Partecipazione al Convegno nazionale di 'Confesercenti'
Buon giorno a tutte e a tutti. Saluto il Presidente di Confesercenti Massimo Vivoli e tutti i dirigenti dell'associazione, le autorità, i parlamentari presenti, il Sottosegretario Pierpaolo Baretta e tutti voi che partecipate a questo incontro. Al centro della discussione odierna, e dell'interessante studio che ci è stato appena illustrato, c'è la situazione economica del Paese e le possibilità di uscire da una crisi economica e sociale che ha determinato enormi difficoltà alle imprese e ai cittadini italiani.
Una crisi che dura ormai da sette anni. Le statistiche più recenti indicano segnali di miglioramento, nella produzione industriale, nei consumi, soprattutto in quelli durevoli, nella fiducia dei cittadini e nei livelli occupazionali, almeno in quelli a tempo indeterminato.
Comunque la si pensi rispetto all'azione del governo attuale e di quelli che l'hanno preceduto, credo che tutti dobbiamo salutare come positivo il fatto che finalmente alcuni indici che riguardano i fondamentali della nostra economia comincino ad avere il segno più dopo anni di riscontri negativi.
Ma, come tutti vediamo e come anche la ricerca che voi presentate dimostra, si tratta di incrementi ancora troppo lievi nella loro dimensione quantitativa, e dentro i quali non mancano dati fortemente contraddittori.
La prima e purtroppo non nuova di queste contraddizioni si chiama Mezzogiorno.
Il divario tra la condizione economico sociale del Nord e quella delle regioni meridionali rimane ancora troppo ampio e questo è uno dei maggiori ostacoli alla ripresa, perché solo tutto insieme il nostro paese ce la farà ad uscire stabilmente dalla crisi.
Se ne parla troppo poco. Il Sud sembra scomparso dal dibattito pubblico in Italia. E questa non è affatto una cosa positiva. La Svimez presenterà nelle prossime settimane il rapporto che è stato anticipato prima dell'estate. Alla Camera se ne è discusso in più occasioni e dedicheremo, nel mese di ottobre, una seduta speciale dei nostri lavori alle politiche per il Mezzogiorno.
Questi primi dati positivi sullo stato di salute della nostra economia, dobbiamo quindi acquisirli, rafforzarli e renderli più equi e più stabili. Perché potremo parlare di una vera ripresa soltanto quando oltre agli statistici se ne accorgeranno direttamente i cittadini italiani. Quando vedranno migliorare concretamente le loro condizioni di vita.
Mi capita ancora spesso, invece, a Montecitorio o nei territori, di incontrare lavoratori di aziende in crisi o che perdono il lavoro per colpa di troppo facili delocalizzazioni. E sono ancora tanti i giovani che lasciano il nostro paese non per la sacrosanta esigenza di fare nuove esperienze di vita all'estero, ma perché in Italia non vedono la possibilità di valorizzare le proprie vocazioni e le proprie competenze.
L'uscita definitiva dalla crisi non sarà dunque facile. Servono scelte politiche chiare e coraggiose.
Non sarà facile perché non si è trattato e non si tratta di una congiuntura sfavorevole come altre che abbiamo conosciuto, ma di una crisi che ha avuto effetti devastanti sul tessuto sociale del nostro paese, aggravando le diseguaglianze sociali e territoriali, in Italia più ancora che in altri paesi, bloccando l'ascensore sociale per una parte significativa della nostra popolazione, espandendo gli indici di povertà assoluta e relativa, come ci dice anche il rapporto presentato dalla Caritas nei giorni scorsi.
La cura, purtroppo, è stata peggiore del male, o almeno lo ha aggravato. La ricetta prevalente è stata quella cosiddetta dell'austerità che ha arrestato qualunque possibilità di crescita e di sviluppo.
Intendiamoci, penso che il rigore nella gestione dei conti pubblici sia un dovere morale, prima ancora che politico, e che le istituzioni debbano eliminare sprechi e spese superflue. Alla Camera stiamo seguendo senza interruzioni una linea di tagli e di contenimento dei costi che ha portato, negli ultimi tre anni, a risparmiare 237 milioni di euro. E non intendiamo fermarci.
