15/03/2017
Roma, Teatro Argentina

Saluto introduttivo al Corso di formazione professionale per i giornalisti promosso dall’Ordine dei Giornalisti del Lazio sul tema ‘No, non è la gelosia: si chiama femminicidio. Violenza maschile sulle donne, informazione e deontologia’

Sono contenta di essere questa mattina con voi per un appuntamento che reputo essere molto importante. Ringrazio quindi la Presidente Paola Spadari e Silvia Resta per questo invito; ringrazio anche il responsabile della formazione dell'Ordine dei giornalisti del Lazio, Carlo Picozza. Ringrazio tutti voi per essere qui e per avere la disponibilità oggi a ragionare su un tema che io ritengo essere molto rilevante per la nostra società. Per me oggi è l'8 marzo: mi avete dato la possibilità di parlare di un tema come il femminicidio, visto che lasettimana scorsa non ho potuto partecipare a nessuna iniziativa perché ero in ospedale a causa di un intervento chirurgico urgente. Questo mi ha costretto a stare fuori della celebrazione dell'8 marzo, quindi per me questo è un modo per marcare quella giornata su un tema che ritengo essere cruciale.

Con alcune e alcuni di voi già ci siamo incontrati in questi quattro anni di legislatura, perché questo è un tema che io ho posto al centro del mio mandato. La legislatura è iniziata esattamente quattro anni fa, quattro anni fa - il giorno era il 16 marzo, domani - diventavo Presidente della Camera, e ho voluto inserire il tema del femminicidio, della violenza mascherata d'amore, nel mio discorso di insediamento. Credo sia stata la prima volta che una presidente della Camera ha messo al centro del Parlamento questo tema. E l'averlo messo al centro ha significato anche portare avanti un impegno: un impegno legislativo e anche un impegno che passa attraverso l'utilizzo di simboli, come è già stato detto dalla Presidente Spadari.

Lasciatemi ricordare brevemente, e con un po' di orgoglio, quello che ha fatto il Parlamento; o comunque quello che abbiamo fatto alla Camera, perché non tutti i provvedimenti sono stati poi definitivamente approvati. Il primo atto della legislatura è stato l'approvazione della ratifica della Convenzione di Istanbul. Voi sapete che la Convenzione di Istanbul è una pietra miliare, perché ci dice che la violenza sulle donne non è un fatto privato ma è una violazione dei diritti umani delle donne. Poi abbiamo approvato il decreto sul femminicidio; poi anche un provvedimento che è approvato dalla Camera ma non ancora dal Senato, il cognome delle madri ai figli - sono anni che si aspetta questo provvedimento - e recentemente abbiamo approvato un procedimento a sostegno degli orfani di femminicidio.

Penso che tutto questo faccia capire che la prima legislatura in cui il 30% di parlamentari sono donne ha restituito di fatto con l'impegno la presenza femminile nelle istituzioni. Abbiamo saputo fare rete. Io ho voluto istituire per la prima volta a Montecitorio l'Intergruppo donne. Non esisteva a Montecitorio, eppure negli altri parlamenti europei ed anche negli Stati Uniti è una delle aggregazioni più consolidate. L'ho istituito perché penso che le donne debbano sapere lavorare, a prescindere dai loro convincimenti politici, su provvedimenti che riguardano le donne, e penso che ci stiamo riuscendo abbastanza bene, anche se non è facile. La riprova è che a ridosso della Legge di Bilancio - o Legge di Stabilità, come si chiamava gli altri anni - l'Intergruppo è riuscito a formulare congiuntamente, con deputate di tutti i gruppi politici, emendamenti alla Legge di Bilancio - che come sapete è la legge più importante, quella che decide l'utilizzo delle risorse - per provvedimenti a vantaggio delle donne italiane.

Ma anche i simboli sono importanti. Il drappo rosso è stato un simbolo, ma non l'unico. L'8 marzo anche quest'anno a Montecitorio la bandiera italiana è stata calata a mezz'asta in segno di lutto e di rispetto per le donne uccise e per i figli, gli orfani di femminicidio. E l'abbiamo voluto fare appunto perché le istituzioni non possono essere sorde rispetto a questo tema.

