14/01/2016
Roma, Accademia Nazionale dei Lincei

Conferenza della Presidente della Camera dal titolo 'Per una nuova cittadinanza europea'

Buon pomeriggio a tutte e a tutti. Saluto e ringrazio per l'invito il Presidente dell'Accademia, professor Alberto Quadrio Curzio e il Vicepresidente professor Lamberto Maffei. Il tema oggetto della conferenza odierna - la costruzione di una nuova cittadinanza europea - è parte di una più ampia riflessione sullo stato e sulle prospettive del processo di integrazione europea che ho avviato negli ultimi mesi, insieme ai colleghi Presidenti di altri Parlamenti nazionali.

"La via da percorrere non è facile né sicura, ma deve essere percorsa e lo sarà".

Con queste parole si conclude il Manifesto di Ventotene. Colpisce la sicurezza di questa affermazione perché, non bisogna dimenticarlo, Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni e Ursula Hirschmann scrissero questo testo e progettarono l'Europa unita e federale mentre erano confinati e isolati nell'isola pontina, mentre il continente era devastato dalle bombe e gli europei combattevano gli uni contro gli altri.

Ma la storia ha dimostrato che avevano ragione.La costruzione di un'Europa unita e federale è stato il più importante progetto politico dal dopoguerra ad oggi. Dopo secoli di conflitti fratricidi ha assicurato agli europei decenni di pace, di sviluppo e di cooperazione.

I valori di libertà e di solidarietà che lo hanno animato fin dai suoi esordi, hanno reso questo progetto un punto di riferimento per tutti coloro che nel mondo hanno creduto e credono nella democrazia e nello Stato di diritto.

E' stato fin qui un progetto inclusivo : siamo partiti in sei, siamo arrivati a 28. Abbiamo un unico Parlamento eletto direttamente dai cittadini. In 19 Paesi membri c'è un'unica moneta e in 22 ( insieme ad altri 4 non membri della Unione Europea ) c'è la libera circolazione introdotta dagli accordi di Schengen.

Grazie a questa libertà di circolazione e a programmi strategici come l'Erasmus, si sta affermando una generazione di giovani cittadini europei senza pregiudizi e aperta al nuovo.

Ma, occorre riconoscerlo, oggi questo grande progetto sta attraversando la fase forse più critica della sua storia. C'è un distacco crescente tra i cittadini e le istituzioni europee. La sfiducia e il disagio sociale forniscono alimento a movimenti populisti, nazionalisti e perfino xenofobi.

Ci sono governi di Paesi, come l'Ungheria e la Polonia, che vengono criticati per iniziative che ledono quei principi dello Stato di diritto che sono a fondamento dell'Unione Europea.

E c'è un paese importante come la Gran Bretagna nel quale si chiederà ai cittadini, attraverso un referendum, se intendono rimanere oppure no nell'Unione.

Ricorderete certamente che soltanto pochi mesi fa si è rischiata l'espulsione della Grecia dalla zona euro. Un'uscita della Grecia dall'Eurozona avrebbe significato abbandonare quel paese, culla della cultura e della civiltà europea, ad un destino di declino inimmaginabile. E avrebbe aperto una pericolosissima falla in seno all'assetto europeo. Ma c'è stato chi ha lavorato per questa sciagurata prospettiva.

Anche la vicenda greca, così come le estreme difficoltà a raggiungere una intesa forte e durevole per governare l'arrivo di persone che fuggono da guerre e persecuzioni, ha fatto pensare che quel processo inclusivo ed espansivo che ha portato all'Europa dei 28, rischia non solo una battuta d'arresto ma perfino una sua disgregazione.

Perché siamo a questo punto ? Che cosa è accaduto ?

E' accaduto che gli Stati membri hanno investito assai poco sulle istituzioni comunitarie, hanno fatto prevalere interessi nazionali e particolarismi, non hanno voluto condividere la propria sovranità con quella degli altri Paesi e dell'Unione stessa e hanno, come conseguenza di tutto ciò, indebolito le istituzioni comunitarie che oggi stentano a fronteggiare le sfide della globalizzazione e di dare risposte concrete ai problemi dei cittadini.