Ma assumere come principale criterio guida per la politica economica, tanto da inserirlo in Costituzione, l'obiettivo del pareggio di bilancio, ha significato blocco degli investimenti, tagli al sistema di welfare - del quale in un momento di crisi c'è più bisogno che mai - contrazione delle spese per la cultura, aumento della pressione fiscale soprattutto sulle imprese e sui redditi da lavoro.
Così il paese si è fermato e ha smesso di crescere. I consumi si sono ridotti e proprio la vostra categoria,quella dei commercianti, è stata la prima ad avvertire le conseguenze negative di questa situazione.
Ecco perché dico che uscire stabilmente dalla crisi non sarà facile. Perché la tanto agognata "ripresa" non ci sarà se non si cambia politica, se non si scelgono altre priorità rispetto a quelle seguite negli anni passati.
Le nuove priorità debbono essere quelle del sostegno ai redditi più bassi, della riduzione delle diseguaglianze, di una distribuzione equa e selettiva del carico fiscale, dell'occupazione e di uno sviluppo sostenibile, socialmente ed ecologicamente. Perché questo sia possibile servono investimenti, pubblici e privati che rimettano in moto l'economia.
E che questa sia la strada giusta ce lo dice l'esperienza degli Stati Uniti. Se proprio lì, dove la crisi ebbe inizio, le maggiori difficoltà appaiono superate e l'economia ha ripreso a crescere è grazie a una linea di investimenti e di forte intervento della mano pubblica.
Ma questa svolta non può avvenire in un solo paese, l'Italia, giacché la crisi ha investito tutta l'Europa e tutti i paesi del nostro continente hanno messo in atto politiche di austerità.
Quale sarà il futuro dell'Europa ?
Questa domanda è diventata più incalzante che mai, in occasione del duro confronto sulla Grecia e ora di fronte al grande flusso di persone costrette ad abbandonare i loro paesi a causa di guerre e persecuzioni. Incombe inoltre il referendum in Gran Bretagna sulla permanenza o meno di quel paese nell'Unione Europea.
Che cosa accadrà ? Prevarranno le spinte disgregatrici e il ritorno ad anacronistici nazionalismi o le classi dirigenti più lungimiranti dei paesi europei avranno la forza di riprendere con nuovo slancio il progetto federalista del Manifesto di Ventotene e l'ispirazione dei padri fondatori, di Adenauer, di De Gasperi, di Schumann ? Questo è il bivio. In mezzo al guado non si resta a lungo.
Io sono convinta più che mai che dobbiamo raggiungere l'altra sponda, non tornare indietro, e che l'unica prospettiva positiva e virtuosa per la quale valga la pena di impegnarsi è quella degli Stati Uniti d'Europa.
E ho inteso simboleggiare questa mia profonda convinzione anche indossando questa spilla che vedete in cui c'è scritto USE, United States of Europe.
Guardate che questo tema è cruciale anche per la discussione che facciamo oggi sul futuro dell'economia italiana. E lo è per due ragioni. Primo, perché ormai la dimensione dei processi economici e finanziari travalica i confini dei singoli paesi e pensare che gli esecutivi o i parlamenti nazionali possano governarli, ciascuno per proprio conto, è una mera illusione. Ma la stessa cosa potremmo dire, che so, per le politiche dell'energia, dell'immigrazione e dell'asilo o per fronteggiare gli effetti del Global Warming.
La seconda ragione che mi spinge a sostenere la prospettiva dell'Europa come federazione di Stati, riguarda la globalizzazione ed in particolare il fatto che nella competizione internazionale non è pensabile che un paese come l'Italia, ma perfino come la Germania, ce la possa fare da solo a misurarsi con colossi economici del calibro degli Stati Uniti, della Cina o della Russia e con nuovi paesi emergenti il cui prodotto interno lordo cresce da anni senza sosta. Nessuno si salva da solo.
Se unita e solidale al suo interno sarà invece l'Europa a svolgere un ruolo da protagonista nel futuro dell'economia mondiale.
