19/06/2017
Roma, Teatro Eliseo

Saluto introduttivo all'Assemblea nazionale di Confesercenti

Buon giorno a tutte e a tutti.

Saluto la neoeletta Presidente di Confesercenti, Patrizia De Luise, il Ministro Carlo Calenda, e le persone che ci stanno seguendo collegate da Torino, L'Aquila e Palermo. Saluto loro e le autorità che sono presenti.

Lasciatemi dire, come prima cosa, che sono davvero felice che voi abbiate eletto una donna come Presidente della vostra Associazione. Siete la prima organizzazione della piccola e media impresa a fare questo, quindi complimenti!

Cara Presidente De Luise, lei guiderà un'organizzazione grande e importante, con migliaia di operatori e operatrici, in un momento non semplice per la vostra categoria ma anche per il nostro paese. Quindi avrà molte cose di cui occuparsi, molti problemi da risolvere. So che lei si impegnerà e che lo farà. Però mi permetta di chiederle una cosa: non si dimentichi le altre donne! Ora che è al vertice non lo faccia, si adoperi attivamente per rimuovere tutti quegli ostacoli che lei in quanto donna ha trovato nel suo percorso. Lasciatemi un paio di minuti per affrontare questo tema che mi sta molto a cuore. E' difficile per una donna raggiungere ruoli di vertice: lo è in politica, lo è nelle istituzioni, lo è nel mondo economico, e nella società in genere. Quindi posso dire che noi dobbiamo faticare il doppio? Fatichiamo, fatichiamo tanto perché c'è un pregiudizio da abbattere che ci portiamo addosso da quando nasciamo, da quando siamo bambine. E quel pregiudizio è che non dobbiamo aspirare troppo lontano, e quando invece vogliamo farlo dobbiamo faticare il doppio. Allora, quando ci riusciamo non possiamo dimenticare le altro donne: noi dobbiamo fare da traino verso le altre donne, noi dobbiamo batterci perché ci sia veramente parità. E lo devono fare anche gli uomini. Gli uomini nella Confesercenti lo hanno fatto scegliendo lei; quindi, complimenti a tutti gli uomini di Confesercenti!

Ma noi abbiamo una responsabilità aggiuntiva rispetto agli uomini. Non dobbiamo delegare a nessun altro questo compito, lo dobbiamo fare nostro e ogni giorno portarlo avanti con determinazione.

In questo percorso di valorizzazione io credo che anche i simboli siano importanti. Alla Camera dei deputati ho voluto allestire la "Sala delle Donne", le donne della Repubblica. A Montecitorio ci sono molti busti, ci sono tanti quadri, ma tranne il busto dedicato alla Presidente Iotti non c'era altro rispetto alla presenza delle donne nelle istituzioni. Io ho voluto dedicare invece alle donne della Repubblica una sala: ci sono le ventuno Costituenti; le prime undici Sindache elette nel 1946 - non se ne sapeva nulla, abbiamo dovuto fare noi le ricerche, nessuno aveva mai avuto la curiosità di sapere nel 1946 quante donne erano state elette sindache. Volendo poi mettere anche le foto di altre cariche, le foto della prima donna Presidente della Repubblica, della prima donna Presidente del Consiglio e della prima donna Presidente del Senato, non ne avevo le fotografie e allora ci ho messo tre specchi. E sopra gli articoli della Costituzione che ci ricordano che non c'è differenza; e accanto a questi tre specchi c'è scritto "Nessuna donna mai ha ricoperto questi ruoli. Potresti essere tu la prima". Questa è un'esortazione che facciamo alle ragazze, alle giovani che vengono in visita a Montecitorio: credete in voi stesse, studiate, abbiate fiducia in voi stesse, non ci sono ostacoli! E' un modo di fare women empowerment, dire alle ragazze che se vogliono prossimamente potrebbe essere loro la foto in quegli specchi. Vi invito tutti a venire alla Camera a vedere questa bella Sala delle Donne.

In questi giorni seguivo la vicenda politica britannica, molto complessa, e quello che salta agli occhi è molto chiaro: abbiamo un paese in cui la Premier, Theresa May, è una donna; poi c'è la leader del Partito Unionista dell'Irlanda del Nord, Arlene Foster, che è una donna; poi ci sono i due partiti scozzesi, entrambi con due leader donna: Ruth Davidson, dello Scottish Conservative Party, e Nicola Sturgeon, del Nazional Scottish Party. Questo è il quadro politico. Guardando questa fotografia mi sono chiesta: che cosa aspettiamo? Che cosa aspettano le donne italiane a farsi avanti nei loro partiti, nella vita istituzionale, nella vita economica?