Sappiamo tutti che ormai nessuno dei temi che interessano le nostre società può essere affrontato dentro i confini di un solo paese.

Penso agli effetti del riscaldamento climatico, alle politiche energetiche, ai diritti e ai doveri di chi naviga su Internet, al controllo dei grandi flussi finanziari, alla gestione dell'asilo e dell'immigrazione.

Ma penso anche alle politiche del lavoro, se è vero, come è vero, che una sequela selvaggia e senza regole di delocalizzazioni all'estero ha lasciato famiglie senza reddito e territori senza più insediamenti produttivi.

Servirebbero allora istituzioni sovranazionali autorevoli, democratiche e capaci di decidere.

Ma se la dimensione puramente nazionale è insufficiente e quella sovranazionale (in questo caso europea) è privata dei poteri necessari, l'impressione che ne ricavano i cittadini è di inutilità e inconsistenza delle istituzioni democratiche.

A che servono, si chiedono in molti, i Parlamenti, o la Commissione europea se non sono in grado di creare lavoro, di tutelare l'ambiente, di assicurare un futuro alle nuove generazioni?

Di fronte ad una crisi economica e finanziaria devastante, sono state imposte politiche di austerità, obbligando gli Stati a tagliare le spese sociali, senza valutarne l'impatto sulla vita dei cittadini. Milioni di giovani europei faticano ancora a trovare un impiego o hanno perso la speranza di riuscirci, troppe donne vengono tenute lontane dal mercato del lavoro, tante piccole e medie imprese sono costrette a cessare l'attività.

Leggo come tutti le statistiche che ci dicono che ci sono in Italia segnali di ripresa e naturalmente me ne rallegro. Ma poi, a Montecitorio così come nei territori che visito nei fine settimana, continuo ad incontrare delegazioni di lavoratori che rischiano il posto di lavoro, giovani che si interrogano con angoscia sul proprio futuro, famiglie che sono precipitate sotto la soglia di povertà dopo una vita operosa e dignitosa.

E allora mi viene da pensare che potremo dire con certezza di essere usciti dalla crisi quando gli italiani vedranno migliorare le loro concrete condizioni di vita.

E' questa sofferenza sociale che ha prodotto sfiducia e distacco nei confronti delle istituzioni. E questo è accaduto non perché c'è stata troppa Europa, ma perché ce ne è stata e ce n'è troppo poca. E quella che abbiamo conosciuto fin qui è stata un'Europa che ha disatteso le aspettative di solidarietà e giustizia sociale.

Sono fortemente convinta che l'unica risposta possibile ed adeguata alle grandi sfide globali sia non la riduzione del processo di integrazione alla mera dimensione economica, nè tantomeno il ritorno alle "piccole patrie", quanto piuttosto la ripresa di un percorso coraggioso di unificazione politica, in una prospettiva federale.

Nessun Paese europeo, neanche la Germania, può competere da solo con i giganti dell'economia mondiale. Mentre potrebbe farlo l'Europa, se fosse davvero unita. Un'Europa unita sarebbe in grado di vincere molte sfide e essere una protagonista di primo piano sulla scena internazionale.

Ne abbiamo avuto una prova nel recente vertice di Parigi sul clima, nello scorso dicembre. Si sono raggiunti risultati importanti. Il mondo intero si è messo in moto sottoscrivendo accordi ambiziosi e vincolanti.

Ma questo non sarebbe avvenuto senza la spinta da un lato del Presidente Obama e dall'altro dell'Unione Europea, che si è presentata finalmente unita e determinata a concludere con successo la Conferenza.

La stessa cosa può dirsi a proposito del negoziato sul nucleare iraniano, dove l'Europa ha giocato un ruolo di primo piano nel giungere ad un accordo la cui attuazione potrebbe cambiare in positivo la storia del Medio Oriente.

Questi eventi ci dicono che quando l'Europa è unita detta, insieme ad altri, l'agenda del mondo. Quando è divisa rischia l'irrilevanza e ogni suo paese membro è più debole e più solo.

E l'Europa unita, come ha ricordato lei, professor Quadrio Curzio in un articolo di pochi giorni fa, "è essenziale per la stabilità politica ed economica mondiale".