Ma oltre ad una maggiore integrazione politica, per recuperare un ruolo di primo piano, l'Unione Europea deve fare altre due scelte : procedure democratiche nella sua vita interna, perché non può ridursi ad un club di tecnocrati, e priorità all'impatto sociale delle politiche economiche, lasciandosi alle spalle la stagione dell'austerità.
Mi sembra che ci sia maggiore consapevolezza, ormai, sul fatto che vadano superate le politiche del passato. Non ancora sui caratteri e sugli obiettivi della nuova strategia che bisogna perseguire. E per questa ragione è utile anche il contributo di questa discussione.
Io vedo in cinque temi le priorità di una nuova politica economica per l'Italia e per l'Europa.
1) Innanzitutto, lo dicevo già prima, la riduzione delle diseguaglianze attraverso il sostegno ai redditi più bassi, per dare a tutti la possibilità di una vita sociale dignitosa e l'opportunità di contribuire al benessere del paese : forme di reddito di cittadinanza e iniziative come quella del microcredito meritano, in questo senso, la massima attenzione e il massimo sostegno.
2)Servono poi investimenti pubblici e privati sia per dare opportunità di buona occupazione, sia per sostenere la ricerca e l'innovazione. Perché la competizione globale si nutre anche di risorse intellettuali e di progresso tecnologico.
3)Anche la leva fiscale va finalizzata ad obiettivi di sviluppo. Il carico va indubbiamente alleggerito. E va fatto non in modo generalizzato ma seguendo due criteri : quello dell'equità e della progressività dell'imposizione, come previsto dalla Costituzione, e quello di aiutare chi produce e chi crea occupazione. E' sui redditi da lavoro, dunque, e sulle imprese che innovano e che assumono, che bisogna attenuare la pressione in modo consistente.
4) L'Italia deve tornare a dotarsi di una politica industriale degna di questo nome. Il ruolo delle istituzioni, parlamentari e di governo, non può ridursi alla semplice presa d'atto delle crisi aziendali dopo che si sono determinate e a correre ai ripari con gli ammortizzatori sociali, scaricando su tutti i contribuenti il costo di scelte non pubbliche ma private. Lo sviluppo industriale va orientato e incoraggiato a muoversi in due direzioni : una sempre maggiore innovazione tecnologica e un sempre più stretto legame con il territorio, con il tessuto sociale in cui sono collocate le imprese, con le Università e con gli enti di ricerca.
5) Bisogna investire sui talenti dell'Italia e soprattutto sulla tutela dello straordinario patrimonio culturale, archeologico e paesaggistico che ha reso e rende il nostro Paese famoso nel mondo e attrattivo per milioni di persone.
In questo senso la tutela dell'ambiente e la Green Economy non rappresentano soltanto scelte obbligatorie per il futuro del pianeta e delle nuove generazioni, ma anche una straordinaria opportunità di crescita e di occupazione.
Queste sono, a mio avviso, le priorità sulle quali lavorare.
Conosco già l'obiezione : tutto giusto, ma i soldi per mettere in atto questi investimenti non ci sono. Come si fa ?
Ecco, io non condivido questa argomentazione così rassegnata. Perché se si fanno le scelte giuste i soldi si trovano non solo per risanare il debito pubblico, ma anche per cominciare ad investire dove necessario.
A quali scelte mi riferisco ?
Intento a quella di proseguire nelle politiche di risparmio da parte delle pubbliche amministrazioni. Si può e si deve fare ancora molto, ma senza continuare a ridurre le prestazioni sociali, perché, come dicevo prima, in una fase di crisi così pesante mantenere e innovare il sistema di welfare è una esigenza imprescindibile.
Poi bisogna colpire la grande evasione fiscale ancora troppo diffusa e troppo sostanzialmente tollerata. In Italia la pressione fiscale potrebbe ridursi di molto se tutti facessero il loro dovere.
La corruzione. La corruzione costa allo Stato, cioè ai contribuenti, diverse decine di miliardi ogni anno. Anche per questo, oltre che per l'indecenza morale che rappresenta, va perseguita con fermezza. In questa legislatura sono state prese diverse misure per contrastare tale fenomeno anche aumentano le pene per chi commette questo odioso reato.
