Intervento della Presidente alla II Sessione del 14° Meeting dei Presidenti dei Parlamenti dei Paesi del G7 dal titolo 'Il contributo parlamentare al rafforzamento del quadro di pace e sicurezza'
Caro Presidente Oshima, molte grazie, innanzitutto, per avermi chiesto di intervenire come relatrice nella sessione finale della Conferenza dei Presidenti delle Camere basse dei Paesi Membri del G7. Lei ha scelto alcuni uno temi cruciali per i nostri tempi. Ma quando ne parliamo, innanzitutto, dobbiamo chiederci: cosa intendiamo esattamente per 'pace' e 'sicurezza'?
La sicurezza ci viene chiesta dai nostri cittadini anche per quanto riguarda i disastri naturali. Il Giappone è all'avanguardia nella prevenzione e nella preparazione per le calamità naturali. Ieri so che, in occasione della Giornata naturale dedicata a questa questione, quasi un milione di cittadini è stato coinvolto in un'esercitazione.
Cari colleghi, da ex funzionaria delle Nazioni Unite, per le quali ho lavorato per quasi venticinque anni, occupandomi di aiuti umanitari, alimentazione e rifugiati, posso affermare con certezza che la pace e la sicurezza sono i prerequisiti fondamentali per poter ricostruire una società democratica e guardare al futuro.
Non vi possono essere sviluppo e rispetto dei diritti finché le armi non tacciono. Finché le milizie non smobilitano, finché le vittime non ottengono giustizia e finché chi ha combattuto non si vede offrire opportunità alternative alla guerra.
E allora dobbiamo chiederci: come possiamo impegnarci per far sì che tutti i popoli possano vivere in pace e sicurezza, sempre e ovunque si trovino?
Innanzitutto dobbiamo, da Presidenti di Parlamento, assicurarci che vengano ratificati i Trattati internazionali (laddove, ovviamente, i Parlamenti hanno questo ruolo).
Tra anni fa, ad esempio, il Parlamento italiano ha ratificato il Trattato internazionale sul commercio delle armi, entrato poi in vigore a fine 2014.
Allo stesso modo, i disastri naturali si moltiplicheranno, mettendo a repentaglio la sicurezza e la pace, se non daremo seguito agli impegni sottoscritti per arrestare il cambiamento climatico. Nelle prossime settimane, il Parlamento - quello italiano come quelli di molti altri Paesi dove vige questa modalità di ratifica - verrà chiamato a ratificare lo storico Accordo di Parigi.
Il Parlamento gioca un ruolo fondamentale non solo nel ratificare accordi internazionali o nell'approvare leggi, ma anche nel monitorare la loro attuazione e nel chiederne conto al governo. Negli ultimi mesi, a titolo d'esempio, sono state presentate interrogazioni parlamentari in Italia in cui si chiede di verificare se le vendite di armi e munizioni pesanti all'Arabia Saudita, impegnata in un conflitto in Yemen in cui continuano a morire donne, bambini e personale medico, possa essere in contrasto con la normativa interna e con i nostri obblighi internazionali. E' importante che i deputati svolgano questo lavoro.
Così come molti parlamentari sono attivi nello spronare l'esecutivo affinché l'Italia si ponga all'avanguardia nella riconversione energetica, in modo da tagliare drasticamente le nostre emissioni di gas serra. Noi Parlamenti abbiamo la possibilità di far pressione sugli esecutivi affinché si pongano le condizioni per la pace.
Anche nel definire le modalità della partecipazione alle operazioni di peacekeeping, il Parlamento può giocare un ruolo importante. Tali operazioni sono spesso indispensabili per far sì che conflitti appena terminati o anche sopiti da tempo non deflagrino nuovamente. Ne ho avuto la conferma ancora una volta, dopo le molte missioni umanitarie che ho potuto effettuare soltanto grazie ai caschi blu dell'ONU, nel corso della mia recente visita ufficiale in Libano, quando ho visitato la missione UNIFIL, allora sotto comando italiano. Una missione che va avanti da anni, ma che, in quel contesto in Medio Oriente, svolge un ruolo fondamentale per mantenere la pace.
