20/01/2014
Montecitorio, Sala della Regina

Presentazione del Rapporto Annuale di Federculture 'Una strategia per la cultura. Una strategia per il Paese'

Buongiorno a tutti e a tutte. Siamo riuniti qui stamattina perché convinti che la cultura sia motore indispensabile della vita del nostro Paese, ed allora non posso non partire dalla notizia che poco fa ci ha colpito e commosso: la morte del maestro Claudio Abbado. Poche persone come lui hanno saputo in questi anni dare prestigio alla cultura italiana, portandola nei teatri e nelle sale da concerto più importanti del mondo.

Abbado merita la nostra gratitudine non solo per la grandezza della sua arte, per la passione con la quale si è posto il problema di coinvolgere nella crescita culturale le generazioni più giovani; ma anche per la tenacia ed il coraggio coi quali ha tenuto viva, nel discorso pubblico, la necessità che la cultura non venisse penalizzata, e che il Paese ponesse fine ad una politica dei tagli deleteria ed autolesionistica. Il seggio di senatore a vita era venuto a premiare giustamente una vita in cui l'arte non è mai stata disgiunta dalle sue responsabilità sociali. Vi chiedo perciò di onorare, con qualche momento di silenzio, la memoria di questo grande Italiano.

Benvenuti alla Camera dei deputati. Saluto il Presidente di Federculture, Roberto Grossi, e i relatori Gianluca Comin, Piero Fassino, Claudia Ferrazzi, Stefano Rodotà. Grazie per essere qui e per avermi invitato alla presentazione dell'annuale Rapporto di Federculture, elaborato nel 2013 e incentrato sulle scelte del nuovo Governo e del nuovo Parlamento nel campo della cultura.

Ho avuto il piacere di scrivere la prefazione al Rapporto su richiesta di Federculture, un'associazione di cui apprezzo il ruolo e l'azione costante per la difesa, la promozione e lo sviluppo della cultura nel nostro Paese.

È il titolo stesso del Rapporto - "Una strategia per la cultura. Una strategia per il Paese" - a suggerire la strada da percorrere. Alla cultura serve infatti una strategia, una progettualità, una visione di prospettiva che prenda il posto delle logiche di emergenza e di corto respiro che hanno caratterizzato gli anni passati.

Appena il bilancio dello Stato ha cominciato ad andare in rosso, non si è esitato a tagliare sulla scuola, sulla ricerca, sull'Università, sulle misure per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali. Non si è esitato a depauperare i fondi per lo spettacolo, per la musica, per gli enti lirici e sinfonici. Insomma ad impoverire il nostro patrimonio culturale che è il bene più prezioso che l'Italia possiede.

Lo rendono chiaro i dati contenuti nel Rapporto :3.609 musei, 5.000 siti culturali, 46.000 beni architettonici vincolati, oltre 12 mila biblioteche, 34 mila luoghi di spettacolo, 47 siti UNESCO.

Abbiamo il triplo dei musei della Francia e più del doppio di quelli della Spagna.

L'industria culturale italiana vale settantasei miliardi di euro e occupa circa un milione e quattrocentomila lavoratori. Quattrocentoquarantamila sono le imprese riconducibili al comparto delle industrie culturali e ricreative. Eppure qualcuno arrivò a dire che "con la cultura non si mangia".

Come se non bastasse, anche questo settore è stato poi investito dai fenomeni di precarizzazione del lavoro e dalle logiche occupazionali "usa e getta" che, con il pretesto della "flessibilità", hanno finito per colpire non solo i diritti delle persone, soprattutto dei più giovani, ma anche la qualità complessiva dell'offerta culturale.

Questa condizione è stata di nuovo denunciata nelle settimane scorse in manifestazioni dei lavoratori precari della cultura, i quali sono tornati a chiedere un trattamento equo e un adeguato riconoscimento professionale. Richieste, a mio avviso, più che motivate.

Una prima risposta a queste richieste è venuta la settimana scorsa proprio qui alla Camera, con l'approvazione della legge che modifica il codice dei beni culturali specificamente sulla parte che riguarda le professioni. Una legge attesa da molte associazioni e che è stata approvata dall'aula con voto unanime. Ora, questa legge, è all'esame del Senato. Un esame che mi auguro attento e tempestivo.