Infine è necessario che a chi possiede grandi patrimoni o beneficia dei risultati di transazioni finanziarie di elevata entità, sia chiesto di contribuire in modo più consistente al risanamento dei conti pubblici e al reperimento delle risorse necessarie a una politica di investimenti.
Sono obiettivi di equità sociale e di legalità. Come ispirato al principio di legalità è l'altro grande tema che voi affrontate in questo convegno, quello della lotta all'abusivismo. Un obiettivo che deve vedere il concorso attivo di tutte le istituzioni.
Io penso che, con la volontà politica necessaria, tutti questi siano traguardi raggiungibili. E credo che le istituzioni, locali e nazionali, debbano essere più vicine alla vasta rete di associazioni economiche e professionali, come la vostra, che possono essere chiamate a dare un contributo permanente alla vita sociale del paese.
In una democrazia forte e matura, i cosiddetti corpi intermedi sono una componente essenziale della vita civile e politica. Non se ne può fare a meno né possono essere considerati un residuo del passato.
Servono perché serve tenere unito il nostro paese e c'è bisogno di partecipazione e del coinvolgimento di quante più persone possibili. Non basta votare ogni tanto, serve la cittadinanza attiva ogni giorno.
E questo è tanto più vero per una categoria come la vostra che rappresenta non soltanto un significativo valore economico ma, in un paese come l'Italia, un tratto importante dell'identità nazionale. Quando chiude un esercizio commerciale ne risente non soltanto l'economia ma anche la vita delle comunità territoriali, perché la rete commerciale è parte essenziale del paesaggio urbano di una città, grande o piccola che sia.
Anche questo è quindi uno dei talenti italiani che non va assolutamente disperso.
Care amiche e cari amici, le difficoltà sono tante, non ce lo nascondiamo. Ma non dobbiamo perdere la fiducia nel futuro e nelle possibilità che l'Italia, ancora una volta, riesca ad uscire da una fase così complessa della sua vita.
Ce la faremo perché siamo ancora un grande paese a cui non mancano davvero le risorse sociali, morali ed intellettuali necessarie ad assicurare ai nostri figli un futuro di giustizia e di benessere.
Partecipazione al Convegno nazionale di 'Confesercenti'
Buon giorno a tutte e a tutti. Saluto il Presidente di Confesercenti Massimo Vivoli e tutti i dirigenti dell'associazione, le autorità, i parlamentari presenti, il Sottosegretario Pierpaolo Baretta e tutti voi che partecipate a questo incontro. Al centro della discussione odierna, e dell'interessante studio che ci è stato appena illustrato, c'è la situazione economica del Paese e le possibilità di uscire da una crisi economica e sociale che ha determinato enormi difficoltà alle imprese e ai cittadini italiani.
Una crisi che dura ormai da sette anni. Le statistiche più recenti indicano segnali di miglioramento, nella produzione industriale, nei consumi, soprattutto in quelli durevoli, nella fiducia dei cittadini e nei livelli occupazionali, almeno in quelli a tempo indeterminato.
Comunque la si pensi rispetto all'azione del governo attuale e di quelli che l'hanno preceduto, credo che tutti dobbiamo salutare come positivo il fatto che finalmente alcuni indici che riguardano i fondamentali della nostra economia comincino ad avere il segno più dopo anni di riscontri negativi.
Ma, come tutti vediamo e come anche la ricerca che voi presentate dimostra, si tratta di incrementi ancora troppo lievi nella loro dimensione quantitativa, e dentro i quali non mancano dati fortemente contraddittori.
La prima e purtroppo non nuova di queste contraddizioni si chiama Mezzogiorno.
Il divario tra la condizione economico sociale del Nord e quella delle regioni meridionali rimane ancora troppo ampio e questo è uno dei maggiori ostacoli alla ripresa, perché solo tutto insieme il nostro paese ce la farà ad uscire stabilmente dalla crisi.
Se ne parla troppo poco. Il Sud sembra scomparso dal dibattito pubblico in Italia. E questa non è affatto una cosa positiva. La Svimez presenterà nelle prossime settimane il rapporto che è stato anticipato prima dell'estate. Alla Camera se ne è discusso in più occasioni e dedicheremo, nel mese di ottobre, una seduta speciale dei nostri lavori alle politiche per il Mezzogiorno.