Chiunque di voi conosce Montecitorio e sa che ci sono tanti busti degli uomini delle istituzioni, tanti ritratti; ma non ce n'erano di donne - ad eccezione di Nilde Iotti - come se le donne non fossero mai entrate nell'istituzione legislativa. Dunque ho ritenuto significativo specialmente per le nostre figlie fare la Sala delle Donne: perché è importante testimoniare non solo la presenza maschile nelle istituzioni della Repubblica, ma anche quella femminile, perché c'è stata. Ci sono le madri costituenti, nel 1946. Ci sono state le donne sindache: nessuno aveva mai fatto una ricerca su chi fossero, quante fossero, che storie avessero, perché dovessero essere riconosciute come simboli. Lo abbiamo fatto, abbiamo dedicato questa Sala alle prime donne che sono entrate nelle nostre istituzioni repubblicane: era il minimo.

In questa legislatura il linguaggio femminile è entrato a Montecitorio. Per 70 anni negli atti parlamentari è esistito solo il maschile: "il deputato Laura Bianchi", "il ministro Francesca Rossi". Non c'era il genere femminile declinato negli atti parlamentari. Per 70 anni abbiamo accettato come normale che ogni donna che metteva piede in quella istituzione dovesse essere considerata un uomo. In Aula spesso ci sono deputati che per abitudine mi chiamano "signor Presidente": va bene, può capitare, capisco che non lo si faccia di proposito. Ma a volte c'è il proposito di farlo; e allora, poiché è evidente che io non sono un uomo - fino a qui possiamo essere tutti d'accordo - io rispondo "grazie, signora deputata", e tutti ridono. Ma se è ridicolo per un uomo essere chiamato al femminile, è altrettanto ridicolo che io sia chiamata "signor Presidente: è ridicolo allo stesso modo, né più, né meno. L'ironia ci aiuta sempre nelle situazioni della vita: adesso non si sente più un collega chiamare deputato un'altra collega, ma diciamo che la questione viene ancora dibattuta.

E' ovvio che bisogna cambiare il modo di pensare a una donna, il modo di parlare di una donna. Quando noi non siamo d'accordo con una donna spesso si va a finire all'insulto a sfondo sessuale: perché questo ancora avviene? Lo si vede anche sul web: quando le donne hanno delle posizioni chiare e nette, senza sconti, devono mettere in conto di essere oggetto dei peggiori assalti a sfondo sessuale. Quando si arriva a questo si capisce che c'è molta strada da fare sulla questione di genere. Iniziative come questa di oggi sono molto importanti perché aiutano a cambiare il modo di vedere i fenomeni, ragionandoci sopra, andando in profondità. Come viene riproposto all'opinione pubblica il femminicidio? Quasi sempre come raptus: raptus dell'omicida, gelosia, quindi l'assassino non è pienamente responsabile, c'è già l'attenuante nel modo di rappresentarlo in preda al raptus. Invece guardate che di raptus c'è poco, perché spesso quello è l'ennesimo atto di violenza dopo una lunga sequenza di altre violenze e purtroppo anche dopo che la donna aveva già denunciato più e più volte. Cosa c'è di emergenza, cosa c'è di sopraggiunto, cosa c'è di inaspettato? Nulla. Il problema è culturale. Tu non vuoi stare più con me? Io ti ammazzo. Questo è il problema che noi dobbiamo capire fino in fondo: non c'è follia, c'è presunzione di superiorità, di dominio e dunque me lo posso permettere.

