08/02/2016
Montecitorio, Sala della Regina

Saluto in apertura della Conferenza dei Presidenti dei Gruppi progressisti dei Parlamenti nazionali dell'Unione europea, 'L'Europa di fronte alle sfide del futuro. Il ruolo dei Parlamenti nazionali

Buongiorno a tutte e a tutti. Ringrazio la deputata Laura Garavini, saluto il Presidente Sergei Stanišev, il Presidente e amico Gianni Pittella, il Presidente Ettore Rosato che ringrazio dell'invito, la Vice Presidente Marina Sereni, la Vice Presidente del Senato Valeria Fedeli, i Presidenti ed i rappresentanti dei Gruppi progressisti dei Parlamenti di oltre venti Paesi dell'UE, che sono qui con noi oggi. Ritengo molto importante, soprattutto in una fase critica come quella attuale, che le famiglie politiche europee si riuniscano e discutano della linea da tenere sulle principali questioni dell'agenda politica europea e globale. Iniziative come quella odierna vanno nella direzione di colmare un vuoto grave ed evidente: quello di una politica realmente europea. Una politica europea che scaturisca anche da un dibattito pubblico europeo e che sfoci dunque in una vera democrazia europea.

Sinora, quando ci sono stati passaggi critici nella vita dell'Unione - penso ad esempio alla discussione di qualche mese fa sulla Grecia - è stato difficile rintracciare un punto di vista chiaro ed unitario di ciascuna delle forze politiche europee. Ciò che è emerso maggiormente sono state le posizioni dei singoli Stati e dei loro governi, o di gruppi di Paesi affini geograficamente o culturalmente.

Persino nelle ultime campagne elettorali per il rinnovo del Parlamento europeo, si è discusso essenzialmente di politica interna, come se quelle elezioni fossero una sorta di test o di consultazioni di mid term utili per appurare il consenso di cui godevano i governi e le forze politiche nazionali. Dobbiamo riconoscerlo: le logiche nazionali attualmente condizionano troppo e spesso bloccano le decisioni europee. Questo non avviene soltanto al Consiglio europeo ed al Consiglio, ma persino all'interno del Parlamento europeo! I parlamentari europei sono considerati dagli elettori come rappresentanti degli interessi del proprio Paese e non dell'intero popolo europeo, come ribadito invece dal Trattato di Lisbona.

I partiti europei si sono divisi al loro interno su quasi tutte le grandi questioni globali cui dobbiamo far fronte: dal terrorismo - dove, ad esempio, ci si è divisi tra fautori di una sorveglianza più stretta sulle comunicazioni dei cittadini e difensori del diritto alla riservatezza - al cambiamento climatico, che ha visto contrapposti gruppi vicini alle industrie più inquinanti ed altri che si battono per una riconversione del nostro modello produttivo. Queste divisioni hanno attraversato tutte le famiglie politiche : sulla politica estera, sui rapporti con la Russia; nel campo della politica economica, sulla necessità di riequilibrare le politiche di rigore, puntando sulla crescita; sul tema delle migrazioni.

Il 2015, l'anno della crisi

§ I temi che ho citato sono entrati prepotentemente nel dibattito pubblico nel 2015. L'anno del grande flusso silenzioso di centinaia di migliaia di persone dirette verso il cuore dell'Europa e l'anno delle più grandi difficoltà dell'Unione Europea. L'anno in cui il governo di un Paese importante, il Regno Unito, ha annunciato che a breve consulterà i cittadini per sapere se vogliono rimanere nell'UE o no. L'anno che si è aperto e si è chiuso con le minacce di espulsione di uno Stato membro dall'Eurozona, uno Stato membro colpevole - secondo alcuni governi - di non aver attuato fino in fondo le politiche di austerità che hanno impoverito milioni ci persone e minato la tenuta sociale. Colpevole, più di recente, di non aver saputo "controllare", "gestire" la frontiera esterna dell'UE.