Questi primi dati positivi sullo stato di salute della nostra economia, dobbiamo quindi acquisirli, rafforzarli e renderli più equi e più stabili. Perché potremo parlare di una vera ripresa soltanto quando oltre agli statistici se ne accorgeranno direttamente i cittadini italiani. Quando vedranno migliorare concretamente le loro condizioni di vita.
Mi capita ancora spesso, invece, a Montecitorio o nei territori, di incontrare lavoratori di aziende in crisi o che perdono il lavoro per colpa di troppo facili delocalizzazioni. E sono ancora tanti i giovani che lasciano il nostro paese non per la sacrosanta esigenza di fare nuove esperienze di vita all'estero, ma perché in Italia non vedono la possibilità di valorizzare le proprie vocazioni e le proprie competenze.
L'uscita definitiva dalla crisi non sarà dunque facile. Servono scelte politiche chiare e coraggiose.
Non sarà facile perché non si è trattato e non si tratta di una congiuntura sfavorevole come altre che abbiamo conosciuto, ma di una crisi che ha avuto effetti devastanti sul tessuto sociale del nostro paese, aggravando le diseguaglianze sociali e territoriali, in Italia più ancora che in altri paesi, bloccando l'ascensore sociale per una parte significativa della nostra popolazione, espandendo gli indici di povertà assoluta e relativa, come ci dice anche il rapporto presentato dalla Caritas nei giorni scorsi.
La cura, purtroppo, è stata peggiore del male, o almeno lo ha aggravato. La ricetta prevalente è stata quella cosiddetta dell'austerità che ha arrestato qualunque possibilità di crescita e di sviluppo.
Intendiamoci, penso che il rigore nella gestione dei conti pubblici sia un dovere morale, prima ancora che politico, e che le istituzioni debbano eliminare sprechi e spese superflue. Alla Camera stiamo seguendo senza interruzioni una linea di tagli e di contenimento dei costi che ha portato, negli ultimi tre anni, a risparmiare 237 milioni di euro. E non intendiamo fermarci.
Ma assumere come principale criterio guida per la politica economica, tanto da inserirlo in Costituzione, l'obiettivo del pareggio di bilancio, ha significato blocco degli investimenti, tagli al sistema di welfare - del quale in un momento di crisi c'è più bisogno che mai - contrazione delle spese per la cultura, aumento della pressione fiscale soprattutto sulle imprese e sui redditi da lavoro.
Così il paese si è fermato e ha smesso di crescere. I consumi si sono ridotti e proprio la vostra categoria,quella dei commercianti, è stata la prima ad avvertire le conseguenze negative di questa situazione.
Ecco perché dico che uscire stabilmente dalla crisi non sarà facile. Perché la tanto agognata "ripresa" non ci sarà se non si cambia politica, se non si scelgono altre priorità rispetto a quelle seguite negli anni passati.
Le nuove priorità debbono essere quelle del sostegno ai redditi più bassi, della riduzione delle diseguaglianze, di una distribuzione equa e selettiva del carico fiscale, dell'occupazione e di uno sviluppo sostenibile, socialmente ed ecologicamente. Perché questo sia possibile servono investimenti, pubblici e privati che rimettano in moto l'economia.
E che questa sia la strada giusta ce lo dice l'esperienza degli Stati Uniti. Se proprio lì, dove la crisi ebbe inizio, le maggiori difficoltà appaiono superate e l'economia ha ripreso a crescere è grazie a una linea di investimenti e di forte intervento della mano pubblica.
Ma questa svolta non può avvenire in un solo paese, l'Italia, giacché la crisi ha investito tutta l'Europa e tutti i paesi del nostro continente hanno messo in atto politiche di austerità.
Quale sarà il futuro dell'Europa ?
Questa domanda è diventata più incalzante che mai, in occasione del duro confronto sulla Grecia e ora di fronte al grande flusso di persone costrette ad abbandonare i loro paesi a causa di guerre e persecuzioni. Incombe inoltre il referendum in Gran Bretagna sulla permanenza o meno di quel paese nell'Unione Europea.