L'obiettivo al quale occorre lavorare è dunque duplice. Serve una svolta nella politica economica europea che sia più attenta alla dimensione sociale. Ma per avere più Europa sociale serve più Europa politica, nella prospettiva degli Stati Uniti d'Europa.

Il percorso di costruzione di questa prospettiva deve coinvolgere i cittadini ed essere pienamente democratico. I Parlamenti e non solo i governi devono esserne protagonisti.

Sulla base di questa convinzione, lo scorso 14 settembre , a Roma, alla Camera dei deputati, ho invitato a Montecitorio i colleghi Presidenti del Bundestag tedesco, dell'Assemblea nazionale francese e del Parlamento lussemburghese, e insieme abbiamo sottoscritto la Dichiarazione "Più integrazione europea: la strada da percorrere ", che riafferma la necessità di puntare ad una Unione federale di Stati.

Confesso che quando ho intrapreso questa iniziativa non ero affatto sicura del suo esito positivo e mi chiedevo in particolare come avrebbe reagito il Presidente del Bundestag, viste le tensioni che c'erano state tra la Germania e altri paesi europei e vista la diversa collocazione politica del Presidente Lammert. E invece anche lui ha accolto la proposta con convinzione e lì ho capito che qualcosa si stava muovendo, cioè si stava affermando la consapevolezza che nessuno, neanche la forte Germania, può farcela da solo.

La conferma è avvenuta qualche settimana dopo, con le posizioni coraggiose assunte da Angela Merkel di fronte al dramma dei rifugiati.

II 7 e l'8 Dicembre, a Bruxelles, ho illustrato la Dichiarazione ai vertici dell'Unione Europea, al Presidente del Parlamento europeo Martin Schulz e al Presidente della Commissione Jean Claude Junker, i quali hanno accolto con grande interesse e favore questa iniziativa, in un momento in cui invece tante voci si levano contro il progetto europeo.

Nel frattempo è cresciuto il numero dei Presidenti di Parlamento di Paesi dell'Unione che hanno firmato la Dichiarazione. Ora sono dieci e altri hanno già preannunciato la loro adesione.

Ho deciso inoltre di promuovere una consultazione pubblica, attraverso una piattaforma digitale, sui contenuti della dichiarazione per stimolare il coinvolgimento e la partecipazione di quante più persone possibili, perché l'Europa di cui c'è bisogno è l' Europa dei cittadini e non solo delle istituzioni. Perché l'Europa deve tornare ad essere rispettata e apprezzata dalle persone e in particolare dai giovani.

E' evidente che la creazione di una vera e propria Federazione europea, degli Stati Uniti d'Europa, non è possibile senza un "popolo europeo".

Si possono avere istituzioni federali autorevoli soltanto se esiste un "demos" europeo che ne legittimi democraticamente e direttamente l'operato, condividendo un nucleo comune di valori, di diritti e di doveri, e un sentimento di lealtà nei confronti delle stesse istituzioni comuni.

Non è una materia che si risolve solo nei Trattati o modificando i Trattati: occorre definire una vera cittadinanza comune sia in senso giuridico, quale fonte di diritti e doveri, sia in senso politico, quale comunità fondata appunto sulla condivisione di valori e principi.

L'istituto della cittadinanza europea previsto dai Trattati vigenti è evidentemente inadeguato in questa prospettiva.

Sul piano strettamente giuridico, l'attuale cittadinanza europea è infatti "derivata" - nel senso che si è cittadini dell'Unione soltanto se si è cittadini di uno degli Stati membri - ed è quindi complementare e aggiuntiva rispetto a quella nazionale. Si tratta in altri termini di un mero accessorio.

I diritti riconosciuti dai Trattati ai cittadini europei come tali sono limitati a pochi ambiti, sebbene importanti: il diritto alla libera circolazione e al soggiorno in tutti gli Stati membri; il diritto di voto attivo e passivo alle elezioni del Parlamento europeo e a quelle comunali nello Stato di residenza; il diritto di beneficiare in uno Stato terzo della protezione diplomatica o consolare di uno degli altri Stati membri nel caso in cui lo Stato di origine non sia rappresentato; il diritto di petizione al Parlamento europeo e quello di rivolgersi al Mediatore europeo.