Se la Grecia fosse aiutata e se in Europa ognuno facesse la propria parte, non ci sarebbe una crisi dei rifugiati, perché i numeri, divisi tra 28 Paesi anziché tra una manciata di essi, sarebbero del tutto gestibili. Ricordiamoci, infatti, che molti dei funzionari degli altri Stati richiesti da FRONTEX e dall'EASO per assistere nell'identificazione dei migranti non sono mai arrivati sulle isole greche e che, soprattutto, anche qualora la Grecia - e l'Italia - identificassero tutti i migranti in arrivo, il meccanismo del 'ricollocamento', del 'relocation', rimane inceppato perché altri Paesi non stanno accogliendo il numero di persone stabilito. Permettetemi di dirlo: la Grecia, a mio avviso, nel rifiutarsi di chiudere le porte a chi fugge da guerre e violenze e nel ricevere da più di un anno circa 2.500 persone al giorno, non ha minato le fondamenta dell'Unione, come dice qualcuno. Non ha messo in pericolo la libera circolazione e l'Accordo di Schengen. Al contrario la Grecia ha fatto quello che il diritto internazionale e comunitario dice agli Stati di fare: non respingere chi fugge da guerre e persecuzioni. Ha difeso la dignità dell'Europa e di tutti noi. La Grecia ha dimostrato che i nostri valori non sono derogabili. Così come lo ha fatto la Germania ospitando un milione di richiedenti asilo e altri paesi dell'UE

Come possiamo contrastare l'avanzata dei populismi? Dobbiamo dimostrare ai nostri cittadini che sappiamo ascoltarli e trovare la soluzione per i loro problemi. Bisogna essere molto attenti a non cadere nella trappola della rincorsa ai populisti. Perché inseguendoli sul loro terreno non si fa che legittimarli e rafforzarli : tra il populista, il razzista o lo xenofobo vero e quello che ne imita idee e slogan per guadagnare qualche voto, i cittadini sceglieranno sempre l'originale. Ma rimarranno invece molto delusi coloro a cui non piacciono gli atteggiamenti politici strumentali.

Ritengo che dobbiamo rispondere agendo, ora e subito. Battendoci con forza per cambiare le cose. Per rafforzare l'Europa, per renderla più unita. Se non lo faremo, se aspetteremo, vinceranno i disgregatori. Se non lo faremo, se apsetteremo, saremo - saremo tutti, nessuno escluso - condannati all'irrilevanza. Tutti dobbiamo fare la nostra parte, nessuno escluso: rappresentanti delle istituzioni, partiti, cittadini. Perché il 2015 è stato sì l'anno della crisi. Ma potrebbe essere stato anche l'anno dell'opportunità, del cambiamento, come da etimologia del termine. Il 2016, dunque, potrebbe essere - deve essere - l'anno della svolta per l'Europa, verso una sempre maggiore integrazione politica che miri all'obbiettivo degli Stati Uniti d'Europa,

Ma si possono avere istituzioni federali autorevoli soltanto se esiste un "demos" europeo che ne legittimi democraticamente e direttamente l'operato, condividendo un nucleo comune di valori, di diritti e di doveri, e un sentimento di lealtà nei confronti delle stesse istituzioni comuni.

Non è una materia che si risolve solo nei Trattati o modificando i Trattati. Tuttavia, anche questi sono importanti: occorre definire una vera cittadinanza comune sia in senso giuridico, quale fonte di diritti e doveri, sia in senso politico, quale comunità fondata appunto sulla condivisione di valori e principi.

L'istituto della cittadinanza europea previsto dai Trattati vigenti è evidentemente inadeguato in questa prospettiva.

Sul piano strettamente giuridico, l'attuale cittadinanza europea è infatti "derivata" - nel senso che si è cittadini dell'Unione soltanto se si è cittadini di uno degli Stati membri - ed è quindi complementare e aggiuntiva rispetto a quella nazionale. Si tratta in altri termini di un mero accessorio.

Si consideri inoltre che i presupposti per l'attribuzione della cittadinanza variano profondamente da Stato a Stato e che i diritti riconosciuti dalle singole Costituzioni e legislazioni nazionali ai rispettivi cittadini sono fortemente differenziati.

Non c'è alcuna armonizzazione e non esistono standard comuni, soprattutto in ambito economico e sociale.

C'è poi un altro aspetto molto critico: la concezione e la disciplina giuridica attuale della cittadinanza europea ignora completamente il problema dell'integrazione dei cittadini extraeuropei, nei cui confronti si applicano esclusivamente le disposizioni costituzionali e legislative nazionali.

Anche il rafforzamento dei ruolo dei partiti politici a livello europeo, di cui parlavo all'inizio del mio intervento, è uno dei passaggi fondamentali per costruire una vera cittadinanza europea perché Partiti europei forti e autorevoli possono rappresentare un canale prezioso per la partecipazione dei cittadini a determinare le politiche dell'Unione.

E ciò sarà possibile, ne sono convinta, soltanto quando il voto per il Parlamento europeo avverrà sulla base di una procedura elettorale uniforme che preveda la presentazione di liste transnazionali dei partiti anziché di liste presentate nei singoli Stati membri.

In questo processo di creazione - o meglio, di rafforzamento - del demos europeo, i Parlamenti nazionali devono giocare un ruolo fondamentale. Lo devono fare perché rappresentano direttamente i cittadini e perché concorrono sempre di più a definire le politiche dell'Unione.

E' proprio perché credo fermamente - e non solo per il ruolo che ricopro - nel contributo fondamentale dei Parlamenti nazionali al processo d'integrazione europea, che, l'estate scorsa, mi sono messa al lavoro. Ho contattato i miei omologhi Presidenti dei Parlamenti tedesco, francese e lussemburghese e il 14 settembre scorso, alla Camera dei deputati, abbiamo firmato una Dichiarazione congiunta, 'Più integrazione europea: la strada da percorrere'. La prospettiva indicata da questa dichiarazione è quella di una unione federale di Stati che passa attraverso la condivisione di sovranità e la centralità del pilastro sociale.

La Dichiarazione, sottoscritta inizialmente dai quattro Presidenti delle Assemblee legislative italiana, tedesca, francese e del Lussemburgo, ha raccolto l'adesione anche delle Camere basse o dei Parlamenti unicamerali di Austria, Cipro, Bulgaria, Portogallo e Slovenia, nonché dei Paesi candidati Albania e Montenegro. A breve - sono in partenza per Atene - la sottoscriveranno il Parlamento ellenico ed il Senato belga, portando a 11 il numero delle firme dei Presidenti di Parlamenti dell'Unione. All'inizio di dicembre sono stata a Bruxelles ed ho presentato la dichiarazione, anche a nome degli altri firmatari, al Presidente Schulz ed a Jean-Claude Juncker, i quali hanno accolto con grande interesse e favore questa iniziativa. Mi auguro che anche con il vostro contributo, se sarete d'accordo, altri Presidenti di Parlamenti si aggiungano agli attuali firmatari.

Ma in questo processo di cambiamento devono avere un peso non solo i Parlamenti ma anche i cittadini. Per questo ho deciso di promuovere una consultazione pubblica, attraverso una piattaforma digitale, sui contenuti della Dichiarazione per stimolare il coinvolgimento e la partecipazione di quante più persone possibili. Perché l'Europa di cui c'è bisogno è l' Europa dei cittadini e non solo delle istituzioni. Altre assemblee, in particolare l'Assemblea nazionale francese, si sono dichiarate interessate a svolgere analoghe consultazioni.

