Intervento introduttivo al Convegno 'Le crisi a Gaza e in Siria: l'impatto umano. La prospettiva dell'UNRWA e degli operatori dell'informazione'
Do il mio benvenuto a Pierre Krähenbühl, Commissario generale delle Nazioni Unite per l'assistenza ai rifugiati palestinesi, che fra poco interverrà sulla crisi umanitaria a Gaza ed in Siria; un ringraziamento al Vice ministro degli Affari esteri Pistelli e ai giornalisti che sono a questo tavolo, a Lucia Goracci e Alberto Negri, che conosco da molti anni; un saluto al Comitato italiano dell'UNRWA; un ringraziamento all'Ambasciatrice palestinese, che mi fa sempre piacere ritrovare; un saluto a tutti voi che siete qui oggi e che avete accettato il nostro invito. Grazie anche alla nostra amica giornalista e storica, Paola Caridi, che modererà questo nostro incontro.
Qui alla Camera non è la prima volta che ospitiamo un'iniziativa che coinvolge l'UNRWA. Lo avevamo già fatto l'anno scorso, più o meno di questi tempi, in ottobre. In quel momento l'allora Commissario italiano, che ha nel frattempo lasciato il posto ad un altro Commissario, ci parlava delle difficoltà che l'UNRWA incontra ogni giorno nel lavoro che svolge. Un lavoro che svolge a Gaza, ma anche nei paesi limitrofi, perché assiste circa 5 milioni di profughi palestinesi: difficoltà logistiche, ma anche di risorse.
A gennaio sono andata a fare una visita ufficiale a Gaza, perché ritenevo che fosse importante vedere questa parte di una regione molto sofferente. A Gaza ho visitato una scuola dell'UNRWA; lì ho incontrato anche delle giovani imprenditrici, che mi dicevano dei loro progetti, ma anche della frustrazione di non riuscire a vederli poi realizzati, perché in un territorio chiuso è molto difficile, se non impossibile, poter fare impresa.
Poi ho visitato la scuola 'Vento di Terra', della Cooperazione italiana, che purtroppo non c'è più perché è stata completamente distrutta. Una distruzione che ha sorpreso tutti, visto che si trattava di una scuola piccola, ma che comunque svolgeva un ruolo importante in quella parte della Striscia di Gaza dove c'erano molti bambini beduini.
Con l'estate è arrivato poi il conflitto, con tutto ciò che ha portato come conseguenze. Ci sono stati oltre 2.000 palestinesi morti, un altissimo numero di feriti, un numero elevatissimo di edifici distrutti. Il Commissario Krähenbühl ci dirà meglio quali sono le condizioni odierne a Gaza, e anche quali sono le sfide per la ricostruzione che sono in corso.
Penso che questa crisi oggi necessariamente si incroci con quella che si vive in Siria, ormai da tre anni, e con quella che si vive in Iraq. Ritengo che la situazione siriana abbia causato un impatto sulla popolazione civile che non ha precedenti: più del 40% dei siriani vive fuori casa. Parliamo quindi di quasi dieci milioni di persone che sono state costrette a mettersi in salvo. La maggior parte di loro, circa sei milioni di persone, si trovano all'interno del Paese, ma tre milioni sono nei Paesi confinanti. E' inutile dire che questa presenza sta creando anche seri problemi di stabilità all'interno di questi Paesi. E' normale che sia così. Quando un Paese come il Libano, che conta poco più di quattro milioni di abitanti, ospita un milione e duecentomila siriani, è ovvio che questo ha un impatto pesantissimo a livello sociale, ma anche politico. Circa due anni fa mi trovavo al confine tra la Siria e la Giordania, nel campo di Za'atari, e ogni giorno passavano centinaia e centinaia di rifugiati siriani, che già in quel momento parlavano di una situazione impossibile nelle loro città: raccontavano di componenti militari di varia natura, cioè un esercito di Assad, un esercito libero, e gli "stranieri", ben equipaggiati e che si imponevano sul territorio. Quindi una entità militare già nota ai siriani ben due anni fa. Oggi noi ce ne accorgiamo perché questa forza, che intanto si è allargata, si è radicata, seguendo un sogno politico antico, minaccia anche noi e i nostri concittadini. Solo adesso noi abbiamo preso atto di questa situazione. Ma dobbiamo capire che per ogni esecuzione terrificante, angosciante, barbarica, ai danni di un cittadino occidentale, ci sono anche persone del luogo che vengono ammazzate, e questo non dobbiamo mai dimenticarlo. E' quindi una minaccia che coinvolge tutti, nessuno escluso.