Cari colleghi, oltre a quanto già esposto, dobbiamo fare tutto il possibile, come Presidenti di Parlamento, per andare alla radice del problema, attivandoci per porre fine ai conflitti. Se i conflitti non cessano, anche la nostra sicurezza ne risente. E' nel nostro interesse.
Innanzitutto, dobbiamo esercitare ogni pressione sugli esecutivi affinché si attivino concretamente per far cessare le guerre in atto nel mondo. Noi conviviamo con guerre che vanno avanti da anni: guardate la Siria, la causa della più grave crisi umanitaria di sempre, o il Sud Sudan, o la Repubblica democratica del Congo, dove la guerra non è mai terminata.
Al tempo stesso, noi Presidenti di Parlamento dobbiamo moltiplicare il sostegno alle azioni di rafforzamento delle istituzioni parlamentari nei Paesi dov'è in corso una transizione democratica. Possiamo fare diplomazia parlamentare! Possiamo stipulare protocolli per sostenere gli sforzi di questi Paesi. La Camera dei deputati ha stipulato protocolli di collaborazione bilaterale con i Parlamenti di molti Paesi, dall'Afghanistan alla Turchia, dall'Iran alla Bosnia-Erzegovina. Assieme all'Assemblea nazionale francese, a Claude Bartolone, stiamo inoltre aiutando la Tunisia a rafforzare la democrazia. Perché, cari colleghi, la democrazia non si esporta, ma si può rafforzare, attraverso scambi e formazione.
Noi che abbiamo il privilegio di vivere in pace da oltre settant'anni, siamo però veramente al riparo dai conflitti e dall'instabilità? Se non ci sono pace e sicurezza fuori dai nostri Paesi, ne subiremo le conseguenze anche noi.
L'abbiamo visto l'anno scorso! C'è voluta una marcia silenziosa di un milione di persone fino al cuore dell'Europa per costringerci ad occuparci della Siria.
Nell'epoca dei social media, sempre più rifugiati decideranno di non fermarsi più nei Paesi limitrofi, ma cercheranno di raggiungere l'Occidente. E attraverso gli stessi mezzi di comunicazione, sempre più migranti economici cercheranno una vita migliore altrove. Questo è un problema di cui tutti dobbiamo occuparci; non ci può essere un unico Paese che si fa carico del problema. Perché i rifugiati che arrivano in Italia vogliono andare in Inghilterra: magari passano dalla Francia, da Calais, ma puntano all'Inghilterra.
E' anche per questo, dunque, che ce ne dobbiamo occupare. Perché se noi non stabilizzeremo questi Paesi, con un grande piano di sviluppo e investimenti, verremo destabilizzati a nostra volta. Quando parlo di sviluppo, cari colleghi, non parlo soltanto di crescita economica, ma di scuole ed ospedali, che spesso in molti Paesi africani sono quasi inesistenti. Come accadde settant'anni fa, quando gli Stati Uniti ebbero la lungimiranza di contribuire in maniera massiccia alla ricostruzione ed al rilancio delle economie di molti dei nostri Paesi, ridotti in macerie dalla Seconda Guerra mondiale, dobbiamo lanciare un grande Piano Marshall per l'Africa, il continente più giovane e più instabile del mondo. Questo continente ha molte potenzialità, ma evidentemente ha molti problemi strutturali da risolvere.
La sicurezza - o l'assenza di sicurezza - non è quindi un tema che riguarda soltanto Paesi lontani. I nostri cittadini sono in preda alla paura quando vedono gli attentati che avvengono in molti Paesi occidentali, come lo sono dal fatto che molti dei terroristi siano cittadini dei Paesi che vengono colpiti, che siano persone radicalizzate online o foreign fighters di ritorno, reduci dai campi di battaglia della Siria e dell'Iraq.
A spaventare i nostri cittadini sono anche le azioni distruttive che proliferano su Internet: hacker che distruggono siti web o compromettono la sicurezza nazionale insinuandosi nelle piattaforme digitali dei servizi di intelligence o delle forze armate. Vi prego di non sottovalutare il web! Grazie all'anonimato della Rete, c'è chi aggredisce con violenza donne, minoranze ed altre persone. E' grazie alla Rete che agiscono i terroristi.