Porre attenzione alla questione femminile vuol dire porre attenzione a tutto il Paese, perché se le donne vanno avanti è il Paese che va avanti, progredisce, sviluppa. E' dalla posizione della donna nella società che si capisce il livello di sviluppo di un Paese, e a me non pare accettabile che in Italia solo il 47 per cento delle donne lavori, a fronte del 60 per cento della media europea. A me non sembra accettabile che solo una minoranza di donne oggi possa permettersi di fare azienda, di gestire un'attività imprenditoriale. Nessuno dovrebbe trovare accettabile questo quadro, nessuno, perché non è solo una questione di giustizia - parliamo di oltre il 50 per cento della popolazione - ma è anche una questione economica.

E' dimostrato che quando le donne lavorano la produttività aumenta, quando i paesi investono sulle donne, quei paesi aumentano il Pil. E allora il lavoro e l'imprenditoria femminile vanno sostenuti, vanno incoraggiati, perché se lo facciamo è la società che cresce, che evolve e che progredisce.

In questi anni alla Camera noi abbiamo organizzato molte occasioni di riflessione con le donne dei sindacati e delle associazioni imprenditoriali; lo abbiamo fatto anche prima delle leggi di stabilità. Non lo facciamo per prendere il the, lo facciamo per discutere su come orientare gli emendamenti alla legge di stabilità. L'Intergruppo donne - che io ho costituito - si è fatto carico di veicolare quegli emendamenti, sono state fatte delle proposte, anche la Confesercenti ne ha fatte. Alcune di quelle proposte sono andate a buon fine, altre no, ma noi continueremo anche questo anno sulla legge di stabilità a occuparci di questo.

Lo so che quando parlo della condizione femminile, della condizione della donna nel mondo del lavoro, c'è chi alza le spalle. E so anche che quando parlo del linguaggio di genere c'è chi si irrita, c'è chi dissente quando dico che se noi diciamo tranquillamente "operaia" e "contadina" riferendoci a una donna che lavora in fabbrica o in campagna, dobbiamo dire altrettanto normalmente "imprenditrice", dobbiamo dire altrettanto normalmente "amministratrice delegata". Io lo so che qualcuno storce il naso quando affermo che se diciamo "maestra" dobbiamo dire anche "rettrice". Vedete, i sapientoni sono sempre lì a dire che non è questo che conta, e invece tutto si lega e tutto si tiene. La società cambia e con la società cambia anche il linguaggio; e se noi non riconosciamo il genere femminile alle donne che sono al vertice, noi non riconosciamo quel percorso, lo annientiamo, e questo non è accettabile. Io penso che oggi abbiamo bisogno di donne che combattano per le altre donne; io continuerò a farlo perché so che questo va a vantaggio del nostro Paese, un Paese che deve essere curato, un Paese che deve essere amato.

Ve lo dice una persona che per venticinque anni ha lavorato nelle Agenzie delle Nazioni Unite. Ho lavorato molto fuori dall'Italia, ho fatto tante missioni all'estero e ogni volta che tornavo questo Paese lo amavo ancora di più, perché se ne apprezza la bellezza, se ne apprezza la ricchezza, quando si fa il paragone con altri paesi. Ma ogni volta che tornavo, a Roma o nelle Marche, magari cercavo il negozio di alimentari di sempre, o la bottega storica dove rilegavano i quaderni: non c'erano più e al loro posto c'era qualche fast food, qualche jeanseria. Che vuol dire? Che tutti si sono accorti della crisi economica e degli effetti diretti sulla vostra categoria: tutti se ne sono accorti, anche chi non viveva sempre in Italia. Questo ha colpito duramente quella capillare rete commerciale che è uno dei migliori biglietti da visita del nostro Paese. Quando si incontrano degli stranieri che vengono in Italia a fare visita, dicono: "Ho fatto shopping in quello o quell'altro negozio", non sento mai qualcuno che mi dice "ho fatto shopping nel centro commerciale. Mi riferiscono sempre di quanto sia apprezzabile questa capillare rete commerciale che non è solo una risorsa economica, ma è anche un valore storico, è anche un valore civile per il nostro Paese.

Non dobbiamo dimenticare quello che dice il secondo comma dell'articolo 9 della Costituzione : "La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione". Che cos'è il paesaggio nel nostro Paese? Certamente i suoi oltre 7000 chilometri di costa, le sue belle colline, le montagne, i suoi boschi, tutto questo è paesaggio.

Ma il paesaggio è anche i borghi storici, quelli che nell'Italia centrale e non solo rischiano lo spopolamento. Ed è paesaggio anche la rete diffusa di esercizi commerciali e botteghe artigianali che appartengono, come dice la Costituzione, al "patrimonio storico" della nazione.

Immagino già l'obiezione. Ma come, nell'era della globalizzazione, dei robot e dell'intelligenza artificiale noi dobbiamo tutelare qualcosa di piccolo che appartiene al passato? Sì, sì, sì. La risposta è sì. Nell'era digitale, nella globalizzazione, una nazione si afferma se sa distinguersi, non se si omologa a tutte le altre. Se sa valorizzare la sua identità, non se copia le caratteristiche di altri. Locale e globale marciano insieme. A condizione, però, che il locale possa fruire, come diceva il Presidente della Repubblica nel suo messaggio, delle straordinarie innovazioni tecnologiche. Ci deve essere una valorizzazione che passa attraverso la tecnologia. E il digitale deve essere il sistema nervoso che connette e dà forza alle piccole e piccolissime imprese, che le mette in rete, che le dota di servizi di qualità.