Si consideri inoltre che i presupposti per l'attribuzione della cittadinanza variano profondamente da Stato a Stato e che i diritti riconosciuti dalle singole Costituzioni e legislazioni nazionali ai rispettivi cittadini sono fortemente differenziati.

Non c'è alcuna armonizzazione e non esistono standard comuni, soprattutto in ambito economico e sociale.

C'è poi un altro aspetto molto critico: la disciplina giuridica attuale della cittadinanza europea differenzia nettamente lo status dei cittadini degli Stati membri da quello delle persone di nazionalità non europea.

Si ignora cioè completamente il problema dell'integrazione europea dei cittadini extraeuropei, nei cui confronti si applicano esclusivamente le disposizioni costituzionali e legislative nazionali.

E così mentre alcuni Paesi prevedono misure che agevolano l'inserimento politico e l'integrazione effettiva dei migranti, mediante il diritto di voto attivo e passivo nelle elezioni locali e tempi e procedure certe per il conseguimento della cittadinanza, in altri il percorso previsto rende estremamente difficile tale risultato, essendo ancora ispirato rigorosamente allo ius sanguinis o a criteri discrezionali.

Ne risulta un'evidente sfasatura, nell'impostazione dei Trattati, tra la previsione di una armonizzazione - sia pure ancora parziale - della politica dei visti e dell'asilo e l'affidamento in toto ai singoli Stati membri delle regole relative alla acquisizione della cittadinanza.

E' una visione antistorica che sembra ignorare la trasformazione delle nostre società da comunità tendenzialmente omogenee a realtà, di fatto, composite e multietniche!

Sul piano più strettamente politico, nei Trattati si stabilisce che i cittadini europei sono direttamente rappresentati, a livello dell'Unione, nel Parlamento europeo e che ogni cittadino ha il diritto di partecipare alla vita democratica dell'Unione.

Si ribadisce che le decisioni sono prese nella maniera più possibile aperta e vicina ai cittadini - anche attraverso il ricorso alle consultazioni pubbliche - e si riconosce , ad un milione di cittadini collettivamente il diritto di attivare uno strumento, la Citizen Initiative, per invitare direttamente la Commissione europea ad adottare atti giuridici dell'UE.

Ma in concreto il funzionamento di questi due canali democratici trova forti limitazioni nelle procedure vigenti.

Mi limito a ricordare che il voto per il Parlamento europeo, in assenza di una procedura elettorale uniforme, avviene sulla base delle singole legislazioni nazionali, e quindi di liste presentate nei singoli Stati membri. Ne consegue che i parlamentari europei siano considerati, nell'immaginario comune, come rappresentanti degli interessi del proprio paese e non di un popolo europeo!

Raramente, nelle campagne elettorali per il rinnovo del Parlamento europeo, si discute del presente e del futuro dell'Europa. Domina piuttosto la contesa politica nazionale, come se quelle elezioni fossero una sorta di test o di consultazioni di mid-term utili a saggiare lo stato di salute dei governi e delle forze politiche nazionali.

Questa visione distorta è ovviamente favorita dall'assenza di veri e propri partici politici europei, pur previsti nei Trattati e formalmente costituiti.

Quando ci sono passaggi critici nella vita dell'Unione, come è stato ad esempio nella discussione di qualche mese fa sulla Grecia, si fatica a rintracciare il punto di vista dei socialisti , dei popolari o dei liberali. Mentre risalta in primo piano soltanto la posizione dei singoli Stati e dei loro governi.

Come superare questi ostacoli e costruire una vera cittadinanza europea?

Penso che si possa partire da alcuni primi ma importanti interventi. Ne propongo cinque, già realizzabili in base ai trattati attuali.

Il primo è costituito dal riconoscimento del diritto ad un reddito minimo quale carattere identitario della cittadinanza europea.

Si tratta di affermare in concreto che nessun cittadino nell'Unione, in caso di necessità, viene lasciato solo, mettendo a disposizione risorse minime ma sufficienti a non fargli perdere la dignità.