§ 'L'Europa' non è soltanto un'erogatrice di fondi strutturali, che si può poi ignorare quando è necessario dimostrare solidarietà con Paesi che accolgono ingenti numeri di rifugiati o quando si mettono in atto riforme che minano lo stato di diritto. 'L'Europa' non è soltanto un mercato unico, dove le merci circolano liberamente, ma dove non si vogliono poi riconoscere eguali diritti ai lavoratori di tutti i Paesi. Non si può avere un'Europa à la carte. L'Europa è un insieme di principi, di valori e di opportunità, che noi dobbiamo sforzarci di rendere di nuovo attraente, capace di far innamorare i nostri cittadini, specialmente i nostri giovani.

Per farlo dobbiamo difendere le conquiste che abbiamo già. C'è bisogno, innanzitutto, di salvare Schengen. Non sottovaluto affatto i problemi creati dal flusso massiccio di migranti e rifugiati. Ma alzare muri tra un Paese europeo e l'altro e far saltare il sistema di Schengen significa - lo abbiamo visto in queste settimane - creare molti problemi pratici e politici: intoppi, disordini ed inutili tensioni tra governi. Significherebbe soprattutto tradire il nostro passato e compromettere il nostro futuro. Senza Schengen, come dicevo, non ci sarà più l'Europa, non ci sarà più la libertà di sentirsi a casa anche fuori dei propri confini nazionali. E questo non possiamo permettercelo. Certo che dobbiamo garantire la sicurezza dei 400 milioni abitanti dell'area Schengen, ma questo va fatto in due modi: in primo luogo, intensificando la collaborazione tra le polizie e tra i servizi di intelligence, previsti dallo stesso Accordo, lungo la frontiera esterna, che è fatta di oltre 42mila chilometri di coste e di quasi ottomila chilometri di confini terrestri. E poi, come dicevo, mettendo in atto i meccanismi proposti dalla Commissione europea ed approvati dagli Stati membri per 'distribuire equamente il fardello', il 'burden sharing' rappresentato dall'afflusso di migranti attraverso il sistema della relocation proposto dalla Commissione.

Quello che i nostri cittadini chiedono con forza è vivere in una società meno diseguale dove ci sono stesse opportunità per tutti e dove, in caso di bisogno, nessuno viene lasciato al proprio destino. Ci chiedono cioè una svolta nella politica economica. Bisogna lasciarsi definitivamente alle spalle le politiche di austerità che hanno depresso l'economia europea e prendere con coraggio la strada che porta a generare crescita e occupazione per tutti, in modo sostenibile e durevole. E occorre porre al centro delle politiche dell'Unione la dimensione umana e sociale.

L'obiettivo di una Europa più attenta alla dimensione umana e sociale chiama in causa principalmente voi che siete eredi di una grande tradizione politica i cui valori fondanti sono quelli di una maggiore equità sociale e di una vocazione sovranazionale e unitaria, di una tensione alla solidarietà che trascende i confini dei singoli paesi.

A questi valori occorre tornare, rinnovandoli e facendoli agire nel mondo di oggi.

E di valori c'è molto bisogno perché la crisi che stiamo attraversando non è soltanto finanziaria ed economica: è crisi politica, sociale e morale.

Ad essa si risponde proponendo un modello di società che aumenti le libertà e diminuisca le diseguaglianze. E unendo, attorno a questo progetto, tutte le forze progressiste. Quindi più Europa politica per avere più Europa sociale.

Per questo sono convinta che l'europeismo rappresenti la nuova frontiera delle forze di progresso.

Non può essere sufficiente, per chi aderisce a questi valori, una battaglia per strappare vantaggi nazionali di breve periodo. Bisogna essere ambiziosi e generosi e guardare lontano.

L'interesse dei nostri paesi non è disgiunto o contrapposto a quello dell'Unione Europea : più questa si rafforza politicamente più cresce la possibilità di una vita migliore per tutti.

So che non sarà semplice raggiungere questi obiettivi. Serve quell'ottimismo della volontà che portò ad Altiero Spinelli, a chiudere il Manifesto di Ventotene del 1941 con questa frase: "La via da percorrere non è facile né sicura, ma deve essere percorsa e lo sarà".

Grazie e buon lavoro.