I siriani fuggono in massa. Il 90% e più dei siriani si ferma nei Paesi confinanti, poi qualcuno cerca di mettersi in salvo fuori dalla regione. Secondo gli ultimi dati, solo il 4% dei siriani fuori dai confini nazionali è arrivato in Europa, nei 28 Paesi dell'Unione Europea. Ciononostante vengono percepiti come troppi, come una minaccia, che ci viene a togliere qualcosa. Ma prima di arrivare in Europa c'è il Mediterraneo in mezzo, e lì c'è un altro conflitto, quello tra le persone e il mare. Si lascia un conflitto, se ne ritrova un altro in mare, e solo chi ha fortuna arriva a destinazione.
In mare quest'anno sono morte quasi tremila persone: nel conflitto di Gaza sono morte meno persone di quante ne siano morte in mare. Sono situazioni critiche entrambe. Quello che succede in mare deve essere all'attenzione di tutti gli Stati europei, perché quel mare è confine europeo, è Schengen, è frontiera europea. L'Italia, molto giustamente, ha deciso di mettere in atto un'operazione di soccorso in mare, Mare Nostrum, e grazie a quell'operazione ha salvato decine di migliaia di vite umane. Io sono orgogliosa di dire che il nostro Paese sta facendo ampiamente la propria parte e non si è fatto fagocitare dal cinismo. Ma dico anche, con altrettanta forza, che questa è una responsabilità che deve essere condivisa, perché il nostro Mediterraneo è frontiera europea. Ogni Paese poi dovrà farsi carico dei richiedenti asilo, dell'accoglienza, ancora responsabilità dei singoli Paesi. Ma quello che dovrebbe essere quanto prima condiviso è la responsabilità del salvataggio in mare. Si discute molto di Frontex, ma io mi auguro solo che non ci sia un vuoto tra l'eventuale, possibile riduzione di impegno da parte italiana ed una capacità operativa altrettanto forte da parte di un'iniziativa a carattere europeo. Se ci fosse quel vuoto sappiamo bene che al contempo ci sarebbero molti più morti.
In conclusione desidero fare un altro auspicio, che riguarda l'importanza dell'informazione. Credo che tutti gli organismi internazionali e le ONG abbiano ancora di più il dovere di puntare alla divulgazione delle informazioni, usando tutti i mezzi di cui dispongono, perché è importante fornire le notizie a chi poi è sul terreno per riportare quello che lì accade.
Va fatto uno sforzo per potenziare l'intero ambito informativo, e fare in modo che quanto accade nei luoghi di crisi venga a conoscenza dei cittadini e direttamente attraverso i mezzi di informazione.
Anche la stampa ha un ruolo determinante nella comprensione di quanto accade vicino casa nostra. So quanto rischiano gli inviati, perché spesso abbiamo lavorato negli stessi contesti. So quanto è importante il lavoro che loro svolgono, e ne ho il massimo rispetto, così come ho il massimo rispetto per chi lavora nelle redazioni e anche nei luoghi di approdo dei rifugiati in Italia, quei cronisti che nel nostro Paese vanno a raccontare chi arriva sulle nostre coste. Dico che anche loro hanno una grande responsabilità, quella di raccontare chi sono queste persone e perché rischiano la loro vita, al di là dei numeri, e di farlo affinché le persone capiscano che sono proprio loro, i rifugiati, le prime vittime di questa situazione, e che non costituiscono una minaccia per la nostra sicurezza. Sono loro le vittime della mancanza di libertà, dei regimi, della guerra. E questo ha un impatto determinante, a livello di consapevolezza di tutti i cittadini, ma anche per la coesione sociale. Per questo motivo quello della stampa è un ruolo cruciale, affinché anche in questa parte di Mediterraneo si capisca quello che succede 'di là' e chi sono queste persone che oggi, per mettersi in salvo, rischiano la vita.
Ringrazio quindi l'UNRWA, e il Comitato italiano, per questo sforzo di diffondere le immagini della mostra, che raccontano, più di tanti rapporti, la storia di un intero popolo. E' questo che dobbiamo fare: cercare di raccontare, di far capire, di creare un sentimento di empatia, perché quando si capisce cambia completamente l'atteggiamento delle persone. E oggi noi abbiamo bisogno di una maggiore comprensione.
