11/11/2016
Venezia, Università Ca’ Foscari

Saluto introduttivo alla Conferenza in memoria di Valeria Solesin dal titolo ‘Come on girls, let’s work! Allez les filles, au travail! Forza ragazze, al lavoro!’, promossa dall’Università Ca’ Foscari di Venezia

E' un onore essere qui oggi ed è anche doveroso per un'istituzione esserci.

Valeria è una nostra figlia, una figlia del nostro tempo, che aveva messo al centro dei suoi studi una grande questione: quella dell'occupazione femminile, del ruolo delle donne nella nostra società.

Ma prima di entrare nel merito di questo tema, che come sapete mi sta molto a cuore, voglio mandare un caloroso abbraccio ai genitori di Valeria, Luciana ed Alberto, e al fratello Dario, che sono qui seduti in prima fila. Voglio ringraziarli per come hanno educato Valeria, per i valori che le hanno passato e per come tengono oggi alti quei valori. Lo hanno fatto fin da subito, in occasione del funerale della loro figlia, e lo stanno facendo anche ora. Li ringrazio per come hanno affrontato questo grandissimo dolore.

Ringrazio per l'invito ad essere qui oggi, all'Università Ca' Foscari, il Rettore Michele Bugliesi, la professoressa Paola Profeta - so quanto si è prodigata - e la professoressa Brugiavini. Ringrazio la giovane presidente Damiano, i relatori e le relatrici che seguiranno, il corpo docente, le autorità, il prefetto, il questore, le autorità militari e ringrazio tutti voi, ragazze e ragazzi, che siete qui presenti.

Oggi vorrei parlare di Valeria studiosa e della sua passione, dei suoi studi post-laurea, di come lei si sia cimentata in un tema che è di grande attualità: che ruolo devono avere le donne nella nostra società? Perché ancora oggi si devono trovare di fronte al dilemma se crescere i figli o avere una carriera? Questa era la domanda che Valeria si faceva affrontando la questione dal punto di vista sociologico, della ricerca, e tutto il suo lavoro tende a rispondere a questa domanda: perché noi donne dobbiamo fare questa scelta?

Il tema è tristemente di grande attualità. Sembra quasi paradossale, nel 2016, ma i dati ce lo rilanciano con forza. Che cosa ci dicono i numeri? Che in Italia solo il 47% delle donne lavora. Una delle percentuali più basse in Europa. La media europea è infatti il 60%. Dunque, noi siamo sotto di molti punti.

E quando andiamo a vedere la situazione delle ragazze, la cosa va anche peggio: le giovani che vivono nel nostro paese, con meno di 30 anni e anche un figlio - come è normale che sia - sono le più penalizzate. La loro incidenza tra i cosiddetti NEET - Not in Education, Employment or Training - arriva al 64,4%. Una percentuale che stride ancora di più se paragonata a quella dei giovani padri che sono nella stessa condizione: solo il 14%.

Quindi le nostre figlie, che hanno a loro volta un figlio e che pretendono di avere un ruolo sociale, un lavoro, si trovano di fronte a un muro. C'è da chiedersi perché questo accada, e Valeria se lo chiedeva continuamente nella sua ricerca.

Sicuramente nel nostro Paese accade perché non abbiamo un sistema di welfare che consenta alle donne di riuscire a fare tutto: perché alle donne si chiede di fare tutto. Ma poi anche perché c'è una mentalità, una condizione culturale che ostacola questo procedimento, e a volte le leggi non aiutano. Ve lo dico con rammarico, perché noi siamo ancora fermi ad una condizione per cui il congedo parentale nel nostro paese è soltanto di due giorni.

Io ringrazio Tito Boeri, il presidente dell'Inps che vedo qui e saluto, per aver sollevato con forza questo tema. Vedete, ancora noi riteniamo che un padre debba essere esentato dall'esercitare le sue funzioni di padre nei primi tempi di vita del bambino. Pensiamo che se ne occuperà dopo. Invece no: la paternità, come la maternità, è una condizione da esercitare subito, non si rimanda a quando il bambino sarà più grande. Dunque il congedo parentale deve esserci, perché consente di vivere la genitorialità in un modo condiviso, come è giusto che sia.

Valeria nelle sue ricerche sosteneva con forza proprio questo: che la condivisione degli oneri familiari è alla base della parità tra uomo e donna, perché laddove c'è mancanza di equità e mancanza di suddivisione di responsabilità, ad essere penalizzate sono le donne. E sono loro che diventano meno competitive nel mercato del lavoro. Quindi dare alla donna questa responsabilità pressoché totale del figlio non solo denota un ritardo culturale, ma è una condizione che penalizza moltissimo il nostro Paese.

Se è con rammarico che parlo dell'esiguo congedo parentale - per così dire - parlo invece con soddisfazione di altre cose fatte. Alla Camera non siamo rimasti con le mani in mano in questa legislatura. