l'odio ed è stata uccisa realmente da molte pugnalate. La violenza in rete non è meno grave di quella fuori della rete, e se noi non diamo un segnale ai nostri figli, noi istituzioni abdichiamo di fronte ai violenti e consentiamo al web di essere un far web,dove vince il più forte, il più violento e gli altri o abbassano la testa o si umiliano o devono abbandonare lo spazio digitale.

Siamo pronti ad accettare questo? Io no, e con me tante gente non è pronta. La rete è una grande opportunità e dobbiamo preservarla dai violenti. Per fare questo dobbiamo unire le forze, tutti, ognuno per la propria parte. Io ho deciso il 14 agosto di denunciare pubblicamente. Ci ho messo quattro anni perché pensavo che i 'cattivi maestri' si sarebbero stancati. Non lo hanno fatto, non si sono stancati e allora mi sono detta: "se io che oggi rappresento una delle più alte cariche dello Stato abbasso la testa si fronte alla violenza, come faccio ad andare nelle scuole a dire ai ragazzi "non cedete contro i bulli, denunciate i bulli?" Con quale faccia, se poi io non ho il coraggio di denunciare. Quel post ha avuto 6 milioni e mezzo di visualizzazioni, si è scoperto un mondo di violenza, di donne che raccontavano le loro storie, di quello che avevano subito. Quasi sempre ai danni delle donne. Allora io mi sento la responsabilità di dare voce a queste donne e di fare questa battaglia in nome e per conto di tutte quelle che vivono la mia stessa condizione, una condizione che ci vuole azzittire, mettere all'angolo, sottomettere. Io penso che i violenti si dovranno rassegnare perché perderanno, e glielo dico chiaramente: arrendetevi, perché noi non molleremo, noi i nostri diritti ce li teniamo ben stretti e andiamo avanti.

Ma per fare questo, care amiche e cari amici, ognuno di noi deve fare la propria parte. Lo Stato deve dimostrare di esserci anche di fronte a questa grande sfida, che è nuova e che ci pone di fronte a molte problematiche.

In conclusione, fa piacere che da questo corso nasceranno delle "buone pratiche" e quelle "buone pratiche" accompagneranno tutto il procedimento penale. Potranno essere di sostegno a chi sarà chiamato a decidere su questioni importantissime, non solo per le donne ma anche per il nostro paese.

Vi ringrazio.