Sul web dobbiamo tutelare i diritti di tutti. E' un convincimento che sottende la Dichiarazione congiunta sui Diritti in Internet che io ed il collega Bartolone firmammo quasi un anno fa a Parigi e che attinge ai documenti prodotti dalle Commissioni apposite costituite presso le rispettive Assemblee. Il Parlamento non può delegare la tutela dei diritti ad altri.
Il hate speech è un altro tema chiave. John Bercow ha già menzionato questo fatto, ma ho deciso d'intitolare la Commissione ad hoc della Camera su questo tema alla figura di Jo Cox.
Ma i nostri cittadini, cari colleghi, sono spaventati non soltanto dal terrorismo e da altre minacce violente, ma anche dalla crescita delle diseguaglianze e dall'assottigliamento della classe media.
Europa: la migliore buona pratica al mondo per quanto riguarda pace e sicurezza
Cari colleghi, come alcuni di voi sanno - perché condividono con me questa battaglia - la strada per la sicurezza in Europa, il continente da cui provengono ben quattro dei sette rappresentanti dei Parlamenti qui riuniti, non può che passare da una maggiore collaborazione tra i nostri Paesi. Tra i nostri servizi d'intelligence, tra le nostre forze di polizia, contro il terrorismo.
E' un obiettivo, quello di una maggiore integrazione europea, per il quale vale la pena battersi. Ne costituisce la prova più evidente il fatto che, dopo secoli di guerre fratricide in cui sono morti milioni di uomini, donne e bambini, l'Europa viva da oltre settant'anni in condizioni di pace. Non era mai accaduto prima; è potuto accadere perché ci siamo ritrovati all'interno di un'unica Unione. D'altronde, come diceva Kant, per garantire la pace bisogna federare gli Stati.
Oggi, la migliore 'buona pratica' al mondo per quanto riguarda la pace e la sicurezza è l'Europa unita. Questo è quello che vogliono i nostri partner. Di questo c'è bisogno.
Cari colleghi, permettetemi di ricordarvi che l'anno prossimo saremo noi ad ospitare il G7 delle Camere basse. Ascolterò le vostre richieste per capire in quale data sia meglio organizzarlo. Sicuramente parleremo di migrazioni e di energia.
Intervento della Presidente alla II Sessione del 14° Meeting dei Presidenti dei Parlamenti dei Paesi del G7 dal titolo 'Il contributo parlamentare al rafforzamento del quadro di pace e sicurezza'
Caro Presidente Oshima, molte grazie, innanzitutto, per avermi chiesto di intervenire come relatrice nella sessione finale della Conferenza dei Presidenti delle Camere basse dei Paesi Membri del G7. Lei ha scelto alcuni uno temi cruciali per i nostri tempi. Ma quando ne parliamo, innanzitutto, dobbiamo chiederci: cosa intendiamo esattamente per 'pace' e 'sicurezza'?
La sicurezza ci viene chiesta dai nostri cittadini anche per quanto riguarda i disastri naturali. Il Giappone è all'avanguardia nella prevenzione e nella preparazione per le calamità naturali. Ieri so che, in occasione della Giornata naturale dedicata a questa questione, quasi un milione di cittadini è stato coinvolto in un'esercitazione.
Cari colleghi, da ex funzionaria delle Nazioni Unite, per le quali ho lavorato per quasi venticinque anni, occupandomi di aiuti umanitari, alimentazione e rifugiati, posso affermare con certezza che la pace e la sicurezza sono i prerequisiti fondamentali per poter ricostruire una società democratica e guardare al futuro.
Non vi possono essere sviluppo e rispetto dei diritti finché le armi non tacciono. Finché le milizie non smobilitano, finché le vittime non ottengono giustizia e finché chi ha combattuto non si vede offrire opportunità alternative alla guerra.
E allora dobbiamo chiederci: come possiamo impegnarci per far sì che tutti i popoli possano vivere in pace e sicurezza, sempre e ovunque si trovino?
Innanzitutto dobbiamo, da Presidenti di Parlamento, assicurarci che vengano ratificati i Trattati internazionali (laddove, ovviamente, i Parlamenti hanno questo ruolo).
Tra anni fa, ad esempio, il Parlamento italiano ha ratificato il Trattato internazionale sul commercio delle armi, entrato poi in vigore a fine 2014.
Allo stesso modo, i disastri naturali si moltiplicheranno, mettendo a repentaglio la sicurezza e la pace, se non daremo seguito agli impegni sottoscritti per arrestare il cambiamento climatico. Nelle prossime settimane, il Parlamento - quello italiano come quelli di molti altri Paesi dove vige questa modalità di ratifica - verrà chiamato a ratificare lo storico Accordo di Parigi.
Il Parlamento gioca un ruolo fondamentale non solo nel ratificare accordi internazionali o nell'approvare leggi, ma anche nel monitorare la loro attuazione e nel chiederne conto al governo. Negli ultimi mesi, a titolo d'esempio, sono state presentate interrogazioni parlamentari in Italia in cui si chiede di verificare se le vendite di armi e munizioni pesanti all'Arabia Saudita, impegnata in un conflitto in Yemen in cui continuano a morire donne, bambini e personale medico, possa essere in contrasto con la normativa interna e con i nostri obblighi internazionali. E' importante che i deputati svolgano questo lavoro.
Così come molti parlamentari sono attivi nello spronare l'esecutivo affinché l'Italia si ponga all'avanguardia nella riconversione energetica, in modo da tagliare drasticamente le nostre emissioni di gas serra. Noi Parlamenti abbiamo la possibilità di far pressione sugli esecutivi affinché si pongano le condizioni per la pace.
Anche nel definire le modalità della partecipazione alle operazioni di peacekeeping, il Parlamento può giocare un ruolo importante. Tali operazioni sono spesso indispensabili per far sì che conflitti appena terminati o anche sopiti da tempo non deflagrino nuovamente. Ne ho avuto la conferma ancora una volta, dopo le molte missioni umanitarie che ho potuto effettuare soltanto grazie ai caschi blu dell'ONU, nel corso della mia recente visita ufficiale in Libano, quando ho visitato la missione UNIFIL, allora sotto comando italiano. Una missione che va avanti da anni, ma che, in quel contesto in Medio Oriente, svolge un ruolo fondamentale per mantenere la pace.
Cari colleghi, oltre a quanto già esposto, dobbiamo fare tutto il possibile, come Presidenti di Parlamento, per andare alla radice del problema, attivandoci per porre fine ai conflitti. Se i conflitti non cessano, anche la nostra sicurezza ne risente. E' nel nostro interesse.
Innanzitutto, dobbiamo esercitare ogni pressione sugli esecutivi affinché si attivino concretamente per far cessare le guerre in atto nel mondo. Noi conviviamo con guerre che vanno avanti da anni: guardate la Siria, la causa della più grave crisi umanitaria di sempre, o il Sud Sudan, o la Repubblica democratica del Congo, dove la guerra non è mai terminata.
Al tempo stesso, noi Presidenti di Parlamento dobbiamo moltiplicare il sostegno alle azioni di rafforzamento delle istituzioni parlamentari nei Paesi dov'è in corso una transizione democratica. Possiamo fare diplomazia parlamentare! Possiamo stipulare protocolli per sostenere gli sforzi di questi Paesi. La Camera dei deputati ha stipulato protocolli di collaborazione bilaterale con i Parlamenti di molti Paesi, dall'Afghanistan alla Turchia, dall'Iran alla Bosnia-Erzegovina. Assieme all'Assemblea nazionale francese, a Claude Bartolone, stiamo inoltre aiutando la Tunisia a rafforzare la democrazia. Perché, cari colleghi, la democrazia non si esporta, ma si può rafforzare, attraverso scambi e formazione.
Noi che abbiamo il privilegio di vivere in pace da oltre settant'anni, siamo però veramente al riparo dai conflitti e dall'instabilità? Se non ci sono pace e sicurezza fuori dai nostri Paesi, ne subiremo le conseguenze anche noi.
L'abbiamo visto l'anno scorso! C'è voluta una marcia silenziosa di un milione di persone fino al cuore dell'Europa per costringerci ad occuparci della Siria.
Nell'epoca dei social media, sempre più rifugiati decideranno di non fermarsi più nei Paesi limitrofi, ma cercheranno di raggiungere l'Occidente. E attraverso gli stessi mezzi di comunicazione, sempre più migranti economici cercheranno una vita migliore altrove. Questo è un problema di cui tutti dobbiamo occuparci; non ci può essere un unico Paese che si fa carico del problema. Perché i rifugiati che arrivano in Italia vogliono andare in Inghilterra: magari passano dalla Francia, da Calais, ma puntano all'Inghilterra.