Intervento introduttivo al Convegno 'Le crisi a Gaza e in Siria: l'impatto umano. La prospettiva dell'UNRWA e degli operatori dell'informazione'
Do il mio benvenuto a Pierre Krähenbühl, Commissario generale delle Nazioni Unite per l'assistenza ai rifugiati palestinesi, che fra poco interverrà sulla crisi umanitaria a Gaza ed in Siria; un ringraziamento al Vice ministro degli Affari esteri Pistelli e ai giornalisti che sono a questo tavolo, a Lucia Goracci e Alberto Negri, che conosco da molti anni; un saluto al Comitato italiano dell'UNRWA; un ringraziamento all'Ambasciatrice palestinese, che mi fa sempre piacere ritrovare; un saluto a tutti voi che siete qui oggi e che avete accettato il nostro invito. Grazie anche alla nostra amica giornalista e storica, Paola Caridi, che modererà questo nostro incontro.
Qui alla Camera non è la prima volta che ospitiamo un'iniziativa che coinvolge l'UNRWA. Lo avevamo già fatto l'anno scorso, più o meno di questi tempi, in ottobre. In quel momento l'allora Commissario italiano, che ha nel frattempo lasciato il posto ad un altro Commissario, ci parlava delle difficoltà che l'UNRWA incontra ogni giorno nel lavoro che svolge. Un lavoro che svolge a Gaza, ma anche nei paesi limitrofi, perché assiste circa 5 milioni di profughi palestinesi: difficoltà logistiche, ma anche di risorse.
A gennaio sono andata a fare una visita ufficiale a Gaza, perché ritenevo che fosse importante vedere questa parte di una regione molto sofferente. A Gaza ho visitato una scuola dell'UNRWA; lì ho incontrato anche delle giovani imprenditrici, che mi dicevano dei loro progetti, ma anche della frustrazione di non riuscire a vederli poi realizzati, perché in un territorio chiuso è molto difficile, se non impossibile, poter fare impresa.
Poi ho visitato la scuola 'Vento di Terra', della Cooperazione italiana, che purtroppo non c'è più perché è stata completamente distrutta. Una distruzione che ha sorpreso tutti, visto che si trattava di una scuola piccola, ma che comunque svolgeva un ruolo importante in quella parte della Striscia di Gaza dove c'erano molti bambini beduini.
Con l'estate è arrivato poi il conflitto, con tutto ciò che ha portato come conseguenze. Ci sono stati oltre 2.000 palestinesi morti, un altissimo numero di feriti, un numero elevatissimo di edifici distrutti. Il Commissario Krähenbühl ci dirà meglio quali sono le condizioni odierne a Gaza, e anche quali sono le sfide per la ricostruzione che sono in corso.
Penso che questa crisi oggi necessariamente si incroci con quella che si vive in Siria, ormai da tre anni, e con quella che si vive in Iraq. Ritengo che la situazione siriana abbia causato un impatto sulla popolazione civile che non ha precedenti: più del 40% dei siriani vive fuori casa. Parliamo quindi di quasi dieci milioni di persone che sono state costrette a mettersi in salvo. La maggior parte di loro, circa sei milioni di persone, si trovano all'interno del Paese, ma tre milioni sono nei Paesi confinanti. E' inutile dire che questa presenza sta creando anche seri problemi di stabilità all'interno di questi Paesi. E' normale che sia così. Quando un Paese come il Libano, che conta poco più di quattro milioni di abitanti, ospita un milione e duecentomila siriani, è ovvio che questo ha un impatto pesantissimo a livello sociale, ma anche politico. Circa due anni fa mi trovavo al confine tra la Siria e la Giordania, nel campo di Za'atari, e ogni giorno passavano centinaia e centinaia di rifugiati siriani, che già in quel momento parlavano di una situazione impossibile nelle loro città: raccontavano di componenti militari di varia natura, cioè un esercito di Assad, un esercito libero, e gli "stranieri", ben equipaggiati e che si imponevano sul territorio. Quindi una entità militare già nota ai siriani ben due anni fa. Oggi noi ce ne accorgiamo perché questa forza, che intanto si è allargata, si è radicata, seguendo un sogno politico antico, minaccia anche noi e i nostri concittadini. Solo adesso noi abbiamo preso atto di questa situazione. Ma dobbiamo capire che per ogni esecuzione terrificante, angosciante, barbarica, ai danni di un cittadino occidentale, ci sono anche persone del luogo che vengono ammazzate, e questo non dobbiamo mai dimenticarlo. E' quindi una minaccia che coinvolge tutti, nessuno escluso.
