Intervento della Presidente della Camera dei deputati in occasione del 219° anniversario del primo tricolore
Buon giorno a tutte e a tutti. Saluto il Ministro Graziano Delrio, il Sindaco Luca Vecchi, il Presidente della Provincia Giammaria Manghi, il Presidente della Regione Stefano Bonaccini, i parlamentari e tutte le autorità presenti.
Saluto i cittadini e le cittadine che partecipano così numerosi a questo incontro e in particolare gli insegnanti e le ragazze e i ragazzi, perché queste iniziative di celebrazione hanno un senso se sfuggono alla mera retorica rievocativa e se riescono a trasmettere alle nuove generazioni valori e principi necessari ad orientarsi nel mondo attuale.
Oggi, mentre celebriamo la nostra bandiera nazionale, io vorrei proporvi una riflessione critica nei confronti dei nazionalismi e delle loro derive più estreme. Perché il nazionalismo è, al suo fondo, basato sull'idea di una presunta superiorità morale e culturale della propria nazione, tanto da poter a volte giustificare politiche aggressive e non rispettose dei diritti degli altri popoli.
Questo nazionalismo radicale oltre ad essere nell'epoca attuale del tutto antistorico, è stato spesso caratterizzato da culture e pratiche illiberali, autoritarie, discriminatorie.
Una prova possiamo trovarla anche nella storia recente, nel conflitto balcanico - dove ho a più riprese lavorato nella mia precedente attività nelle Agenzie delle Nazioni Unite - un conflitto che si sviluppò appunto sulla scia di forti spinte nazionaliste.
Il Risorgimento italiano che rivendicava un'idea di nazione, lo faceva invece con una forte impronta democratica. Dalla spinta della Rivoluzione francese presero vita le repubbliche "giacobine", prima fra tutte proprio la Cispadana.
Il Tricolore nacque ufficialmente qui a Reggio Emilia nel 1797 in un'aula parlamentare, quella del Congresso cispadano. E questo fatto sottolinea l'importanza della sovranità popolare e della democrazia rappresentativa nel processo di unificazione nazionale dell'Italia.
Il Tricolore è quindi una bandiera di popolo e un "vessillo di libertà", come ricordò giustamente il Presidente Carlo Azeglio Ciampi.
Il fascismo ne fece strumentalmente un largo uso ma, dando vita ad un regime dittatoriale e asservendo il nostro paese ad una potenza straniera, smentì platealmente le radici ideali democratiche di quella bandiera. Toccò poi alla Resistenza riscattare la dignità e l'onore dell'Italia.
Sia ben chiaro : rifiutare queste logiche nazionaliste non significa, in alcun modo, che la politica e le istituzioni non debbano avere a cuore gli interessi dell'Italia e degli italiani. Anzi, vuol dire il contrario.
Ma come si fa al giorno d'oggi, ragazze e ragazzi, ad onorare la bandiera nazionale e tutelare gli interessi del nostro paese ? Questa è la domanda che dobbiamo porci.
Tutelare l'interesse del nostro paese significa, a mio avviso, l'esatto contrario di una chiusura nazionalistica e provinciale che ci taglierebbe fuori da ogni prospettiva di avanzamento.
Tutelare gli interessi del nostro paese significa costruire ponti, non alzare muri. Significa essere autorevoli e per influenzare le politiche e le scelte che vengono fatte a livello europeo ed internazionale.
Mi spiego. Noi viviamo nel tempo della globalizzazione: gli scambi commerciali, i grandi flussi finanziari, la diffusione delle informazioni travalicano di gran lunga le frontiere dei singoli paesi.
Ed è del tutto naturale, in questo contesto, che anche gli esseri umani si spostino, soprattutto se minacciati e colpiti da guerre e persecuzioni, che cerchino altrove la sicurezza che non possono avere nel loro paese.
I trattati internazionali, così come l'articolo 10 della nostra Costituzione, stabiliscono che dobbiamo accogliere chi ha bisogno di protezione. Ma ce lo dice soprattutto la nostra coscienza di persone democratiche e il nostro senso di umanità.
Ecco allora la mia domanda : in un'epoca in cui gli spostamenti di capitali, di merci, di informazioni, di persone non conoscono confini, come si può pretendere che ogni paese riesca da solo a risolvere i propri problemi e a costruire un futuro di crescita e di progresso?
