Saluto della Presidente all'incontro con la Giunta e il Consiglio Comunale di Palermo, e la Consulta delle Culture sul tema 'Palermo, città dell'accoglienza'
Buon giorno a tutte e a tutti. Saluto il Sindaco Leoluca Orlando, gli Assessori e i Consiglieri Comunali, il presidente e i componenti della Consulta delle Culture, i parlamentari e le autorità presenti, i cittadini di Palermo che hanno voluto partecipare a questo incontro.
Sono orgogliosa di quanto ho ascoltato qui alla Sala della Lapidi perché questa è l'Italia che vorrei.
Oggi noi siamo chiamati a confrontarci su un tema che è al centro della discussione: accoglienza e integrazione dei migranti e dei richiedenti asilo. E' il tema di tutti i temi, la questione più scottante all'ordine del giorno, sulla quale ci si divide e sulla quale l'Europa rischia di sgretolarsi. Ed è anche la questione che fa da spartiacque tra due visioni del mondo: una progressista, contemporanea, realista e l'altra conservatrice, di chiusura, di rifiuto della realtà. Io spesso mi chiedo: ma la storia come racconterà questo nostro tempo? Come saranno descritti gli anni in cui nel Mediterraneo morivano migliaia di persone e si rimaneva a guardare e si rimaneva indifferenti? E chi dovrà rispondere di tutte queste morti?
Lo scorso anno nel nostro Mediterraneo sono morte 3.500 persone, l'anno prima 3.200. E vi parla una persona che queste storie non le ha sentite raccontare, le ha viste con i propri occhi da questa isola, da Lampedusa, che è la mia seconda casa.
Cosa c'entra la cultura europea con i muri e i fili spinati? E perché c'è qualcuno che può prendere in giro le persone dicendo che un muro ci proteggerà? Era il 9 Novembre del 1989 quando in Europa cadde il muro di Berlino, veniva giù un assetto internazionale che aveva resistito per oltre quarant'anni. Quell'assetto era basato fondamentalmente sulla divisione del mondo in due blocchi contrapposti, ognuno dei quali aveva le sue aree di influenza in Europa, in Asia e in Africa. Le due superpotenze, Stati Uniti e Unione Sovietica, erano il dominus delle relazioni tra gli Stati in ogni continente. Era un mondo garantito da muri, frontiere armate, dazi commerciali e barriere economiche. Io non credo che ci sia da rimpiangere molto di quel tempo.
Oggi mi addolora moltissimo vedere che alcuni Paesi europei dell'Unione, proprio quelli dell'est che subirono la "cortina di ferro", che vissero la repressione militare e generarono centinaia di migliaia di rifugiati accolti da altri Paesi, oggi mi addolora, dicevo, vedere che proprio quei Paesi mettono il filo spinato. Il filo spinato non fermerà la globalizzazione, non saranno i muri a fermare la storia.
In un mondo in cui tutto si muove, si muovono i beni, i servizi, i capitali, le informazioni, come si può pensare che gli esseri umani non si muovano? Chi può concepire questo pensiero debole? Un pensiero che non è realistico e noi italiani lo sappiamo bene, perché i nostri figli si muovono, anche se non sempre liberamente e per scelta. I nostri figli, però, possono andare altrove perché sono europei. Molti altri giovani invece non hanno questa possibilità. A loro è chiesto ben altro, a loro sono chieste fideiussioni bancarie, garanzie.
Noi italiani, che a milioni siamo andati a cercare un' esistenza più dignitosa negli Stati Uniti, in Australia, in Canada, in America Latina; noi italiani, che da quei Paesi abbiamo ricevuto ma anche dato; noi italiani sappiamo bene cosa vuole dire andare a testa bassa, ma anche contribuire al benessere di altri Paesi, diventarne classe dirigente. E ogni volta che vado dove i nostri concittadini si sono fatti strada, mi sento orgogliosa di loro.
Così come oggi, qui a Palermo, la Consulta delle Culture, contribuisce all'arricchimento di questa città.
E allora non raccontiamoci favole, che imbrogliano quasi sempre. Come la favola olandese del bambino che mettendo il dito nel foro di una diga salvò il suo villaggio dall'inondazione. Non raccontiamoci favole. Bisogna fare i conti con la realtà che richiama tutti noi alle nostre responsabilità.