I tagli alla cultura sono stati il frutto di scelte politiche, non di mere manovre contabili. Che si debba ridurre il debito, può essere una necessità oggettiva. Dove fare i tagli, no : è una decisione politica. Ed è stata una decisione miope perché in tempi di crisi spendere per cultura, per la scuola e per l'Università non è uno spreco, non è un costo: è un investimento, uno stimolo alla ripresa. E' una condizione per ripartire e per gettare un ponte oltre la stagnazione attuale. Ma tutto questo è stato clamorosamente sottovalutato. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Ma a me pare che nei primi 10 mesi della nuova legislatura qualcosa si sia mosso.

In particolare, dopo anni che non si aveva un provvedimento specificamente rivolto al settore, il decreto-legge cosiddetto "VALORE CULTURA" ha rappresentato un primo sforzo di guardare alla cultura come fattore di rilancio dell'economia italiana. Il decreto è stato convertito in legge con un consenso parlamentare molto ampio. Hanno votato a favore anche gruppi di opposizione.

Mi piace ricordare in particolare le misure riferite a Pompei e alla sua area archeologica, l'attenzione rivolta alle 14 fondazioni lirico-sinfoniche e al cinema, per il quale è stato finalmente reso permanente, dal 2014, il tax credit.

Altre misure riguardano l'intervento dei privati. E' giusto coinvolgerli, sia semplificando le procedure per l'acquisizione di donazioni, sia stimolando la loro partecipazione alla valorizzazione e alla gestione dei beni culturali.

In un Paese come il nostro, in cui 2 milioni di giovani non studiano, non lavorano e non fanno formazione (sono, dunque NEET: Not in education, employment or training), mi pare molto opportuna la destinazione di immobili di proprietà dello Stato a studi di giovani artisti italiani e stranieri, per favorire il confronto culturale e la realizzazione di spazi di creazione di arte contemporanea.

Nei fine settimana, quando, su richiesta di enti locali e associazioni vado in tanti luoghi d'Italia, incontro molte ragazze e ragazzi che non si rassegnano alla crisi, che decidono al contrario di sfidarla la crisi, facendo leva sulla creatività e sullo spirito di innovazione. A Catania come in Ancona e a Bari, cresce il numero delle start-up soprattutto in campi finora, erroneamente, considerati di nicchia. Mi riferisco alla salvaguardia dell'ambiente, alle politiche per le smart cities, alla comunicazione e, appunto, alla cultura.

Queste esperienze vanno incoraggiate, sostenute, accolte come una nuova frontiera del lavoro e dello sviluppo del territorio.Su questa nuova energia giovanile bisogna investire. E' la società ad averne bisogno !

Voglio essere fiduciosa nel fatto che si intenda veramente restituire alla cultura, in un paese come l'Italia, la dignità e il ruolo che merita.La prova sarà ancora una volta nella destinazione delle risorse e i dati, da questo punto di vista, rimangono ancora drammaticamente al di sotto delle necessità.

La settimana scorsa sono stata a rappresentare la Camera dei deputati in Israele, nei Territori palestinesi e nella striscia di Gaza. Realtà geograficamente vicinissime eppure tanto distanti dal punto di vista sociale. Israele, con tutte le sue contraddizioni, è il Paese che guida la classifica internazionale degli investimenti in ricerca e sviluppo, con il 4,5% del Pil. Si tratta prevalentemente di capitali privati, con un sistema universitario che fa da incubatore all'innovazione. Israele si definisce per questo "start-up nation". Ho incontrato parecchi ricercatori italiani felici di essere lì, ma che sarebbero anche felici di poter tornare.

Anche questa esperienza ci conferma che la conoscenza va intesa come occasione di sviluppo e di progresso sociale. Il Sapere fa crescere! Non bisogna mai dimenticarlo.

Molto, quindi, moltissimo rimane ancora da fare, e per questo servono scelte coraggiose, puntando sulla progettualità, sull'innovazione, sulla capacità organizzativa. Per utilizzare le parole del Presidente Napolitano, quello che oggi ci deve "assillare è come rilanciare lo sviluppo nel nostro Paese: sviluppo produttivo, sviluppo dell'occupazione e, soprattutto, prospettiva di valorizzazione delle personalità e dei talenti dei giovani". E' importante quindi non fermarsi ai risultati ottenuti e arrivare ad una svolta vera e duratura. Ma per fare questo tutti dobbiamo impegnarci: Istituzioni, politica, scuole, università, imprese private e singoli cittadini. Tutti dobbiamo essere protagonisti del cambiamento, perché la crisi va sfidata da ognuno di noi, con ostinazione, speranza e generosità. Tutti dobbiamo agire nella consapevolezza che ripartire dalla cultura non è solo una straordinaria opera civile, ma è essenziale per la crescita di una società più libera, più giusta e più prospera.