01/04/2017
Campobasso, Aula Magna dell’Università degli Studi del Molise

Indirizzo di saluto alla Cerimonia inaugurale dell’Anno Accademico 2016-2017

Buon giorno a tutte e a tutti.

Mi dispiace avervi fatto ritardare questa inaugurazione dell'Anno Accademico ma purtroppo è stato un rinvio obbligato, perché ho dovuto subire un intervento di chirurgia del tutto inaspettato.

Saluto il Presidente della Regione Paolo Di Laura Frattura, il Sindaco di Campobasso Antonio Battista, le autorità civili, militari e religiose presenti. Saluto i rappresentanti del corpo docente che sono qui, gli studenti, le studentesse, il personale tecnico e amministrativo che ho incontrato anche prima e tutti voi che avete deciso di partecipare oggi a questa iniziativa.

Il Presidente della Regione ha appena parlato di Europa. Una settimana fa io partecipavo a quella bella cerimonia che si è tenuta nella Sala degli Orazi e Curiazi in Campidoglio. Ero lì per una occasione solenne, c'erano i Capi di Stato e di Governo per celebrare una ricorrenza: i 60 anni della Comunità Europea, dell'Unione Europea.

Una celebrazione che molte persone non credevano possibile. Tanti sostenevano: "Con tutte le tensioni che ci sono, non arriveremo mai a fare una dichiarazione all'unanimità". E invece ci siamo riusciti. Credo che una dichiarazione all'unanimità, in un momento così, non sia un passaggio formale ma di sostanza, perché l'Unione Europea ha segnato la storia degli ultimi 60 anni, anni di pace. Sembra retorica ma riflettete su cosa significa.

Le nostre generazioni non conoscono la guerra, è una cosa che fa parte dei racconti dei nostri nonni. La pace è un traguardo e dunque era giusto celebrare i 60 anni con solennità, ed era giusto farlo dopo tanti colpi all'Unione Europea, dopo i muri e i fili spinati.

I muri non hanno mai segnato l'amicizia tra i popoli, hanno sempre stabilito divisioni. E poi c'è stata la Brexit: per la prima volta uno Stato membro se n'è andato. Fino a poco tempo fa gli Stati membri entravano, adesso qualcuno vuole lasciare l'Unione.

Invece i 27 Paesi Ue hanno reagito con la dichiarazione che abbiamo approvato.

Vi leggo un passo di questa dichiarazione firmata sabato scorso.

"Ci impegniamo ad adoperarci per realizzare.. un'Europa sociale ..un'Unione che lotti contro la disoccupazione, la discriminazione, l'esclusione sociale e la povertà; un'Unione in cui i giovani ricevano l'istruzione e la formazione migliori e possano studiare e trovare un lavoro in tutto il continente…".

Questo passaggio, in un Paese come il nostro, ci impegna doppiamente. L'Italia è stata segnata da anni difficilissimi, in cui decine di migliaia di ragazze e ragazzi se ne sono andati perché hanno ritenuto che qui non poteva esserci un futuro. E' una sconfitta se partono le persone che hanno ricevuto una formazione, se lo Stato investe sui giovani e poi questi se ne vanno via e contribuiscono allo sviluppo di altri paesi.

In questi anni abbiamo visto tante persone perdere il lavoro, magari a 50 anni; abbiamo visto artigiani che erano lì da sempre con la loro bottega e ora non ci sono più. Lo vedo quando torno nella mia regione, le Marche, e non trovo più un artigiano, un negozio. Le saracinesche sono giù e difficilmente si rialzeranno.

Abbiamo visto anche un welfare che si restringe sempre di più. In tempi di crisi, nei quali il welfare dovrebbe essere raddoppiato, si è invece ridotto.

E abbiamo visto anche il crollo dei consumi e quindi della produzione. Quanti imprenditori disperati non ce l'hanno fatta? Abbiamo letto anche di gesti inconsulti pur di non arrivare alla misura ultima di non licenziare.

Tutto questo ha segnato profondamente il nostro Paese. La rabbia e la frustrazione hanno avuto la meglio. Ci dicono: "Voi politici non ci avete protetto. Non avete saputo leggere la crisi, non avete saputo tenere testa alle disfunzioni della globalizzazione e ci avete lasciato al nostro destino". Le persone sono molto arrabbiate e deluse da una classe politica, che, a loro avviso, non è stata all'altezza della sfida. E questo succedeva mentre la classe media si assottigliava, i poveri aumentavano e pochissimi si arricchivano. I ricchi diventavano sempre più ricchi. Per questo le persone non ce la fanno più: non la sopportano più una società come questa, perché democrazia significa redistribuzione della ricchezza, non concentrazione nelle mani di pochi.

Uno studio dell'Oxfam dice che 8 super ricchi possiedono l'equivalente di quanto detiene la metà povera della popolazione mondiale. Nei 30 paesi per i quali ci sono i dati a disposizione, dal 1970 ad oggi, le tasse sono diminuite per i ricchi e aumentate per la classe media. Parlo di 29 paesi su 30.

Oxfam aggiunge che la crescita delle diseguaglianze è il dato che frena l'economia. Perché se le persone diventano più povere, tanto più povere, chi va a comprare? Chi consuma? Lo dice Oxfam - direte voi - è di parte. E' un'agenzia umanitaria, si occupa di povertà. Certo, ha questo tipo di sensibilità, se non fosse che poi arriva la conferma dal World Economic Forum di Davos. E anche il Fondo Monetario Internazionale ci dice esattamente la stessa cosa: la disuguaglianza è un problema economico, non è più sostenibile concentrare la ricchezza nelle mani di pochi, perché l'economia così muore.

Da queste letture che partono da presupposti diversi e convergono si evidenzia che la diseguaglianza non è solo un problema etico - e per me questo basterebbe - ma è un problema economico, perché blocca l'economia, ed a mio avviso è anche un problema politico.

Perché è un problema politico? Perché la politica, a differenza della finanza che nasce per fare profitto, dovrebbe mitigare le disuguaglianze, e invece evidentemente non lo ha fatto. Per questo la gente è arrabbiata: perché questo senso di ingiustizia è insopportabile.

In questa situazione c'è gioco facile per i demagoghi e i populisti, che fanno di tutta l'erba un fascio e danno ricette che sono assolutamente impraticabili ma alle quali tanta gente in buona fede crede: "chiudiamo tutto, ritorniamo all'autarchia, avremo un brillante futuro". Non può essere così che il mondo va avanti.

Ecco perché credo che la priorità assoluta debba essere quella di dare ai giovani una prospettiva di lavoro. I giovani si devono sentire di nuovo padroni del loro futuro, di farsi una vita, di chiedere un mutuo, di costruire una famiglia. Oggi c'è questa cappa: la mancanza di lavoro è un'ipoteca sulla vita, fa male, non ti consente di vedere un futuro. I giovani si sentono già vecchi perché non ci credono più.

Dunque, il lavoro è l'emergenza di tutte le emergenze.

Oggi abbondano forme occupazionali capestro, precarie. Io credo sia necessario creare buon lavoro, non occupazione saltuaria, che spesso diventa sfruttamento.

Finora i tentativi fatti - al di là del merito, in cui non voglio entrare - si sono concentrati su una riforma del mercato del lavoro che desse più flessibilità alle imprese per assumere e per licenziare.

Al di là dei dati, che non sta a me leggere, la situazione non è cambiata. In alcuni casi ha funzionato, in altri no, ma sicuramente non basta perché la disoccupazione giovanile nel nostro Paese è tra il 38 e il 40%.

Se fosse stata sufficiente avrebbe portato a una riduzione del tasso di disoccupazione giovanile. Invece, purtroppo, è ancora una percentuale insostenibile.

Siamo ben oltre la media europea che è del 22%. E allora è imperativo cambiare le nostre politiche.

Bisogna uscire dall'austerità. L'Europa di cui parlava il Presidente della Regione deve essere in grado di cambiare quelle politiche economiche che ci impongono austerità, perché se non riusciremo a prevedere investimenti pubblici per creare lavoro non usciremo mai da questo angolo.

L'investimento pubblico serve a fare da volàno all'investimento privato. Dunque, se non c'è il primo non ce la faremo. Per superare l'austerità è necessario fare cordata con altri paesi, proponendo un'altra prospettiva di politica economica.