Che cosa accadrà ? Prevarranno le spinte disgregatrici e il ritorno ad anacronistici nazionalismi o le classi dirigenti più lungimiranti dei paesi europei avranno la forza di riprendere con nuovo slancio il progetto federalista del Manifesto di Ventotene e l'ispirazione dei padri fondatori, di Adenauer, di De Gasperi, di Schumann ? Questo è il bivio. In mezzo al guado non si resta a lungo.
Io sono convinta più che mai che dobbiamo raggiungere l'altra sponda, non tornare indietro, e che l'unica prospettiva positiva e virtuosa per la quale valga la pena di impegnarsi è quella degli Stati Uniti d'Europa.
E ho inteso simboleggiare questa mia profonda convinzione anche indossando questa spilla che vedete in cui c'è scritto USE, United States of Europe.
Guardate che questo tema è cruciale anche per la discussione che facciamo oggi sul futuro dell'economia italiana. E lo è per due ragioni. Primo, perché ormai la dimensione dei processi economici e finanziari travalica i confini dei singoli paesi e pensare che gli esecutivi o i parlamenti nazionali possano governarli, ciascuno per proprio conto, è una mera illusione. Ma la stessa cosa potremmo dire, che so, per le politiche dell'energia, dell'immigrazione e dell'asilo o per fronteggiare gli effetti del Global Warming.
La seconda ragione che mi spinge a sostenere la prospettiva dell'Europa come federazione di Stati, riguarda la globalizzazione ed in particolare il fatto che nella competizione internazionale non è pensabile che un paese come l'Italia, ma perfino come la Germania, ce la possa fare da solo a misurarsi con colossi economici del calibro degli Stati Uniti, della Cina o della Russia e con nuovi paesi emergenti il cui prodotto interno lordo cresce da anni senza sosta. Nessuno si salva da solo.
Se unita e solidale al suo interno sarà invece l'Europa a svolgere un ruolo da protagonista nel futuro dell'economia mondiale.
Ma oltre ad una maggiore integrazione politica, per recuperare un ruolo di primo piano, l'Unione Europea deve fare altre due scelte : procedure democratiche nella sua vita interna, perché non può ridursi ad un club di tecnocrati, e priorità all'impatto sociale delle politiche economiche, lasciandosi alle spalle la stagione dell'austerità.
Mi sembra che ci sia maggiore consapevolezza, ormai, sul fatto che vadano superate le politiche del passato. Non ancora sui caratteri e sugli obiettivi della nuova strategia che bisogna perseguire. E per questa ragione è utile anche il contributo di questa discussione.
Io vedo in cinque temi le priorità di una nuova politica economica per l'Italia e per l'Europa.
1) Innanzitutto, lo dicevo già prima, la riduzione delle diseguaglianze attraverso il sostegno ai redditi più bassi, per dare a tutti la possibilità di una vita sociale dignitosa e l'opportunità di contribuire al benessere del paese : forme di reddito di cittadinanza e iniziative come quella del microcredito meritano, in questo senso, la massima attenzione e il massimo sostegno.
2)Servono poi investimenti pubblici e privati sia per dare opportunità di buona occupazione, sia per sostenere la ricerca e l'innovazione. Perché la competizione globale si nutre anche di risorse intellettuali e di progresso tecnologico.
3)Anche la leva fiscale va finalizzata ad obiettivi di sviluppo. Il carico va indubbiamente alleggerito. E va fatto non in modo generalizzato ma seguendo due criteri : quello dell'equità e della progressività dell'imposizione, come previsto dalla Costituzione, e quello di aiutare chi produce e chi crea occupazione. E' sui redditi da lavoro, dunque, e sulle imprese che innovano e che assumono, che bisogna attenuare la pressione in modo consistente.
4) L'Italia deve tornare a dotarsi di una politica industriale degna di questo nome. Il ruolo delle istituzioni, parlamentari e di governo, non può ridursi alla semplice presa d'atto delle crisi aziendali dopo che si sono determinate e a correre ai ripari con gli ammortizzatori sociali, scaricando su tutti i contribuenti il costo di scelte non pubbliche ma private. Lo sviluppo industriale va orientato e incoraggiato a muoversi in due direzioni : una sempre maggiore innovazione tecnologica e un sempre più stretto legame con il territorio, con il tessuto sociale in cui sono collocate le imprese, con le Università e con gli enti di ricerca.