Il lavoro che oggi fate è importante perché mette al centro le parole: non devo dire a voi quanto contino le parole. Le parole hanno potere, hanno forza, il linguaggio gioca una parte fondamentale: con buona pace di chi dice "avete tempo da perdere, sono ben altre le cose importanti: se volete occuparvi della questione delle donne, se volete aiutare le donne, ben altre!". Perdersi nel linguaggio vuol dire perdere tempo. E' sempre "ben altro" quello che conta. Invece no, declinare al femminile è sostanza, è riconoscere un percorso, una storia, sacrifici, rinunce: questo vuol dire declinare al femminile i ruoli, le mansioni. Chi non lo vuole fare, chi si rifiuta di farlo, non vuole riconoscere il fatto che la società cambia e con la società cambia anche il linguaggio. Declinare al femminile significa riconoscere il genere di chi riveste le cariche, altrimenti vuol dire rifiutarsi culturalmente di prenderne atto. Una volta non si poneva il problema: le donne lavoravano di meno e quando lavoravano svolgevano mansioni modeste. Della parola "contadina" nessuno ha mai detto "non si può dire" perché le funzioni sono neutrali. No, contadina e contadino, nessuno lo mette in discussione. Operaia: qualcuno ha mai detto "è brutto, è cacofonico"? No. Il problema sorge quando saliamo nella scala sociale, allora c'è chi storce il naso quando si dice avvocata, ingegnera, "ma quanto è brutto, fa male alle orecchie sentire questa parola!". E' quasi una provocazione; per non parlare poi di quando si dice ministra o sindaca, è bruttissimo. Il problema esiste perché questi lavori sono stati per secoli appannaggio solo di uomini, ed è chiaro che nel momento in cui la società cambia una lingua neolatina come la nostra deve prenderne atto, perché altrimenti facciamo degli errori grammaticali. Questo ce lo dice la Crusca, la più alta istituzione linguistica del nostro Paese: ci dice con chiarezza che non declinare i ruoli al femminile è un errore grammaticale. Ciononostante, si arriva a volte a vedere dei titoli come "Il ministro va a Bruxelles, con il marito e i figli". Quante volte lo abbiamo letto? "Il marito del sindaco è indagato", pur di non dire "della sindaca" o della "ministra". Ma noi non abbiamo il matrimonio gay nel nostro Paese… Si preferisce fare questa operazione pur di non declinare al femminile, ed è un paradosso totale. C'è anche chi dice che declinare al maschile sia più autorevole; a volte sono le donne che lo dicono. "Direttore o direttrice?" "No, no, direttore, per carità!" Perché? Perché è più autorevole. Qui c'è un problema serio di autostima. Perché il maschile è più autorevole? Chi l'ha detto? Come si può concepire che il maschile sia più autorevole? Mi diceva una mia amica avvocata: "se mi faccio chiamare avvocata mi guardano male". Allora capite che il problema è culturale, di nuovo.

Oppure c'è chi dice che il maschile va bene per tutti, che le donne si adattino. Già, perché il 50% della popolazione si deve adattare? Perché? In nome di che cosa, quando la nostra lingua ha due generi, il maschile e il femminile? Perché si deve adattare? Noi dieci anni fa non usavamo parole come 'cliccare', 'postare', e adesso le usiamo. Sono brutte? Sì, forse sono brutte, ma le usiamo normalmente. Allora penso che sia arrivato il momento di ragionare sul fatto che se ci rifiutiamo di declinare al femminile certi ruoli non è un problema di cacofonia, ma è un problema culturale: non ammettiamo, non accettiamo fino in fondo il percorso che le donne hanno fatto nella società.

In chiusura vi dico un'altra cosa che penso possa essere utile a questo incontro di oggi: la rappresentanza femminile passa anche per la presenza nei mezzi di informazione. A me dispiace che in tv, in particolare nei talk show, ma anche nelle pagine dei commenti dei giornali, raramente ci siano donne quando si parla di scienza, di economia, di cultura, e a volte anche quando si parla di politica; mentre c'è sempre la figura della donna quando si parla di moda e spettacolo. Moda e spettacolo vanno bene, ma noi abbiamo molto da offrire al dibattito anche in altri ambiti.

Così come le strade delle città, le avete viste le strade delle nostre città, sapete quante strade sono dedicate alle donne? Meno del 10%. E perché non abbiamo donne che meritano delle strade? La toponomastica delle nostre città è tutta al maschile, pensateci! Non abbiamo delle donne che meriterebbero una strada? L'ho sollecitato anche all'Anci come tema di riflessione. Comunque penso che le questioni di genere non riguardino solo le donne, riguardano tutta la società. Il livello di evoluzione di una società si capisce dalla posizione delle donne nella società. E la violenza è qualcosa che le donne subiscono, ma è un problema degli uomini, perché sono gli uomini ad esercitarla. Nessuno si può chiamare fuori rispetto a questo problema, nessuno! Gli uomini hanno tante cose da fare rispetto a questo: sicuramente prendere le distanze dai violenti, sicuramente hanno la possibilità di ragionare su questo tema, di non delegarlo alle donne. Nessuno deve delegare questo tema a qualcun altro, magari alle esperte: "vabbè, c'è stato un femminicidio, ci sono quelle che si occupano di donne". No, non ci può essere delega su questo tema. Penso che ognuno qui possa contribuire molto a sradicare questa piaga sociale anche raccontando, descrivendo con consapevolezza e con responsabilità il femminicidio. Vi ringrazio.