Cerimonia in onore del Corpo della Guardia costiera italiana
Ministro Delrio, Ammiraglio Melone, membri degli equipaggi della Guardia costiera, Signore e Signori, è un onore potervi accogliere alla Camera dei deputati. E' un onore per me rendere un doveroso tributo ad un Corpo dello Stato la cui professionalità, la cui abnegazione, il cui spirito di servizio sono riconosciuti a livello internazionale.
Ho fortemente voluto l'iniziativa di oggi, in un momento cruciale per l'Europa intera, chiamata a fronteggiare la più grave crisi dei rifugiati dalla fine della Seconda Guerra mondiale. Sessanta milioni di persone in movimento, senza averlo scelto. Un fiume di uomini, donne e bambini in fuga da guerre, violenze e persecuzioni, che spesso tentano di raggiungere la salvezza nel nostro continente attraversando il Mar Mediterraneo. Cercano pace e sicurezza, come farebbe ognuno di noi, come fecero i nostri nonni.
Questi viaggi pericolosi, condotti su mezzi del tutto inadeguati a fronteggiare il mare aperto - a volte carrette fatiscenti, altre volte gommoni "artigianali", improvvisati - conducono in molti casi a tragedie. I morti nessuno sa quanti siano. Si stima che l'anno scorso almeno 3.700 migranti abbiano perso la vita nel Canale di Sicilia e nel Mar Egeo. Ma voi mi insegnate che questa cifra, già mostruosa, è una cifra per difetto, perché dei dispersi non si può fare un preciso calcolo. Un bilancio terribile, che sarebbe stato ancora peggiore se a coordinare una gran parte delle operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo non ci fosse stata la nostra Guardia costiera, non ci foste stati voi; se a salvare vite umane tra le onde, spesso in condizioni meteorologiche proibitive, non ci fossero state le motovedette della nostra Guardia costiera.
Ho fortemente voluto quest'iniziativa, però, anche perché il mio apprezzamento per il vostro operato ha radici lontane. Siamo amici di vecchia data, diciamo così. Diventai portavoce dell'UNHCR, l'Agenzia ONU per i rifugiati, nel 1998, quasi vent'anni fa. Da allora e fino al 2013, ho condiviso con la Guardia costiera l'esperienza di una collaborazione intensa e di un comune impegno per salvare vite umane. Non posso dimenticare quante volte ci siamo sentiti al telefono, anche di notte, con l'Ammiraglio Melone e con altri qui presenti, con la Sala Operativa.
Nel corso delle mie missioni per conto dell'UNHCR, dalla Grecia all'Europa settentrionale, dal Nord Africa al Golfo di Aden, ho potuto appurare quanto fosse apprezzato l'operato della Guardia costiera italiana, la cui esperienza nel salvare persone in difficoltà in mare e la cui professionalità sono, come dicevo in apertura del mio intervento, di esempio per il resto del mondo. Esperienza e professionalità che, però, sono inscindibili dalla profonda umanità degli equipaggi.
Se a livello internazionale la Guardia costiera italiana è considerata un esempio virtuoso, una 'buona pratica', ed è sempre più richiesta per attività di formazione, in Italia abbiamo a volte assistito agli attacchi strumentali di chi, anziché mettere al primo posto il valore della vita umana - di tutte le vite umane - vorrebbe che i soccorritori tradissero la legge antica del mare, ignorando le richieste d'aiuto di chi possiede il passaporto sbagliato o ha un colore della pelle diverso dal nostro. Voci che evidentemente riflettono una convinzione aberrante: che alcune vite umane sono meno importanti di altre. A questa logica diciamo no, dobbiamo dire no.
L'evento di oggi intende invece sottolineare il sostegno forte ed inequivocabile delle istituzioni italiane alla Guardia costiera, il riconoscimento di tutto quello che avete fatto. Un Corpo dello Stato che negli ultimi venticinque anni ha coordinato il soccorso o salvato in prima persona circa 640mila persone in pericolo di vita in mare, 320mila dei quali soltanto nell'ultimo biennio. Senza il vostro intervento avremmo assistito, in questo quarto di secolo, ad un numero di tragedie ancora maggiori, ad un'immane ecatombe.
Ho incontrato alcuni di voi, a cominciare dal Comandante generale, due mesi fa, sull'isola greca di Lesbo, a ridosso della costa della Turchia. In quel braccio di mare la nostra Guardia costiera, inquadrata all'interno delle operazioni dell'Agenzia europea FRONTEX, ha dimostrato, ancora una volta, il proprio valore. E' passato poco tempo dalla mia visita ufficiale in Grecia e dalla tappa nell'Egeo, ma molto è cambiato. Allora Lesbo era l'isola della speranza. Quante volte abbiamo visto le persone che arrivavano baciare terra, e dire che erano nate per la seconda volta? L'ho visto fare tantissime volte, a Lampedusa o altrove, e voi più di me. Ma oggi Lesbo non è più quel simbolo, oggi è divenuta simbolo della chiusura dell'Europa.
Un'Europa che appare incapace di trovare una soluzione condivisa alla crisi dei rifugiati nonostante il fatto che abbia dovuto fronteggiare l'arrivo di una minima parte dei sessanta milioni di persone costrette a fuggire da violenze e persecuzioni in tutto il mondo. Un'Europa che alza bandiera bianca perché non è in grado trovare al proprio interno una soluzione equa e sostenibile tra 28 Stati membri.E poiché prevale l'egoismo, si decide allora di esternalizzare il diritto d'asilo, uno dei diritti più antichi della nostra civiltà, nato in Europa. Una soluzione-tampone, che come tale non risolve il problema, e che aprirà altri problemi perché voi sapete meglio di chiunque altro che quando si fugge dalle guerre e dalle persecuzioni, quando non si ha nulla da perdere, chiusa una strada se ne apre un'altra. Questo è sempre accaduto, ma sembra non insegnare nulla a chi oggi è chiamato a prendere decisioni.
Al doveroso ringraziamento alla nostra Guardia costiera - e, con essa, alla Marina militare, ai pescherecci, alle imbarcazioni commerciali e private che in questi anni hanno salvato migliaia di vite - si accompagna, dunque, la constatazione che occorre una forte azione della politica. Voi potete fare una parte importante, ma certo non potete fare tutto. La politica ha delle responsabilità. Per evitare le morti in mare dobbiamo creare canali legali d'accesso all'Europa per le persone bisognose di protezione internazionali; dobbiamo perseguire una unica politica d'asilo europea, basata sui principi della solidarietà e del rispetto dei diritti fondamentali, che ci consentirebbe di superare la crisi, condividendo gli oneri tra tutti e ventotto Stati membri, anziché tra i cinque o sei che si trovano ad essere Paesi di primo approdo - Grecia o Italia - o di destinazione - Germania, Svezia, Austria - per la gran parte dei richiedenti asilo. Se tutti e 28 avessero fatto la loro parte, noi non parleremmo di una crisi dei rifugiati, ma di una gestione dei rifugiati. Dobbiamo, infine, affrontare con maggiore decisione le cause profonde che spingono queste persone a fuggire. E' lì che dobbiamo trovare le soluzioni, lavorare nei tavoli negoziali, mettere alle strette i regimi, isolarli. Dobbiamo condizionare i nostri aiuti al rispetto dei diritti fondamentali, e questo non sempre si fa.
Noi che siamo il continente dei diritti umani abbiamo una responsabilità aggiuntiva. Se noi oggi decidiamo di delegare ad altri Paesi come la Turchia - che peraltro non hanno nemmeno il quadro giuridico per gestire la questione dei rifugiati - cosa dovrebbero fare allora Paesi come il Libano, la Giordania, il Kenia, il Pakistan, che hanno milioni di rifugiati? Cosa dovrebbero fare loro, se l'Unione europea, che è la culla del diritto di asilo, decide di passare la mano ad altri ?
Voi come Guardia costiera siete un esempio dell'Europa custode dei valori della dignità umana e della tutela dei diritti. Il mio ringraziamento finale, dunque, non riguarda solo la vostra partecipazione a quest'iniziativa, né si esaurisce in una formula rituale. Grazie di cuore per quello che fate e per come lo fate, a nome mio e della Camera dei deputati.
Cerimonia in onore del Corpo della Guardia costiera italiana
Ministro Delrio, Ammiraglio Melone, membri degli equipaggi della Guardia costiera, Signore e Signori, è un onore potervi accogliere alla Camera dei deputati. E' un onore per me rendere un doveroso tributo ad un Corpo dello Stato la cui professionalità, la cui abnegazione, il cui spirito di servizio sono riconosciuti a livello internazionale.
Ho fortemente voluto l'iniziativa di oggi, in un momento cruciale per l'Europa intera, chiamata a fronteggiare la più grave crisi dei rifugiati dalla fine della Seconda Guerra mondiale. Sessanta milioni di persone in movimento, senza averlo scelto. Un fiume di uomini, donne e bambini in fuga da guerre, violenze e persecuzioni, che spesso tentano di raggiungere la salvezza nel nostro continente attraversando il Mar Mediterraneo. Cercano pace e sicurezza, come farebbe ognuno di noi, come fecero i nostri nonni.
Questi viaggi pericolosi, condotti su mezzi del tutto inadeguati a fronteggiare il mare aperto - a volte carrette fatiscenti, altre volte gommoni "artigianali", improvvisati - conducono in molti casi a tragedie. I morti nessuno sa quanti siano. Si stima che l'anno scorso almeno 3.700 migranti abbiano perso la vita nel Canale di Sicilia e nel Mar Egeo. Ma voi mi insegnate che questa cifra, già mostruosa, è una cifra per difetto, perché dei dispersi non si può fare un preciso calcolo. Un bilancio terribile, che sarebbe stato ancora peggiore se a coordinare una gran parte delle operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo non ci fosse stata la nostra Guardia costiera, non ci foste stati voi; se a salvare vite umane tra le onde, spesso in condizioni meteorologiche proibitive, non ci fossero state le motovedette della nostra Guardia costiera.
Ho fortemente voluto quest'iniziativa, però, anche perché il mio apprezzamento per il vostro operato ha radici lontane. Siamo amici di vecchia data, diciamo così. Diventai portavoce dell'UNHCR, l'Agenzia ONU per i rifugiati, nel 1998, quasi vent'anni fa. Da allora e fino al 2013, ho condiviso con la Guardia costiera l'esperienza di una collaborazione intensa e di un comune impegno per salvare vite umane. Non posso dimenticare quante volte ci siamo sentiti al telefono, anche di notte, con l'Ammiraglio Melone e con altri qui presenti, con la Sala Operativa.
Nel corso delle mie missioni per conto dell'UNHCR, dalla Grecia all'Europa settentrionale, dal Nord Africa al Golfo di Aden, ho potuto appurare quanto fosse apprezzato l'operato della Guardia costiera italiana, la cui esperienza nel salvare persone in difficoltà in mare e la cui professionalità sono, come dicevo in apertura del mio intervento, di esempio per il resto del mondo. Esperienza e professionalità che, però, sono inscindibili dalla profonda umanità degli equipaggi.
Se a livello internazionale la Guardia costiera italiana è considerata un esempio virtuoso, una 'buona pratica', ed è sempre più richiesta per attività di formazione, in Italia abbiamo a volte assistito agli attacchi strumentali di chi, anziché mettere al primo posto il valore della vita umana - di tutte le vite umane - vorrebbe che i soccorritori tradissero la legge antica del mare, ignorando le richieste d'aiuto di chi possiede il passaporto sbagliato o ha un colore della pelle diverso dal nostro. Voci che evidentemente riflettono una convinzione aberrante: che alcune vite umane sono meno importanti di altre. A questa logica diciamo no, dobbiamo dire no.
L'evento di oggi intende invece sottolineare il sostegno forte ed inequivocabile delle istituzioni italiane alla Guardia costiera, il riconoscimento di tutto quello che avete fatto. Un Corpo dello Stato che negli ultimi venticinque anni ha coordinato il soccorso o salvato in prima persona circa 640mila persone in pericolo di vita in mare, 320mila dei quali soltanto nell'ultimo biennio. Senza il vostro intervento avremmo assistito, in questo quarto di secolo, ad un numero di tragedie ancora maggiori, ad un'immane ecatombe.