In Europa le istituzioni che dovrebbero prendere le decisioni sono di fatto esautorate dai governi. L'Europa dei trattati, dei principi fondativi del nostro stare insieme come il diritto d'asilo, oggi viene messa in discussione. Alcuni Paesi sarebbero disposti a rimettere in discussione il più grande progetto politico dalla seconda guerra mondiale pur di non fare la loro parte. Ci sono Stati membri che in modo irresponsabile dicono no alla condivisione degli oneri.
Oggi la Grecia è sopraffatta dai propri problemi di natura economica e finanziarie e da un flusso di migranti che è assolutamente al di là delle proprie capacità. Abbiamo l'Italia che ha ricevuto 150mila persone, molte delle quali se ne sono andate, soprattutto in Germania. E in Germania la presidente Merkel si è assunta le proprie responsabilità perché chi ha vissuto il muro di Berlino non vuole altri muri. Anche Svezia e Austria, in relazione ai propri abitanti, ricevono un flusso molto ampio di migranti.
Ecco, l'Unione è costituita da 28 Paesi ma tutto si gioca sulle spalle di 5. Per questo c'è una crisi. Se tutti i paesi europei condividessero la stessa responsabilità, se ciascuno di essi per la sua parte si facesse carico dell'accoglienza, non ci sarebbe nessuna emergenza e l'Europa si confermerebbe la bussola morale del mondo.
Allora io dico, se questo non accade mettiamo in atto dei meccanismi di condizionalità: gli Stati membri che non ottemperano ai doveri che si sono assunti in fase di Consiglio europeo dovranno avere una decurtazione sulla concessione dei fondi strutturali. Questo è l'unico strumento di cui disponiamo. Mi auguro che in sede europea prevalga il buon senso. Altrimenti si andrà a fondo.
E allora parliamo di integrazione, perché siamo qui in presenza di una Consulta delle Culture. Cos'è che contribuisce di più alla sicurezza collettiva? Che uno straniero sia abbandonato su un marciapiede o che possa fare domanda per un alloggio per avere un tetto dignitoso? Che lavori in nero o che sia regolarizzato? Che sia lasciato a se stesso o che sia impegnato in un percorso di integrazione? Io non ho dubbi: un paese che regolarizza, che accoglie, che integra è non solo più giusto ma anche una cosa che conviene.
Una convenienza per le comunità migranti e per quelle di accoglienza, direi. Guardiamo qualche dato. Perché è nell'interesse degli italiani favorire l'integrazione?
Il Pil è realizzato anche da migranti, i quali contribuiscono anche a finanziare il sistema pensionistico. Il contributo dei migranti al Pil in Italia (dati 2013) è di quasi il 9%. Ed è dimostrato - sono dati del MEF - che i contributi versati dai migranti servono a pagare ogni anno la pensione di oltre 600mila italiani.
Siamo un Paese a crescita zero. In Italia vi sono 3 giovani per ogni pensionato. Nel 2035 saranno due per ogni pensionato. Nel 2013 il 95% dell'aumento demografico si deve agli immigrati. Ma i dati del 2015 sono ancora più impressionanti: per la prima volta dalla fine della Prima Guerra mondiale la popolazione residente in Italia è diminuita. Di circa 150 mila unità. Aumentati i decessi e calate le nascite. Ormai neanche i flussi migratori riescono a mantenere stabile la nostra popolazione. E' un Paese che sta invecchiando sempre di più e che si restringe progressivamente. E aumenta di anno in anno il numero dei giovani che decide di andare a studiare, a lavorare e a vivere all'estero.
E c'è chi vorrebbe chiudere le frontiere e lasciare che la popolazione italiana invecchi e si riduca sempre di più! E costoro sarebbero quelli che tutelano l'interesse nazionale?!
E' stato calcolato, dati Eurostat e Istat, che per garantire una popolazione di 60 milioni di persone nel 2055, l'Italia dovrebbe accogliere tra i 300mila e i 400mila immigrati ogni anno. Altrimenti scenderemo a 45 milioni. Non vorrei questo declino, ma ci vuole la volontà politica.
