17/06/2015
Montecitorio, Sala del Cavaliere

Saluto introduttivo alla cerimonia di assegnazione del Premio Internazionale 'Alexander Langer 2015' all'Associazione 'Adopt Srebrenica'

Buon pomeriggio a tutte e a tutti,

parlare dopo il video appena visto non è semplice. Ringrazio la signora Malcontenti Langer di essere qui e di aver accettato il nostro invito. Ringrazio i rappresentanti dell'Associazione 'Adopt Srebrenica', che hanno vinto questo Premio, e mi fa particolarmente piacere sapere che sono loro ad averlo vinto. Ringrazio la Vice Presidente Sereni, che si è adoperata per l'organizzazione di questo incontro, e le deputate Valente e Pes. Questo, infatti, è un Premio che per tradizione viene organizzato dalle deputate dell'Ufficio di Presidenza.

Quest'anno cade il ventesimo anniversario della scomparsa di Alexander Langer, e anche il ventesimo anniversario della strage di Srebrenica. Di Langer mi hanno parlato tutti. Ringrazio il deputato Boato per avermi fatto dono di un libro su Alexander. Me ne parlano tutti come di un uomo di pace, di visione, una persona che tanto si è adoperata nelle sue attività istituzionali per riuscire a bloccare, a limitare, a fare in modo che ci fosse una svolta in quello che accadeva nella ex Jugoslavia. Un uomo che si era impegnato tenacemente negli anni Novanta per questo scopo. Quelli - permettetemi una nota personale - erano gli stessi anni in cui lavoravo negli organismi internazionali, e in particolare nel World Food Programme, il Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite, che era l'organizzazione che consentiva la sopravvivenza alimentare alle popolazioni della ex Jugoslavia, e in particolare a quelle della Bosnia. Ci fu un grande sforzo umanitario, e probabilmente il ponte aereo che le Nazioni Unite organizzarono da Ancona su Sarajevo è stato lo strumento più efficace per la sopravvivenza di un'intera città: il ponte aereo più lungo della storia, ancora più lungo di quello di Berlino.

In quegli anni sono stata molte volte in Bosnia, per missioni il cui obiettivo era quello di aiutare i colleghi che erano sul posto, dare loro il cambio, e continuare questo sforzo umanitario, sforzo materiale, ma anche sforzo di denuncia di quello che stava accadendo. Purtroppo non sono state delle belle pagine, quelle delle Nazioni Unite, e Srebrenica è il luogo in cui c'è stato il più grande fallimento di quella operazione, e credo che quanto accaduto a Srebrenica sia una vergogna per tutta la comunità internazionale, e in particolar modo per chi in quel tempo era lì a proteggere e non ha protetto.

Si tratta del primo conflitto a matrice etnico-religiosa dopo la seconda guerra mondiale. Non avremmo mai voluto rivedere questo in Europa, e tutto questo, invece, è accaduto di nuovo, di fronte a casa nostra: io sono marchigiana, tornavo a casa, nelle Marche, raccontavo alle persone di famiglia, agli amici, quello che succedeva dall'altra parte dell'Adriatico, e c'era quasi paura di recepire questo, e quindi chiusura nei confronti dell'atrocità messa in atto sistematicamente in Bosnia. E venne coniata l'espressione 'pulizia etnica', un'espressione terrificante, frutto di un nazionalismo esasperato, per cui c'è la presunzione di superiorità, e il nemico deve essere annientato, non può più accettarsi l'idea della condivisione e della convivenza civile, di cui Srebrenica e altre città, come Sarajevo, erano simbolo. Tutto questo non era più accettato nella logica della sopraffazione: il disegno della pulizia etnica non concepiva il rispetto delle varie componenti.

L'11 luglio del 1995 arrivarono le truppe di Mladić, e quello che avvenne fu qualcosa che avevamo già visto, ma non con quella entità: la popolazione venne divisa, gli uomini, i ragazzi e i vecchi da una parte, le donne da un'altra. In pochi giorni, in una settimana, di fatto dall'11 al 18 luglio, circa 8.000 persone vennero prima prese, portate via alle loro famiglie, poi torturate, infine uccise, e buttate nelle fosse comuni. Le donne ebbero un'altra sorte: molte di loro vennero violentate in un modo feroce. Quando lavoravo all'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, più volte ho trovato testimonianze di disertori che raccontavano quello che erano costretti a fare, sistematicamente, sulle donne di Bosnia. Sono racconti terrificanti. Molte di loro fuggirono verso Tuzla, in mezzo ai boschi, e fu una fuga terribile. Questa pagina sicuramente non può essere dimenticata, perché noi dobbiamo trasferire la memoria di che cosa significhi cedere all'ultranazionalismo e alla soluzione finale. Per questo penso che in ogni parte d'Europa dobbiamo essere molto vigili, e dobbiamo sempre sottolineare l'importanza del saper rispettare tutte le minoranze, tutti i gruppi, perché nel momento in cui si sdogana la pari dignità non si sa dove questo può andare a finire. Mi vengono i brividi quando sento affermazioni di oggi, in cui verso le minoranze non si utilizza l'integrazione, l'inclusione, ma si auspicano altri metodi. Tutti noi abbiamo il dovere, invece, di alzare la voce rispetto a queste prospettive che ci vengono propinate.

L'ultima volta che sono stata a Sarajevo è stata nel 1998. Andai con un aereo militare e un gruppo di familiari sul monte Javor, per inaugurare una stele, laddove un aereo dell'Aeronautica Militare Italiana era stato abbattuto; dentro c'erano quattro uomini dell'Aeronautica. Andammo con i familiari a osservare un momento di raccoglimento su questa stele. Fra qualche settimana andrò a Sarajevo, al Parlamento, e sarà una vista molto importante: incontrerò le ONG che ancora continuano a lavorare tanto per l'integrazione degli sfollati, e poi andrò a Srebrenica, a rappresentare l'Italia alla cerimonia dedicata all'anniversario della strage.

Il Premio a 'Adopt Srebrenica' ci rende orgogliosi. Alexander sarebbe stato fiero di questo Premio, perché viene dato ad una Associazione che porta avanti un messaggio di riconciliazione.

Il post-conflitto, se possibile, è uno dei momenti più critici in una società che ha vissuto la guerra civile, perché riconciliarsi con chi ha ucciso i tuoi cari, o tuo figlio, con chi ha stuprato tua figlia, è qualcosa di veramente terrificante, è molto difficile, e se non se ne parla non se ne viene mai a capo. Questo l'ho visto anche in Ruanda, nella regione dei Grandi Laghi, dove il processo di pacificazione è passato attraverso un sistema di giustizia attraverso i tribunali popolari, i 'Gacaca', ma, di fatto, poco se ne è parlato, e molto è rimasto nell'anima delle persone. Fa bene, quindi 'Adopt Srebrenica' a usare questo stile, questa modalità di parlarne: non dimenticare rimuovendo, ma dimenticare dopo aver metabolizzato tutto questo, e averne fatto oggetto di discussione e di comprensione.

Sono molto contenta che questa cerimonia sia stata fatta qui, nella Camera dei deputati, e che sia la Camera stessa a sostenere questo Premio, che mi auguro possa essere motivo di riflessione. La Camera organizzerà anche un incontro con la comunità bosniaca, il 9 luglio: ospiteremo, su richiesta della stessa comunità, un momento di ricordo di quanto accaduto. Pochi giorni dopo, andrò io a Srebrenica.

Vi ringrazio, e spero che possiamo continuare insieme questo impegno.