Ho incontrato alcuni di voi, a cominciare dal Comandante generale, due mesi fa, sull'isola greca di Lesbo, a ridosso della costa della Turchia. In quel braccio di mare la nostra Guardia costiera, inquadrata all'interno delle operazioni dell'Agenzia europea FRONTEX, ha dimostrato, ancora una volta, il proprio valore. E' passato poco tempo dalla mia visita ufficiale in Grecia e dalla tappa nell'Egeo, ma molto è cambiato. Allora Lesbo era l'isola della speranza. Quante volte abbiamo visto le persone che arrivavano baciare terra, e dire che erano nate per la seconda volta? L'ho visto fare tantissime volte, a Lampedusa o altrove, e voi più di me. Ma oggi Lesbo non è più quel simbolo, oggi è divenuta simbolo della chiusura dell'Europa.
Un'Europa che appare incapace di trovare una soluzione condivisa alla crisi dei rifugiati nonostante il fatto che abbia dovuto fronteggiare l'arrivo di una minima parte dei sessanta milioni di persone costrette a fuggire da violenze e persecuzioni in tutto il mondo. Un'Europa che alza bandiera bianca perché non è in grado trovare al proprio interno una soluzione equa e sostenibile tra 28 Stati membri.E poiché prevale l'egoismo, si decide allora di esternalizzare il diritto d'asilo, uno dei diritti più antichi della nostra civiltà, nato in Europa. Una soluzione-tampone, che come tale non risolve il problema, e che aprirà altri problemi perché voi sapete meglio di chiunque altro che quando si fugge dalle guerre e dalle persecuzioni, quando non si ha nulla da perdere, chiusa una strada se ne apre un'altra. Questo è sempre accaduto, ma sembra non insegnare nulla a chi oggi è chiamato a prendere decisioni.
Al doveroso ringraziamento alla nostra Guardia costiera - e, con essa, alla Marina militare, ai pescherecci, alle imbarcazioni commerciali e private che in questi anni hanno salvato migliaia di vite - si accompagna, dunque, la constatazione che occorre una forte azione della politica. Voi potete fare una parte importante, ma certo non potete fare tutto. La politica ha delle responsabilità. Per evitare le morti in mare dobbiamo creare canali legali d'accesso all'Europa per le persone bisognose di protezione internazionali; dobbiamo perseguire una unica politica d'asilo europea, basata sui principi della solidarietà e del rispetto dei diritti fondamentali, che ci consentirebbe di superare la crisi, condividendo gli oneri tra tutti e ventotto Stati membri, anziché tra i cinque o sei che si trovano ad essere Paesi di primo approdo - Grecia o Italia - o di destinazione - Germania, Svezia, Austria - per la gran parte dei richiedenti asilo. Se tutti e 28 avessero fatto la loro parte, noi non parleremmo di una crisi dei rifugiati, ma di una gestione dei rifugiati. Dobbiamo, infine, affrontare con maggiore decisione le cause profonde che spingono queste persone a fuggire. E' lì che dobbiamo trovare le soluzioni, lavorare nei tavoli negoziali, mettere alle strette i regimi, isolarli. Dobbiamo condizionare i nostri aiuti al rispetto dei diritti fondamentali, e questo non sempre si fa.
Noi che siamo il continente dei diritti umani abbiamo una responsabilità aggiuntiva. Se noi oggi decidiamo di delegare ad altri Paesi come la Turchia - che peraltro non hanno nemmeno il quadro giuridico per gestire la questione dei rifugiati - cosa dovrebbero fare allora Paesi come il Libano, la Giordania, il Kenia, il Pakistan, che hanno milioni di rifugiati? Cosa dovrebbero fare loro, se l'Unione europea, che è la culla del diritto di asilo, decide di passare la mano ad altri ?
Voi come Guardia costiera siete un esempio dell'Europa custode dei valori della dignità umana e della tutela dei diritti. Il mio ringraziamento finale, dunque, non riguarda solo la vostra partecipazione a quest'iniziativa, né si esaurisce in una formula rituale. Grazie di cuore per quello che fate e per come lo fate, a nome mio e della Camera dei deputati.