L'integrazione non viene da sola. Servono programmi, nazionali e locali, servono strutture e finanziamenti. Tutte cose delle quali si dispone soltanto se c'è la volontà politica. Una volontà politica che qui a Palermo state dimostrando di avere.
Io do per scontato che chi va a vivere in un paese diverso dal proprio deve rispettare le leggi e i principi costituzionali del luogo che lo accoglie. Ma la mia idea di integrazione non è quella secondo la quale c'è un corpo estraneo che deve integrarsi in un altro, destinato a rimanere sempre uguale a se stesso. Non è un processo a senso unico. No. Io penso ad un rapporto di reciproca integrazione tra culture e storie diverse, un'interazione che cambia qualcosa in ciascuno dei soggetti che ne sono protagonisti. Insieme si vive, insieme si cresce.
Non dimostra proprio questo la storia della vostra città? La Consulta delle culture è un'iniziativa importante perché i migranti sono partecipi di una realtà.
Palermo non sarebbe così bella e aperta al mondo se non fosse il risultato dell'incontro e dell'interscambio tra storie e civiltà diverse.
Parteciperò tra qualche giorno all'inaugurazione di una mostra dell'Accademia dei Lincei, a Roma, dal titolo "I libri che hanno fatto l'Europa". Ebbene, insieme a volumi della tradizione latina e germanica, saranno esposti e discussi anche testi arabi, ebraici, africani.
Ed è giusto, perché non si può espellere dalla storia e dalla cultura europea il contributo fondamentale dato dalla presenza araba e africana o dalle millenarie radici delle comunità ebraiche.
Prima di chiudere vorrei fare un omaggio alle donne migranti: in molte delle nostre famiglie vivono donne che ci aiutano a crescere figli, che si occupano dei nostri anziani, che si dedicano ai lavori domestici. Ma noi cosa sappiamo delle loro vite? Delle sofferenze che si portano dentro? Spesso non le vediamo neanche. A volte neanche le si guarda, come fossero trasparenti. E invece sono persone che hanno la loro storia da raccontare. Vorrei dire agli italiani: parlate con queste donne. Sono le icone dolorose del nostro tempo. Ascoltate i loro racconti e scoprirete che dietro quello sguardo spesso triste non c'è solo la fatica del lavoro, spesso in loro c'è la nostalgia per il figlio che hanno dovuto lasciare nel loro paese, per un genitore malato che non possono andare a trovare perché il biglietto aereo costa troppo, c'è una vita fatta di coraggio e di solitudine. Sradicate dai propri affetti, vivono le nostre vite espropriate delle loro. Spero si faccia più attenzione a queste donne, che ci sia più curiosità per le loro storie.
E poi serve un sempre maggiore coinvolgimento delle comunità straniere nella gestione delle città. Consulte come la vostra rappresentano in questo senso un passo molto significativo, ma gli obiettivi da perseguire sono quelli di una nuova legge sulla cittadinanza, che mi auguro questo Parlamento riesca ad approvare entro questa legislatura, e del riconoscimento del pieno diritto all'elettorato attivo e passivo nelle consultazioni amministrative per gli stranieri residenti in Italia. Coinvolgere significa dare valore e significa anche responsabilizzare.
Nel 1775 in Virginia i coloni si ribellarono alle imposizioni fiscali inglesi con lo slogan "No taxation without representation". Intendevano dire: volete che paghiamo le tasse? Allora fateci votare, dateci una rappresentanza parlamentare. Anche in Italia è venuto il momento di un pieno riconoscimento dei diritti civili e politici degli stranieri che qui risiedono, pagano le tasse, che contribuiscono al sistema pensionistico e alla ricchezza del nostro Paese.
Caro sindaco, mi auguro che lo spirito inclusivo che avevano i nostri costituenti continui ad esserci nella nostra legislazione. E' indispensabile che si prenda atto che chi qui vive e paga le tasse non possa esprimere una volontà politica.
A questa idea dobbiamo ispirarci, chiamando le comunità straniere presenti in Italia ad una piena responsabilizzazione nella vita del nostro Paese, consapevoli, come dobbiamo essere, che abbiamo nelle nostre mani un destino comune.
Anche perché, come ha scritto Tahar Ben Jelloun, "Siamo sempre lo straniero di qualcun altro".
Saluto della Presidente all'incontro con la Giunta e il Consiglio Comunale di Palermo, e la Consulta delle Culture sul tema 'Palermo, città dell'accoglienza'
Buon giorno a tutte e a tutti. Saluto il Sindaco Leoluca Orlando, gli Assessori e i Consiglieri Comunali, il presidente e i componenti della Consulta delle Culture, i parlamentari e le autorità presenti, i cittadini di Palermo che hanno voluto partecipare a questo incontro.
Sono orgogliosa di quanto ho ascoltato qui alla Sala della Lapidi perché questa è l'Italia che vorrei.
Oggi noi siamo chiamati a confrontarci su un tema che è al centro della discussione: accoglienza e integrazione dei migranti e dei richiedenti asilo. E' il tema di tutti i temi, la questione più scottante all'ordine del giorno, sulla quale ci si divide e sulla quale l'Europa rischia di sgretolarsi. Ed è anche la questione che fa da spartiacque tra due visioni del mondo: una progressista, contemporanea, realista e l'altra conservatrice, di chiusura, di rifiuto della realtà. Io spesso mi chiedo: ma la storia come racconterà questo nostro tempo? Come saranno descritti gli anni in cui nel Mediterraneo morivano migliaia di persone e si rimaneva a guardare e si rimaneva indifferenti? E chi dovrà rispondere di tutte queste morti?
Lo scorso anno nel nostro Mediterraneo sono morte 3.500 persone, l'anno prima 3.200. E vi parla una persona che queste storie non le ha sentite raccontare, le ha viste con i propri occhi da questa isola, da Lampedusa, che è la mia seconda casa.
Cosa c'entra la cultura europea con i muri e i fili spinati? E perché c'è qualcuno che può prendere in giro le persone dicendo che un muro ci proteggerà? Era il 9 Novembre del 1989 quando in Europa cadde il muro di Berlino, veniva giù un assetto internazionale che aveva resistito per oltre quarant'anni. Quell'assetto era basato fondamentalmente sulla divisione del mondo in due blocchi contrapposti, ognuno dei quali aveva le sue aree di influenza in Europa, in Asia e in Africa. Le due superpotenze, Stati Uniti e Unione Sovietica, erano il dominus delle relazioni tra gli Stati in ogni continente. Era un mondo garantito da muri, frontiere armate, dazi commerciali e barriere economiche. Io non credo che ci sia da rimpiangere molto di quel tempo.
Oggi mi addolora moltissimo vedere che alcuni Paesi europei dell'Unione, proprio quelli dell'est che subirono la "cortina di ferro", che vissero la repressione militare e generarono centinaia di migliaia di rifugiati accolti da altri Paesi, oggi mi addolora, dicevo, vedere che proprio quei Paesi mettono il filo spinato. Il filo spinato non fermerà la globalizzazione, non saranno i muri a fermare la storia.
In un mondo in cui tutto si muove, si muovono i beni, i servizi, i capitali, le informazioni, come si può pensare che gli esseri umani non si muovano? Chi può concepire questo pensiero debole? Un pensiero che non è realistico e noi italiani lo sappiamo bene, perché i nostri figli si muovono, anche se non sempre liberamente e per scelta. I nostri figli, però, possono andare altrove perché sono europei. Molti altri giovani invece non hanno questa possibilità. A loro è chiesto ben altro, a loro sono chieste fideiussioni bancarie, garanzie.
Noi italiani, che a milioni siamo andati a cercare un' esistenza più dignitosa negli Stati Uniti, in Australia, in Canada, in America Latina; noi italiani, che da quei Paesi abbiamo ricevuto ma anche dato; noi italiani sappiamo bene cosa vuole dire andare a testa bassa, ma anche contribuire al benessere di altri Paesi, diventarne classe dirigente. E ogni volta che vado dove i nostri concittadini si sono fatti strada, mi sento orgogliosa di loro.
Così come oggi, qui a Palermo, la Consulta delle Culture, contribuisce all'arricchimento di questa città.
E allora non raccontiamoci favole, che imbrogliano quasi sempre. Come la favola olandese del bambino che mettendo il dito nel foro di una diga salvò il suo villaggio dall'inondazione. Non raccontiamoci favole. Bisogna fare i conti con la realtà che richiama tutti noi alle nostre responsabilità.
In Europa le istituzioni che dovrebbero prendere le decisioni sono di fatto esautorate dai governi. L'Europa dei trattati, dei principi fondativi del nostro stare insieme come il diritto d'asilo, oggi viene messa in discussione. Alcuni Paesi sarebbero disposti a rimettere in discussione il più grande progetto politico dalla seconda guerra mondiale pur di non fare la loro parte. Ci sono Stati membri che in modo irresponsabile dicono no alla condivisione degli oneri.
Oggi la Grecia è sopraffatta dai propri problemi di natura economica e finanziarie e da un flusso di migranti che è assolutamente al di là delle proprie capacità. Abbiamo l'Italia che ha ricevuto 150mila persone, molte delle quali se ne sono andate, soprattutto in Germania. E in Germania la presidente Merkel si è assunta le proprie responsabilità perché chi ha vissuto il muro di Berlino non vuole altri muri. Anche Svezia e Austria, in relazione ai propri abitanti, ricevono un flusso molto ampio di migranti.
Ecco, l'Unione è costituita da 28 Paesi ma tutto si gioca sulle spalle di 5. Per questo c'è una crisi. Se tutti i paesi europei condividessero la stessa responsabilità, se ciascuno di essi per la sua parte si facesse carico dell'accoglienza, non ci sarebbe nessuna emergenza e l'Europa si confermerebbe la bussola morale del mondo.
Allora io dico, se questo non accade mettiamo in atto dei meccanismi di condizionalità: gli Stati membri che non ottemperano ai doveri che si sono assunti in fase di Consiglio europeo dovranno avere una decurtazione sulla concessione dei fondi strutturali. Questo è l'unico strumento di cui disponiamo. Mi auguro che in sede europea prevalga il buon senso. Altrimenti si andrà a fondo.
E allora parliamo di integrazione, perché siamo qui in presenza di una Consulta delle Culture. Cos'è che contribuisce di più alla sicurezza collettiva? Che uno straniero sia abbandonato su un marciapiede o che possa fare domanda per un alloggio per avere un tetto dignitoso? Che lavori in nero o che sia regolarizzato? Che sia lasciato a se stesso o che sia impegnato in un percorso di integrazione? Io non ho dubbi: un paese che regolarizza, che accoglie, che integra è non solo più giusto ma anche una cosa che conviene.
Una convenienza per le comunità migranti e per quelle di accoglienza, direi. Guardiamo qualche dato. Perché è nell'interesse degli italiani favorire l'integrazione?
Il Pil è realizzato anche da migranti, i quali contribuiscono anche a finanziare il sistema pensionistico. Il contributo dei migranti al Pil in Italia (dati 2013) è di quasi il 9%. Ed è dimostrato - sono dati del MEF - che i contributi versati dai migranti servono a pagare ogni anno la pensione di oltre 600mila italiani.
Siamo un Paese a crescita zero. In Italia vi sono 3 giovani per ogni pensionato. Nel 2035 saranno due per ogni pensionato. Nel 2013 il 95% dell'aumento demografico si deve agli immigrati. Ma i dati del 2015 sono ancora più impressionanti: per la prima volta dalla fine della Prima Guerra mondiale la popolazione residente in Italia è diminuita. Di circa 150 mila unità. Aumentati i decessi e calate le nascite. Ormai neanche i flussi migratori riescono a mantenere stabile la nostra popolazione. E' un Paese che sta invecchiando sempre di più e che si restringe progressivamente. E aumenta di anno in anno il numero dei giovani che decide di andare a studiare, a lavorare e a vivere all'estero.
E c'è chi vorrebbe chiudere le frontiere e lasciare che la popolazione italiana invecchi e si riduca sempre di più! E costoro sarebbero quelli che tutelano l'interesse nazionale?!
E' stato calcolato, dati Eurostat e Istat, che per garantire una popolazione di 60 milioni di persone nel 2055, l'Italia dovrebbe accogliere tra i 300mila e i 400mila immigrati ogni anno. Altrimenti scenderemo a 45 milioni. Non vorrei questo declino, ma ci vuole la volontà politica.
L'integrazione non viene da sola. Servono programmi, nazionali e locali, servono strutture e finanziamenti. Tutte cose delle quali si dispone soltanto se c'è la volontà politica. Una volontà politica che qui a Palermo state dimostrando di avere.
Io do per scontato che chi va a vivere in un paese diverso dal proprio deve rispettare le leggi e i principi costituzionali del luogo che lo accoglie. Ma la mia idea di integrazione non è quella secondo la quale c'è un corpo estraneo che deve integrarsi in un altro, destinato a rimanere sempre uguale a se stesso. Non è un processo a senso unico. No. Io penso ad un rapporto di reciproca integrazione tra culture e storie diverse, un'interazione che cambia qualcosa in ciascuno dei soggetti che ne sono protagonisti. Insieme si vive, insieme si cresce.
Non dimostra proprio questo la storia della vostra città? La Consulta delle culture è un'iniziativa importante perché i migranti sono partecipi di una realtà.
Palermo non sarebbe così bella e aperta al mondo se non fosse il risultato dell'incontro e dell'interscambio tra storie e civiltà diverse.
Parteciperò tra qualche giorno all'inaugurazione di una mostra dell'Accademia dei Lincei, a Roma, dal titolo "I libri che hanno fatto l'Europa". Ebbene, insieme a volumi della tradizione latina e germanica, saranno esposti e discussi anche testi arabi, ebraici, africani.
Ed è giusto, perché non si può espellere dalla storia e dalla cultura europea il contributo fondamentale dato dalla presenza araba e africana o dalle millenarie radici delle comunità ebraiche.
Prima di chiudere vorrei fare un omaggio alle donne migranti: in molte delle nostre famiglie vivono donne che ci aiutano a crescere figli, che si occupano dei nostri anziani, che si dedicano ai lavori domestici. Ma noi cosa sappiamo delle loro vite? Delle sofferenze che si portano dentro? Spesso non le vediamo neanche. A volte neanche le si guarda, come fossero trasparenti. E invece sono persone che hanno la loro storia da raccontare. Vorrei dire agli italiani: parlate con queste donne. Sono le icone dolorose del nostro tempo. Ascoltate i loro racconti e scoprirete che dietro quello sguardo spesso triste non c'è solo la fatica del lavoro, spesso in loro c'è la nostalgia per il figlio che hanno dovuto lasciare nel loro paese, per un genitore malato che non possono andare a trovare perché il biglietto aereo costa troppo, c'è una vita fatta di coraggio e di solitudine. Sradicate dai propri affetti, vivono le nostre vite espropriate delle loro. Spero si faccia più attenzione a queste donne, che ci sia più curiosità per le loro storie.
E poi serve un sempre maggiore coinvolgimento delle comunità straniere nella gestione delle città. Consulte come la vostra rappresentano in questo senso un passo molto significativo, ma gli obiettivi da perseguire sono quelli di una nuova legge sulla cittadinanza, che mi auguro questo Parlamento riesca ad approvare entro questa legislatura, e del riconoscimento del pieno diritto all'elettorato attivo e passivo nelle consultazioni amministrative per gli stranieri residenti in Italia. Coinvolgere significa dare valore e significa anche responsabilizzare.
Nel 1775 in Virginia i coloni si ribellarono alle imposizioni fiscali inglesi con lo slogan "No taxation without representation". Intendevano dire: volete che paghiamo le tasse? Allora fateci votare, dateci una rappresentanza parlamentare. Anche in Italia è venuto il momento di un pieno riconoscimento dei diritti civili e politici degli stranieri che qui risiedono, pagano le tasse, che contribuiscono al sistema pensionistico e alla ricchezza del nostro Paese.
Caro sindaco, mi auguro che lo spirito inclusivo che avevano i nostri costituenti continui ad esserci nella nostra legislazione. E' indispensabile che si prenda atto che chi qui vive e paga le tasse non possa esprimere una volontà politica.
A questa idea dobbiamo ispirarci, chiamando le comunità straniere presenti in Italia ad una piena responsabilizzazione nella vita del nostro Paese, consapevoli, come dobbiamo essere, che abbiamo nelle nostre mani un destino comune.
Anche perché, come ha scritto Tahar Ben Jelloun, "Siamo sempre lo straniero di qualcun altro".
Vi ringrazio