Nessuno dei temi che interessano le società moderne può essere affrontato dentro i confini di un solo paese. Nessuno.
Penso alla lotta al terrorismo, agli effetti del riscaldamento climatico, alle politiche energetiche, ai diritti e ai doveri di chi naviga su Internet, al controllo dei grandi flussi finanziari, alle politiche dell'asilo e dell'immigrazione.
Ma penso anche alle politiche del lavoro, se è vero, come è vero, che una sequela selvaggia e senza regole di delocalizzazioni all'estero di aziende ha lasciato famiglie senza reddito e territori senza più insediamenti produttivi.
Tutto si sposta e tutto è in movimento, e per questo è indispensabile rivedere gli assetti e non restare ancorati alle vecchie certezze.
Servono allora istituzioni sovranazionali autorevoli, democratiche e capaci di decidere. Altrimenti succede che sono i più deboli a rimetterci, perché loro necessitano di protezioni e garanzie nei confronti dei detentori di grandi ricchezze, i quali invece fanno volentieri a meno del vincolo pubblico.
Ecco perché insisto tanto sul futuro dell'Unione Europea e sulla necessità di una sua più forte integrazione politica.
In molti ormai dicono, e io sono d'accordo con loro, che bisogna lasciarsi alle spalle quelle politiche di austerità che hanno dominato il panorama europeo negli ultimi anni causando sacrifici e tanta sofferenza tra le persone.
Dicono che bisogna puntare sulla crescita, sul sostegno ai redditi più bassi e sulla creazione di nuovi posti di lavoro. E che per fare questo servono investimenti pubblici e privati.
Bene. Ma se l'Europa si riduce soltanto ad un'area di libero scambio economico questo non avverrà mai, perché la logica spontanea del mercato non è in grado di ridurre le diseguaglianze e di correggere le sue stesse storture. Serve allora la politica.
E serve più Europa politica per avere più Europa sociale.
Lo dico soprattutto dal punto di vista del nostro interesse nazionale. Nessun paese europeo, neanche la Germania, può competere da solo con i giganti dell'economia mondiale. Mentre potrebbe farlo l'Europa, se fosse davvero unita, e l'Europa sarebbe in grado di vincere molte sfide e essere una protagonista di primo piano sulla scena internazionale.
Ne abbiamo avuto una prova nel recente vertice di Parigi sul clima. Si sono raggiunti risultati importanti. Il mondo intero si è messo in moto sottoscrivendo accordi ambiziosi e vincolanti.
Ma questo non sarebbe avvenuto senza la spinta da un lato del Presidente Obama e dall'altro dell'Unione Europea, che si è presentata finalmente unita e determinata a concludere con successo la Conferenza.
Quando l'Europa è unita detta, insieme ad altri, l'agenda del mondo.
Quando è divisa rischia l'irrilevanza e ogni suo paese membro è più debole e più solo.
La prospettiva alla quale bisogna guardare è quella degli Stati Uniti d'Europa. Il percorso di costruzione di questa prospettiva deve coinvolgere i cittadini ed essere pienamente democratico. I Parlamenti e non solo i governi devono esserne protagonisti.
Ma il tempo stringe. Bisogna agire subito perché l'Europa è a un bivio : o si va avanti con l'integrazione politica e con una svolta nelle politiche sociali oppure l'avranno vinta le tendenze alla disgregazione e i rigurgiti nazionalisti.
Convinta di questo ho preso l'iniziativa. L'estate scorsa, quando le cronache ci raccontavano la morte quasi quotidiana di uomini, donne e bambini annegati nel nostro Mediterraneo alla ricerca di una vita sicura in Europa - quest'anno sono oltre 3.700, più dell'anno precedente - quando i giornali erano pieni di analisi sulla crisi greca e si discuteva se espellere o meno la Grecia dall'eurozona, decisi che non potevo rimanere inerte.
Cominciai chiamando il Presidente del Parlamento lussemburghese in quanto Paese che deteneva la Presidenza del Consiglio dell'UE. Gli parlai dell'esigenza di fare qualcosa di utile per la nostra Europa e gli proposi di lavorare insieme ad una dichiarazione con cui rilanciare il processo di integrazione politica attraverso la condivisione di sovranità e maggiore attenzione alle questioni sociali.
Accettò con entusiasmo, come fece anche il Presidente Bartolone dell'Assemblea nazionale francese. Con meno speranze di ricevere una risposta positiva, contattai il Presidente del Bundestag, Lammert. La sua reazione fu, invece, di piena condivisione.
A New York, in occasione della Conferenza mondiale dei Presidenti di Parlamento, mettemmo a punto il testo. Un risultato non scontato, date le differenze di vedute tra i nostri rispettivi Paesi e le diverse famiglie politiche di appartenenza.
Meno di due mesi dopo, il 14 settembre scorso, ci riunimmo a Roma, alla Camera dei deputati, davanti a tanti ragazzi dell'ERASMUS, la generazione dei nuovi europei, per sottoscrivere la Dichiarazione "Più integrazione europea : la strada da percorrere ", in cui riaffermavamo la necessità di puntare ad una Unione federale di Stati.
Sono stata a Bruxelles il 7 e l'8 Dicembre e ho illustrato la Dichiarazione ai vertici dell'Unione Europea, al Presidente del Parlamento europeo Martin Schulz e al Presidente della Commissione Jean Claude Junker, i quali hanno accolto con grande interesse e favore questa iniziativa, in un momento in cui invece tante voci si levano contro il progetto europeo.
Nel frattempo è cresciuto il numero dei Presidenti di Parlamento che hanno firmato la dichiarazione. Ora sono dieci e altri hanno già preannunciato la loro adesione.
Ho deciso inoltre di promuovere una consultazione pubblica, attraverso una piattaforma digitale, sui contenuti della dichiarazione per stimolare il coinvolgimento e la partecipazione di quante più persone possibili, perché l'Europa di cui c'è bisogno, un'Europa 2.0, è l' Europa dei cittadini e non solo delle istituzioni.
Conto sul fatto che anche i miei altri colleghi promuovano analoghe iniziative di consultazione e che lo stesso facciano anche le istituzioni europee.
A Maggio in Lussemburgoci sarà l'incontro di tutti i Presidenti dei Parlamenti d'Europa e la Dichiarazione sarà oggetto del confronto.
Io penso, care ragazze e cari ragazzi, che realizzare gli Stati Uniti d'Europa sia il modo migliore anche per completare il sogno di quei vostri coetanei che furono i protagonisti del Risorgimento, i quali avevano ben chiaro che gli italiani dovessero costruire una nazione anche per partecipare al progresso civile del continente europeo. Giuseppe Mazzini fondò due associazioni politiche: la Giovine Italia e la Giovine Europa.
In coerenza con questa tradizione storica il Parlamento italiano decise, nel 1998, di abbinare al Tricolore la bandiera europea in tutti i luoghi e le manifestazioni ufficiali.
Mi domando se non sia opportuno integrare l'articolo 12 della nostra Costituzione, dedicato alla bandiera della Repubblica, con la menzione di quella europea e magari di citare nello stesso articolo l'Inno di Mameli insieme all'Inno alla Gioia di Beethoven.
Sarebbe il riconoscimento del fatto che il percorso costituente in senso federalista europeo fa parte del DNA della nostra storia unitaria e che questo rappresenta la sola garanzia di progresso della nostra società.
La Festa del Tricolore inaugura un anno importante per la nostra memoria storica, perché ricorre il settantesimo anniversario della nascita della Repubblica italiana.
Il 2 giugno 1946 il popolo italiano sceglieva la democrazia repubblicana.
La Repubblica, per essere celebrata al meglio, ha bisogno non tanto di cerimonie quanto di azioni concrete, e penso a due cose che sarebbe davvero significativo si realizzassero proprio in questa ricorrenza.
Un programma straordinario di educazione civica sull'Europaper gli studenti e l'approvazione della legge sulla cittadinanza, e cioè dei nuovi criteri attraverso i quali si può diventare cittadini della Repubblica italiana.
Sarebbe un messaggio di grande importanza: è l'Italia che diventa sempre più europea. L'Italia che da riconoscimento ai nuovi cittadini anch'essi protagonisti del suo futuro. Cittadini che porteranno avanti la storia di una nazione che si riconosce nel Tricolore come simbolo di pace, di fratellanza e di libertà.
Intervento della Presidente della Camera dei deputati in occasione del 219° anniversario del primo tricolore
Buon giorno a tutte e a tutti. Saluto il Ministro Graziano Delrio, il Sindaco Luca Vecchi, il Presidente della Provincia Giammaria Manghi, il Presidente della Regione Stefano Bonaccini, i parlamentari e tutte le autorità presenti.
Saluto i cittadini e le cittadine che partecipano così numerosi a questo incontro e in particolare gli insegnanti e le ragazze e i ragazzi, perché queste iniziative di celebrazione hanno un senso se sfuggono alla mera retorica rievocativa e se riescono a trasmettere alle nuove generazioni valori e principi necessari ad orientarsi nel mondo attuale.
Oggi, mentre celebriamo la nostra bandiera nazionale, io vorrei proporvi una riflessione critica nei confronti dei nazionalismi e delle loro derive più estreme. Perché il nazionalismo è, al suo fondo, basato sull'idea di una presunta superiorità morale e culturale della propria nazione, tanto da poter a volte giustificare politiche aggressive e non rispettose dei diritti degli altri popoli.
Questo nazionalismo radicale oltre ad essere nell'epoca attuale del tutto antistorico, è stato spesso caratterizzato da culture e pratiche illiberali, autoritarie, discriminatorie.
Una prova possiamo trovarla anche nella storia recente, nel conflitto balcanico - dove ho a più riprese lavorato nella mia precedente attività nelle Agenzie delle Nazioni Unite - un conflitto che si sviluppò appunto sulla scia di forti spinte nazionaliste.
Il Risorgimento italiano che rivendicava un'idea di nazione, lo faceva invece con una forte impronta democratica. Dalla spinta della Rivoluzione francese presero vita le repubbliche "giacobine", prima fra tutte proprio la Cispadana.
Il Tricolore nacque ufficialmente qui a Reggio Emilia nel 1797 in un'aula parlamentare, quella del Congresso cispadano. E questo fatto sottolinea l'importanza della sovranità popolare e della democrazia rappresentativa nel processo di unificazione nazionale dell'Italia.
Il Tricolore è quindi una bandiera di popolo e un "vessillo di libertà", come ricordò giustamente il Presidente Carlo Azeglio Ciampi.
Il fascismo ne fece strumentalmente un largo uso ma, dando vita ad un regime dittatoriale e asservendo il nostro paese ad una potenza straniera, smentì platealmente le radici ideali democratiche di quella bandiera. Toccò poi alla Resistenza riscattare la dignità e l'onore dell'Italia.
Sia ben chiaro : rifiutare queste logiche nazionaliste non significa, in alcun modo, che la politica e le istituzioni non debbano avere a cuore gli interessi dell'Italia e degli italiani. Anzi, vuol dire il contrario.
Ma come si fa al giorno d'oggi, ragazze e ragazzi, ad onorare la bandiera nazionale e tutelare gli interessi del nostro paese ? Questa è la domanda che dobbiamo porci.
Tutelare l'interesse del nostro paese significa, a mio avviso, l'esatto contrario di una chiusura nazionalistica e provinciale che ci taglierebbe fuori da ogni prospettiva di avanzamento.
Tutelare gli interessi del nostro paese significa costruire ponti, non alzare muri. Significa essere autorevoli e per influenzare le politiche e le scelte che vengono fatte a livello europeo ed internazionale.
Mi spiego. Noi viviamo nel tempo della globalizzazione: gli scambi commerciali, i grandi flussi finanziari, la diffusione delle informazioni travalicano di gran lunga le frontiere dei singoli paesi.
Ed è del tutto naturale, in questo contesto, che anche gli esseri umani si spostino, soprattutto se minacciati e colpiti da guerre e persecuzioni, che cerchino altrove la sicurezza che non possono avere nel loro paese.
I trattati internazionali, così come l'articolo 10 della nostra Costituzione, stabiliscono che dobbiamo accogliere chi ha bisogno di protezione. Ma ce lo dice soprattutto la nostra coscienza di persone democratiche e il nostro senso di umanità.
Ecco allora la mia domanda : in un'epoca in cui gli spostamenti di capitali, di merci, di informazioni, di persone non conoscono confini, come si può pretendere che ogni paese riesca da solo a risolvere i propri problemi e a costruire un futuro di crescita e di progresso?
Nessuno dei temi che interessano le società moderne può essere affrontato dentro i confini di un solo paese. Nessuno.
Penso alla lotta al terrorismo, agli effetti del riscaldamento climatico, alle politiche energetiche, ai diritti e ai doveri di chi naviga su Internet, al controllo dei grandi flussi finanziari, alle politiche dell'asilo e dell'immigrazione.
Ma penso anche alle politiche del lavoro, se è vero, come è vero, che una sequela selvaggia e senza regole di delocalizzazioni all'estero di aziende ha lasciato famiglie senza reddito e territori senza più insediamenti produttivi.
Tutto si sposta e tutto è in movimento, e per questo è indispensabile rivedere gli assetti e non restare ancorati alle vecchie certezze.
Servono allora istituzioni sovranazionali autorevoli, democratiche e capaci di decidere. Altrimenti succede che sono i più deboli a rimetterci, perché loro necessitano di protezioni e garanzie nei confronti dei detentori di grandi ricchezze, i quali invece fanno volentieri a meno del vincolo pubblico.
Ecco perché insisto tanto sul futuro dell'Unione Europea e sulla necessità di una sua più forte integrazione politica.
In molti ormai dicono, e io sono d'accordo con loro, che bisogna lasciarsi alle spalle quelle politiche di austerità che hanno dominato il panorama europeo negli ultimi anni causando sacrifici e tanta sofferenza tra le persone.
Dicono che bisogna puntare sulla crescita, sul sostegno ai redditi più bassi e sulla creazione di nuovi posti di lavoro. E che per fare questo servono investimenti pubblici e privati.
Bene. Ma se l'Europa si riduce soltanto ad un'area di libero scambio economico questo non avverrà mai, perché la logica spontanea del mercato non è in grado di ridurre le diseguaglianze e di correggere le sue stesse storture. Serve allora la politica.
E serve più Europa politica per avere più Europa sociale.
Lo dico soprattutto dal punto di vista del nostro interesse nazionale. Nessun paese europeo, neanche la Germania, può competere da solo con i giganti dell'economia mondiale. Mentre potrebbe farlo l'Europa, se fosse davvero unita, e l'Europa sarebbe in grado di vincere molte sfide e essere una protagonista di primo piano sulla scena internazionale.
Ne abbiamo avuto una prova nel recente vertice di Parigi sul clima. Si sono raggiunti risultati importanti. Il mondo intero si è messo in moto sottoscrivendo accordi ambiziosi e vincolanti.
Ma questo non sarebbe avvenuto senza la spinta da un lato del Presidente Obama e dall'altro dell'Unione Europea, che si è presentata finalmente unita e determinata a concludere con successo la Conferenza.
Quando l'Europa è unita detta, insieme ad altri, l'agenda del mondo.
Quando è divisa rischia l'irrilevanza e ogni suo paese membro è più debole e più solo.
La prospettiva alla quale bisogna guardare è quella degli Stati Uniti d'Europa. Il percorso di costruzione di questa prospettiva deve coinvolgere i cittadini ed essere pienamente democratico. I Parlamenti e non solo i governi devono esserne protagonisti.
Ma il tempo stringe. Bisogna agire subito perché l'Europa è a un bivio : o si va avanti con l'integrazione politica e con una svolta nelle politiche sociali oppure l'avranno vinta le tendenze alla disgregazione e i rigurgiti nazionalisti.
Convinta di questo ho preso l'iniziativa. L'estate scorsa, quando le cronache ci raccontavano la morte quasi quotidiana di uomini, donne e bambini annegati nel nostro Mediterraneo alla ricerca di una vita sicura in Europa - quest'anno sono oltre 3.700, più dell'anno precedente - quando i giornali erano pieni di analisi sulla crisi greca e si discuteva se espellere o meno la Grecia dall'eurozona, decisi che non potevo rimanere inerte.
Cominciai chiamando il Presidente del Parlamento lussemburghese in quanto Paese che deteneva la Presidenza del Consiglio dell'UE. Gli parlai dell'esigenza di fare qualcosa di utile per la nostra Europa e gli proposi di lavorare insieme ad una dichiarazione con cui rilanciare il processo di integrazione politica attraverso la condivisione di sovranità e maggiore attenzione alle questioni sociali.
Accettò con entusiasmo, come fece anche il Presidente Bartolone dell'Assemblea nazionale francese. Con meno speranze di ricevere una risposta positiva, contattai il Presidente del Bundestag, Lammert. La sua reazione fu, invece, di piena condivisione.
A New York, in occasione della Conferenza mondiale dei Presidenti di Parlamento, mettemmo a punto il testo. Un risultato non scontato, date le differenze di vedute tra i nostri rispettivi Paesi e le diverse famiglie politiche di appartenenza.
Meno di due mesi dopo, il 14 settembre scorso, ci riunimmo a Roma, alla Camera dei deputati, davanti a tanti ragazzi dell'ERASMUS, la generazione dei nuovi europei, per sottoscrivere la Dichiarazione "Più integrazione europea : la strada da percorrere ", in cui riaffermavamo la necessità di puntare ad una Unione federale di Stati.
Sono stata a Bruxelles il 7 e l'8 Dicembre e ho illustrato la Dichiarazione ai vertici dell'Unione Europea, al Presidente del Parlamento europeo Martin Schulz e al Presidente della Commissione Jean Claude Junker, i quali hanno accolto con grande interesse e favore questa iniziativa, in un momento in cui invece tante voci si levano contro il progetto europeo.
Nel frattempo è cresciuto il numero dei Presidenti di Parlamento che hanno firmato la dichiarazione. Ora sono dieci e altri hanno già preannunciato la loro adesione.
Ho deciso inoltre di promuovere una consultazione pubblica, attraverso una piattaforma digitale, sui contenuti della dichiarazione per stimolare il coinvolgimento e la partecipazione di quante più persone possibili, perché l'Europa di cui c'è bisogno, un'Europa 2.0, è l' Europa dei cittadini e non solo delle istituzioni.
Conto sul fatto che anche i miei altri colleghi promuovano analoghe iniziative di consultazione e che lo stesso facciano anche le istituzioni europee.
A Maggio in Lussemburgo ci sarà l'incontro di tutti i Presidenti dei Parlamenti d'Europa e la Dichiarazione sarà oggetto del confronto.
Io penso, care ragazze e cari ragazzi, che realizzare gli Stati Uniti d'Europa sia il modo migliore anche per completare il sogno di quei vostri coetanei che furono i protagonisti del Risorgimento, i quali avevano ben chiaro che gli italiani dovessero costruire una nazione anche per partecipare al progresso civile del continente europeo. Giuseppe Mazzini fondò due associazioni politiche: la Giovine Italia e la Giovine Europa.
In coerenza con questa tradizione storica il Parlamento italiano decise, nel 1998, di abbinare al Tricolore la bandiera europea in tutti i luoghi e le manifestazioni ufficiali.
Mi domando se non sia opportuno integrare l'articolo 12 della nostra Costituzione, dedicato alla bandiera della Repubblica, con la menzione di quella europea e magari di citare nello stesso articolo l'Inno di Mameli insieme all'Inno alla Gioia di Beethoven.
Sarebbe il riconoscimento del fatto che il percorso costituente in senso federalista europeo fa parte del DNA della nostra storia unitaria e che questo rappresenta la sola garanzia di progresso della nostra società.
La Festa del Tricolore inaugura un anno importante per la nostra memoria storica, perché ricorre il settantesimo anniversario della nascita della Repubblica italiana.
Il 2 giugno 1946 il popolo italiano sceglieva la democrazia repubblicana.
La Repubblica, per essere celebrata al meglio, ha bisogno non tanto di cerimonie quanto di azioni concrete, e penso a due cose che sarebbe davvero significativo si realizzassero proprio in questa ricorrenza.
Un programma straordinario di educazione civica sull'Europa per gli studenti e l'approvazione della legge sulla cittadinanza, e cioè dei nuovi criteri attraverso i quali si può diventare cittadini della Repubblica italiana.
Sarebbe un messaggio di grande importanza: è l'Italia che diventa sempre più europea. L'Italia che da riconoscimento ai nuovi cittadini anch'essi protagonisti del suo futuro. Cittadini che porteranno avanti la storia di una nazione che si riconosce nel Tricolore come simbolo di pace, di fratellanza e di libertà.