5) Bisogna investire sui talenti dell'Italia e soprattutto sulla tutela dello straordinario patrimonio culturale, archeologico e paesaggistico che ha reso e rende il nostro Paese famoso nel mondo e attrattivo per milioni di persone.
In questo senso la tutela dell'ambiente e la Green Economy non rappresentano soltanto scelte obbligatorie per il futuro del pianeta e delle nuove generazioni, ma anche una straordinaria opportunità di crescita e di occupazione.
Queste sono, a mio avviso, le priorità sulle quali lavorare.
Conosco già l'obiezione : tutto giusto, ma i soldi per mettere in atto questi investimenti non ci sono. Come si fa ?
Ecco, io non condivido questa argomentazione così rassegnata. Perché se si fanno le scelte giuste i soldi si trovano non solo per risanare il debito pubblico, ma anche per cominciare ad investire dove necessario.
A quali scelte mi riferisco ?
Intento a quella di proseguire nelle politiche di risparmio da parte delle pubbliche amministrazioni. Si può e si deve fare ancora molto, ma senza continuare a ridurre le prestazioni sociali, perché, come dicevo prima, in una fase di crisi così pesante mantenere e innovare il sistema di welfare è una esigenza imprescindibile.
Poi bisogna colpire la grande evasione fiscale ancora troppo diffusa e troppo sostanzialmente tollerata. In Italia la pressione fiscale potrebbe ridursi di molto se tutti facessero il loro dovere.
La corruzione. La corruzione costa allo Stato, cioè ai contribuenti, diverse decine di miliardi ogni anno. Anche per questo, oltre che per l'indecenza morale che rappresenta, va perseguita con fermezza. In questa legislatura sono state prese diverse misure per contrastare tale fenomeno anche aumentano le pene per chi commette questo odioso reato.
Infine è necessario che a chi possiede grandi patrimoni o beneficia dei risultati di transazioni finanziarie di elevata entità, sia chiesto di contribuire in modo più consistente al risanamento dei conti pubblici e al reperimento delle risorse necessarie a una politica di investimenti.
Sono obiettivi di equità sociale e di legalità. Come ispirato al principio di legalità è l'altro grande tema che voi affrontate in questo convegno, quello della lotta all'abusivismo. Un obiettivo che deve vedere il concorso attivo di tutte le istituzioni.
Io penso che, con la volontà politica necessaria, tutti questi siano traguardi raggiungibili. E credo che le istituzioni, locali e nazionali, debbano essere più vicine alla vasta rete di associazioni economiche e professionali, come la vostra, che possono essere chiamate a dare un contributo permanente alla vita sociale del paese.
In una democrazia forte e matura, i cosiddetti corpi intermedi sono una componente essenziale della vita civile e politica. Non se ne può fare a meno né possono essere considerati un residuo del passato.
Servono perché serve tenere unito il nostro paese e c'è bisogno di partecipazione e del coinvolgimento di quante più persone possibili. Non basta votare ogni tanto, serve la cittadinanza attiva ogni giorno.
E questo è tanto più vero per una categoria come la vostra che rappresenta non soltanto un significativo valore economico ma, in un paese come l'Italia, un tratto importante dell'identità nazionale. Quando chiude un esercizio commerciale ne risente non soltanto l'economia ma anche la vita delle comunità territoriali, perché la rete commerciale è parte essenziale del paesaggio urbano di una città, grande o piccola che sia.
Anche questo è quindi uno dei talenti italiani che non va assolutamente disperso.
Care amiche e cari amici, le difficoltà sono tante, non ce lo nascondiamo. Ma non dobbiamo perdere la fiducia nel futuro e nelle possibilità che l'Italia, ancora una volta, riesca ad uscire da una fase così complessa della sua vita.
Ce la faremo perché siamo ancora un grande paese a cui non mancano davvero le risorse sociali, morali ed intellettuali necessarie ad assicurare ai nostri figli un futuro di giustizia e di benessere.
Ma bisogna crederci. E io ci credo.
Grazie e buon lavoro.