Cultura, ambiente, qualità urbana: questo è il petrolio del futuro. E della qualità urbana il commercio è parte fondamentale. Io non posso immaginare delle città senza esercizi pubblici! Nel centro storico e nelle periferie quando mancano gli esercizi pubblici c'è desolazione, c'è smarrimento. Gli operatori e le operatrici del commercio vanno sostenuti, con politiche di settore ma anche con scelte di carattere generale: la tutela da parte dei Comuni delle botteghe storiche, perché sono patrimonio nazionale; e poi l'accesso al credito; le politiche fiscali devono essere certe - perché le tasse vanno pagate - ma devono essere eque le tasse, devono essere sostenibili le tasse, devono essere progressive le tasse. Questo lo dice la nostra Costituzione! Perché chi accumula grandi ricchezze ha il dovere di contribuire di più al benessere del Paese, chi accumula grandi ricchezze ha più responsabilità!

Poi ci sarà il Ministro Calenda che parlerà dell'azione del Governo, di quello che sta facendo e di quello che farà, lo dirà lui. Io in conclusione voglio dire un'ultima cosa, voglio trattare un problema più generale: quello delle diseguaglianze sociali. Dagli anni Ottanta ad oggi in molti paesi, tra i quali il nostro, si è allargata la distanza tra chi possiede e guadagna di più e chi possiede e guadagna di meno. La crisi dell'ultimo decennio ha aggravato questo, ha allargato ancora di più la forbice: sono cresciute le aree di povertà, la classe media si è prosciugata e l'ascensore sociale è completamente bloccato. Ma non è stato così per tutti, non è stata la sorte di tutti.

Alcuni, pochi, si sono arricchiti moltissimo, sempre di più. Ma questa ricchezza di pochi non reca alcun vantaggio al benessere del Paese, rimane solo nelle mani di pochi. Se anche un manager - che oggi guadagna non dieci volte di più del suo operaio, come diceva Adriano Olivetti: oggi i manager guadagnano centinaia di volte più di operai e impiegati - se anche questo manager decidesse di fare la spesa al negozio di alimentari o fare shopping nella boutique di quartiere, certo questo non basterebbe a sollevare le sorti degli esercizi pubblici.

Le sorti degli esercizi pubblici invece sono legate al potere d'acquisto degli stipendi e delle pensioni delle persone normali, sono legate alla precarietà del lavoro e alla disoccupazione giovanile. Da questo si determina quel calo di consumi che anche voi stessi lamentate, dalla diseguaglianza. Le diseguaglianze sociali non sono soltanto un'ingiustizia, ma anche un freno allo sviluppo, alla crescita. Piombo nelle ali del futuro del nostro Paese.

Per combattere le diseguaglianze bisogna fare delle cose e bisogna farle subito: una svolta nella politica economica italiana ed europea; la fine delle politiche di austerità che hanno fatto molto male al nostro Paese; rilanciare un programma di investimenti pubblici e privati.

Care amiche e cari amici, in questi anni sono stata chiamata, in modo del tutto inatteso, a svolgere un compito importante che mi onora e che mi sta dando tantissimo. Ho cercato di svolgere al meglio questo compito, e consapevole della distanza che c'è tra le persone e le istituzioni ho cercato di frequentare meno i palazzi e più le periferie. Ho cercato di incontrare non solo gli esponenti politici, come è giusto, ma anche e soprattutto le italiane e gli italiani. Ho girato moltissimo, laddove veniva richiesto, ogni fine settimana, nei territori. E questo viaggio nella realtà italiana, durato quattro anni e più, mi porta a dire che io amo ancora di più questo Paese. Lo amo per le sofferenze che vive, lo amo anche per il grande capitale umano che ha, le risorse umane che ho incontrato dove c'erano i problemi.

Le persone, gli italiani e le italiane, non si arrendono facilmente. Nelle periferie più difficili, dallo Zen a Scampia, da Quarto Oggiaro a Tor Bella Monaca e a tante altre periferie che ho visitato, ho visto persone che si organizzano, che fanno comitati, che fanno laboratori, che fanno quello che serve per il loro quartiere, per la loro realtà, che risolvono problemi.

La politica deve essere inclusiva, si deve accorgere di questo capitale umano perché sono energie preziose. La politica deve essere inclusiva perché se nessuno viene escluso la società è più giusta. Se nessuno viene escluso la società è più forte. Se nessuno viene escluso lasceremo ai nostri figli e ai nostri nipoti un Paese migliore.

E' difficile non escludere nessuno? Sì, certo, è difficile, lo so. Ma io credo che valga veramente la pena provarci. E provarci insieme.

Vi ringrazio.