I siriani fuggono in massa. Il 90% e più dei siriani si ferma nei Paesi confinanti, poi qualcuno cerca di mettersi in salvo fuori dalla regione. Secondo gli ultimi dati, solo il 4% dei siriani fuori dai confini nazionali è arrivato in Europa, nei 28 Paesi dell'Unione Europea. Ciononostante vengono percepiti come troppi, come una minaccia, che ci viene a togliere qualcosa. Ma prima di arrivare in Europa c'è il Mediterraneo in mezzo, e lì c'è un altro conflitto, quello tra le persone e il mare. Si lascia un conflitto, se ne ritrova un altro in mare, e solo chi ha fortuna arriva a destinazione.
In mare quest'anno sono morte quasi tremila persone: nel conflitto di Gaza sono morte meno persone di quante ne siano morte in mare. Sono situazioni critiche entrambe. Quello che succede in mare deve essere all'attenzione di tutti gli Stati europei, perché quel mare è confine europeo, è Schengen, è frontiera europea. L'Italia, molto giustamente, ha deciso di mettere in atto un'operazione di soccorso in mare, Mare Nostrum, e grazie a quell'operazione ha salvato decine di migliaia di vite umane. Io sono orgogliosa di dire che il nostro Paese sta facendo ampiamente la propria parte e non si è fatto fagocitare dal cinismo. Ma dico anche, con altrettanta forza, che questa è una responsabilità che deve essere condivisa, perché il nostro Mediterraneo è frontiera europea. Ogni Paese poi dovrà farsi carico dei richiedenti asilo, dell'accoglienza, ancora responsabilità dei singoli Paesi. Ma quello che dovrebbe essere quanto prima condiviso è la responsabilità del salvataggio in mare. Si discute molto di Frontex, ma io mi auguro solo che non ci sia un vuoto tra l'eventuale, possibile riduzione di impegno da parte italiana ed una capacità operativa altrettanto forte da parte di un'iniziativa a carattere europeo. Se ci fosse quel vuoto sappiamo bene che al contempo ci sarebbero molti più morti.
In conclusione desidero fare un altro auspicio, che riguarda l'importanza dell'informazione. Credo che tutti gli organismi internazionali e le ONG abbiano ancora di più il dovere di puntare alla divulgazione delle informazioni, usando tutti i mezzi di cui dispongono, perché è importante fornire le notizie a chi poi è sul terreno per riportare quello che lì accade.
Va fatto uno sforzo per potenziare l'intero ambito informativo, e fare in modo che quanto accade nei luoghi di crisi venga a conoscenza dei cittadini e direttamente attraverso i mezzi di informazione.
Anche la stampa ha un ruolo determinante nella comprensione di quanto accade vicino casa nostra. So quanto rischiano gli inviati, perché spesso abbiamo lavorato negli stessi contesti. So quanto è importante il lavoro che loro svolgono, e ne ho il massimo rispetto, così come ho il massimo rispetto per chi lavora nelle redazioni e anche nei luoghi di approdo dei rifugiati in Italia, quei cronisti che nel nostro Paese vanno a raccontare chi arriva sulle nostre coste. Dico che anche loro hanno una grande responsabilità, quella di raccontare chi sono queste persone e perché rischiano la loro vita, al di là dei numeri, e di farlo affinché le persone capiscano che sono proprio loro, i rifugiati, le prime vittime di questa situazione, e che non costituiscono una minaccia per la nostra sicurezza. Sono loro le vittime della mancanza di libertà, dei regimi, della guerra. E questo ha un impatto determinante, a livello di consapevolezza di tutti i cittadini, ma anche per la coesione sociale. Per questo motivo quello della stampa è un ruolo cruciale, affinché anche in questa parte di Mediterraneo si capisca quello che succede 'di là' e chi sono queste persone che oggi, per mettersi in salvo, rischiano la vita.
Ringrazio quindi l'UNRWA, e il Comitato italiano, per questo sforzo di diffondere le immagini della mostra, che raccontano, più di tanti rapporti, la storia di un intero popolo. E' questo che dobbiamo fare: cercare di raccontare, di far capire, di creare un sentimento di empatia, perché quando si capisce cambia completamente l'atteggiamento delle persone. E oggi noi abbiamo bisogno di una maggiore comprensione.
Vi ringrazio.