Il reddito minimo potrebbe essere erogato - già a trattati vigenti - direttamente dal bilancio dell'Unione ai cittadini di tutti gli Stati membri, esonerando da tale onere i Paesi che già vi provvedono; le risorse necessarie sarebbero reperite attraverso un'apposita imposta su specifiche operazioni, come le transazioni finanziarie internazionali, o sulle attività inquinanti (una sorta di Carbon Tax europea).

Attraverso misure di questo tipo, i cittadini europei potrebbero apprezzare concretamente il valore aggiunto della cittadinanza comune. Cambierebbe dunque l'attuale percezione di un'Europa lontana e insensibile alle condizioni di vita e alle aspettative delle persone.

Un secondo ambito di rafforzamento della cittadinanza europea attiene alla sua dimensione politica.

Mi riferisco in particolare alle elezioni europee e all'esigenza di una procedura elettorale uniforme che preveda l'elezione dei parlamentari europei in base a liste transnazionali, identiche per tutti i Paesi.

In tal modo, i membri del Parlamento europeo sarebbero almeno in parte espressione del popolo europeo nel suo complesso e non potrebbero essere intesi semplicemente quali tutori di interessi nazionali contrapposti.

Il terzo campo nel quale si potrebbe dare slancio al concetto di cittadinanza europea è strettamente connesso al precedente. Mi riferisco al rafforzamento del ruolo dei partiti e dei movimenti politici europei, per far sì che nella formazione delle decisioni comunitarie, in luogo delle logiche meramente nazionali, si confrontino tra loro diverse visioni dell'economia, della società e della politica.

La designazione di candidati alla presidenza della Commissione che c'è stata per la prima volta in occasione delle ultime elezioni europee, - che ha portato poi alla nomina di Juncker - è un passo importante in questa direzione.

Occorre ora che i partiti politici sappiano promuovere un reale dibattito pubblico europeo che non sia funzionale alle varie scadenze elettorali nazionali ma rifletta la dialettica tra le varie visioni sui temi da affrontare e le decisioni da assumere in seno alle Istituzioni comunitarie.

Un quarto intervento potrebbe essere costituito da un ricorso più intenso all'istituto della iniziativa legislativa da parte dei cittadini.

Sinora 6 milioni di cittadini dell'UE hanno sostenuto 51 richieste di avvio di iniziative; soltanto tre, tuttavia, sono state dichiarate ricevibili.

Per promuovere e rendere più efficace questo istituto occorre innanzitutto che i cittadini sappiano della sua esistenza, e siano incoraggiati a parteciparvi attivamente.

E si potrebbero poi semplificare alcuni adempimenti richiesti per la raccolta e la certificazione delle firme, come proposto dal Parlamento europeo.

Ma occorre soprattutto che la Commissione valuti con maggiore attenzione quali seguiti dare alle iniziative che raggiungano il numero di firme richiesto , per evitare che la spinta dei cittadini alla partecipazione venga frustrata e delusa.

Un quinto ma non meno importante ambito di azione consiste nel promuovere un sentimento di identità e di appartenenza europea, mediante iniziative specifiche, campagne di comunicazione ed altre iniziative organizzate dalle Istituzioni nazionali ed europee nonché dalla società civile.

Per questo ho voluto che alla Camera, in occasione di eventi aperti al pubblico, come le domeniche di Montecitorio a porte aperte o il Concerto natalizio, si esegua oltre all'inno nazionale anche quello europeo. E' sempre con questo fine che ho promosso l'organizzazione alla Camera di eventi sull'Europa destinati soprattutto alle scuole e alle università.

Credo più in generale che sarebbe utile un programma straordinario di educazione civica europea per gli studenti italiani. E mi domando se non sia opportuno integrare l'articolo 12 della nostra Costituzione, dedicato alla bandiera della Repubblica, con la menzione di quella europea e magari di citare nello stesso articolo l'Inno di Mameli insieme all'Inno alla Gioia di Beethoven.

Signore e Signori, ritengo che sia giunto il momento di compiere un coraggioso salto in avanti ridando slancio al progetto cui diedero il via, settant'anni fa, i padri - e le madri - fondatori. Lo potremo fare solo agendo con e per i cittadini. Le proposte che ho voluto avanzare in questa importante occasione, si muovono in questa direzione. L'unica direzione che potrà offrire un futuro prospero e di pace ai nostri figli.

Vi ringrazio.