Credo sia importante ricordarci chi siamo. Siamo un grande Paese, siamo la seconda potenza industriale d'Europa. Il nostro settore trainante. Ma tutto questo non basta. Dobbiamo guardare al futuro. Nel nostro paese c'è un patrimonio culturale e archeologico senza pari. Sfruttiamolo, mettiamolo a frutto! Creiamo in questi ambiti nuovi posti di lavoro!

Il nostro Paese ci chiede cura del territorio - e lo dico in questa Regione - che non può essere costantemente violato. La più grande opera pubblica di cui abbiamo bisogno è la messa in sicurezza del territorio, attraverso la quale si creano nuovi posti di lavoro.

Il nostro territorio è purtroppo spesso vittima di terremoti. Serve rendere più sicure abitazioni e scuole. Per fare questo ci vuole un investimento strutturato rispetto alla messa in sicurezza del territorio.

E poi c'è l'agricoltura di qualità che è sostenibilità, è ambiente, è bellezza. Il nostro paesaggio è tra i più belli del mondo. Lo dobbiamo curare e farne risorsa.

E' l'economia verde, è quella che nasce da bellezza e natura. In questo non siamo secondi a nessuno, facciamo di queste risorse fonte di reddito e lavoro.

Penso ai nostri borghi che meritano di essere vissuti, non abbandonati, perché sono un patrimonio. Dunque è in questi territori che deve arrivare la banda larga, perché i giovani possano lavorare e decidere di rimanere.

Le infrastrutture immateriali, forse ancora di più quelle materiali, sono la chiave di volta dell'economia. Se in una regione si fa fatica ad arrivarci, magari si desiste, non ci si va. Se in un territorio non c'è la banda larga quel territorio soffre. Lo vedo nelle Marche, quando vado in campagna a casa mia: sulla strada c'è una curva prima della quale c'è un'attività produttiva, gli agriturismi sono sempre pieni; passata la curva 'maledetta' non c'è più campo, non ci si connette, e gli agriturismi sono quasi sempre vuoti.

La banda larga è fondamentale per lo sviluppo, non è un optional. E' lo strumento di lavoro di un'economia che sempre più si svolge nel digitale. Ma c'è chi dice: e dove li troviamo i soldi? Un interrogativo che mi fa rabbia, perché in un Paese in cui l'evasione fiscale è stimata in 100 miliardi di euro l'anno non si può dire che non si sa dove cercare i soldi! Per non parlare poi della corruzione, sulla quale c'è una gara di cifre. Quanto costa al Paese la corruzione? Per alcuni 60 miliardi, per altri 50, c'è chi dice 80. Comunque sono un sacco di soldi. La corruzione ci ruba il futuro, così come l'evasione fiscale. Allora prendiamoli da lì, i soldi! Bisogna fare delle scelte.

Nel suo discorso il Sindaco ha evidenziato una serie di criticità. Alcune le condivido: penso che non pagare l'Imu sulla casa faccia piacere a tutti. E' giusto che le famiglie più svantaggiate non la paghino, ma ci sono anche persone con ampi patrimoni, che hanno tante case. Ecco, io preferirei che quelle persone l'Imu la pagassero anche sulla prima casa! E con quei soldi si potrebbe fare innovazione, o destinarli al welfare. Sono scelte che bisogna fare nei momenti difficili.

Ma serve anche un'amministrazione pubblica capace di risparmiare. E' un dovere, perché ancora ci sono tanti sprechi.

Permettetemi di usare questa occasione per ricordare quello che abbiamo fatto alla Camera, perché temo che leggendo i giornali non ne abbiate avuto notizia. A Montecitorio in questa legislatura, grazie alla collaborazione di tutti, abbiamo fatto una cosa senza precedenti: abbiamo tagliato 350 milioni. Se le istituzioni provano a cambiare, a rendersi più sobrie, ad avvicinarsi ai cittadini, credo sia utile che i cittadini lo sappiano. Invece, purtroppo, quello che le istituzioni fanno di positivo quasi sempre viene ridotto o oscurato. Questi sforzi vanno fatti, a tutti i livelli della pubblica amministrazione.

Noi oggi vediamo il futuro attraverso gli occhi della crisi. Le nuove generazioni che lavoro avranno? Non possiamo non prendere atto che viviamo nel tempo della robotica e dell'intelligenza artificiale. Guardate, queste cose non sono più lontane, non è fantascienza, ed è una cosa bellissima; ma dobbiamo essere pronti a gestire questa nuova realtà.