E' anche per questo, dunque, che ce ne dobbiamo occupare. Perché se noi non stabilizzeremo questi Paesi, con un grande piano di sviluppo e investimenti, verremo destabilizzati a nostra volta. Quando parlo di sviluppo, cari colleghi, non parlo soltanto di crescita economica, ma di scuole ed ospedali, che spesso in molti Paesi africani sono quasi inesistenti. Come accadde settant'anni fa, quando gli Stati Uniti ebbero la lungimiranza di contribuire in maniera massiccia alla ricostruzione ed al rilancio delle economie di molti dei nostri Paesi, ridotti in macerie dalla Seconda Guerra mondiale, dobbiamo lanciare un grande Piano Marshall per l'Africa, il continente più giovane e più instabile del mondo. Questo continente ha molte potenzialità, ma evidentemente ha molti problemi strutturali da risolvere.
La sicurezza - o l'assenza di sicurezza - non è quindi un tema che riguarda soltanto Paesi lontani. I nostri cittadini sono in preda alla paura quando vedono gli attentati che avvengono in molti Paesi occidentali, come lo sono dal fatto che molti dei terroristi siano cittadini dei Paesi che vengono colpiti, che siano persone radicalizzate online o foreign fighters di ritorno, reduci dai campi di battaglia della Siria e dell'Iraq.
A spaventare i nostri cittadini sono anche le azioni distruttive che proliferano su Internet: hacker che distruggono siti web o compromettono la sicurezza nazionale insinuandosi nelle piattaforme digitali dei servizi di intelligence o delle forze armate. Vi prego di non sottovalutare il web! Grazie all'anonimato della Rete, c'è chi aggredisce con violenza donne, minoranze ed altre persone. E' grazie alla Rete che agiscono i terroristi.
Sul web dobbiamo tutelare i diritti di tutti. E' un convincimento che sottende la Dichiarazione congiunta sui Diritti in Internet che io ed il collega Bartolone firmammo quasi un anno fa a Parigi e che attinge ai documenti prodotti dalle Commissioni apposite costituite presso le rispettive Assemblee. Il Parlamento non può delegare la tutela dei diritti ad altri.
Il hate speech è un altro tema chiave. John Bercow ha già menzionato questo fatto, ma ho deciso d'intitolare la Commissione ad hoc della Camera su questo tema alla figura di Jo Cox.
Ma i nostri cittadini, cari colleghi, sono spaventati non soltanto dal terrorismo e da altre minacce violente, ma anche dalla crescita delle diseguaglianze e dall'assottigliamento della classe media.
Europa: la migliore buona pratica al mondo per quanto riguarda pace e sicurezza
Cari colleghi, come alcuni di voi sanno - perché condividono con me questa battaglia - la strada per la sicurezza in Europa, il continente da cui provengono ben quattro dei sette rappresentanti dei Parlamenti qui riuniti, non può che passare da una maggiore collaborazione tra i nostri Paesi. Tra i nostri servizi d'intelligence, tra le nostre forze di polizia, contro il terrorismo.
E' un obiettivo, quello di una maggiore integrazione europea, per il quale vale la pena battersi. Ne costituisce la prova più evidente il fatto che, dopo secoli di guerre fratricide in cui sono morti milioni di uomini, donne e bambini, l'Europa viva da oltre settant'anni in condizioni di pace. Non era mai accaduto prima; è potuto accadere perché ci siamo ritrovati all'interno di un'unica Unione. D'altronde, come diceva Kant, per garantire la pace bisogna federare gli Stati.
Oggi, la migliore 'buona pratica' al mondo per quanto riguarda la pace e la sicurezza è l'Europa unita. Questo è quello che vogliono i nostri partner. Di questo c'è bisogno.
Cari colleghi, permettetemi di ricordarvi che l'anno prossimo saremo noi ad ospitare il G7 delle Camere basse. Ascolterò le vostre richieste per capire in quale data sia meglio organizzarlo. Sicuramente parleremo di migrazioni e di energia.