Dobbiamo essere preparati a cogliere i rischi che questo comporta. L'Italia non è messa male nella robotica, è il sesto paese del mondo produttore di robot industriali. In Europa è il secondo paese a produrre robot. Certo, l'Asia produce di più; tra Cina e Stati Uniti c'è una battaglia all'ultimo robot. Però oggi il robot non viene utilizzato solo nelle industrie, viene usato anche in altri campi: nei servizi, ad esempio. Nell'assistenza sanitaria càpita che non ci sia più l'infermiere ma il robot; idem nella vita domestica, nel terziario, nelle infrastrutture, nell'educazione.

Questa è la quarta rivoluzione industriale, noi abbiamo il privilegio di vivere in questa epoca e dobbiamo capire come viverla al meglio.

Secondo alcuni sarà una società jobless: nessuno di noi avrà più un lavoro, perché le intelligenze artificiali ci sostituiranno. Uno studio americano sostiene che, entro il 2030, il 38% dei lavori negli Stati Uniti sarà sostituito dalle macchine. In Germania il 35% dei lavori sarà fatto dalle macchine e tutte le persone saranno tenute a cambiare professione più e più volte nella vita, fino a 10 volte.

Se ciò si affermerà vorrà dire che dovremo riqualificare le persone costantemente, servirà un aggiornamento costante; quindi l'obbiettivo non sarà quello di difendere i posti di lavoro che ci sono, ma di crearne di nuovi. E quali saranno i nuovi lavori? Non difendiamo solo quelli di oggi, perché non sarà sufficiente. Bisogna investire di più in università, formazione e ricerca.

Il divario digitale, il digital divide, non è sostenibile per la società del futuro. Lo Stato si deve occupare di rendere i cittadini capaci di essere anche cittadini digitali, altrimenti questa sarà la forma di diseguaglianza dei nostri anni.

E allora, care ragazze e cari ragazzi, saranno la cultura e l'istruzione ad essere la nuova "cassetta degli attrezzi". Chi vi dice che non serve studiare, che l'importante è fare i soldi, che mica ci mangi con la cultura, fa un torto ai giovani. Non è mai stato vero e ora men che meno, perché sarà solo attraverso l'elevato livello di formazione che si potrà trovare lavoro.

Oggi una classe dirigente che si rispetti deve investire sulla formazione costante. Quindi priorità assoluta alla ricerca e alla formazione. Lo stiamo facendo? I dati ci dicono che non lo stiamo facendo molto, ad essere onesti: perché secondo l'Ocse il tasso di laurea per i giovani fra i 25 e i 34 anni in Italia è il 34%, mentre la media dell'Unione Europea è del 45%.

L'Italia spende abbastanza per l'università e per l'istruzione in generale? No, non spende abbastanza. Anche qui siamo ultimi in assoluto e mi dispiace dirlo.

E allora dobbiamo essere pronti ad affrontare questa sfida anche attrezzando il welfare, caro Sindaco: perché se noi saremo tenuti a cambiare lavori, il welfare non dovrà essere un assistenzialismo a pioggia ma una forma di accompagnamento da una professione all'altra, da un lavoro all'altro.

Io parlo spesso, ad esempio, di un sussidio europeo di disoccupazione, che potrebbe essere molto utile nel caso in cui si passasse da un lavoro all'altro. Se fosse l'Europa a occuparsi delle persone che debbono riqualificarsi e cercare nuovi lavori, immaginate come cambierebbe la percezione dell'Europa.

Sussidio europeo di disoccupazione, così come reddito di dignità europeo. Se l'Europa dei diritti non lasciasse nessuno indietro chi non la amerebbe? Dobbiamo fare questo salto.

In conclusione, penso che il futuro ci mette di fronte a sfide epocali. Io voglio dire alle ragazze e ai ragazzi di non avere paura del futuro, di credere nelle vostre possibilità, di non indietreggiare di fronte alle difficoltà. E voglio ricordare la frase di una grande donna, Eleanor Roosevelt, che disse: "Il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni". Io mi associo a questa considerazione.

Vi ringrazio.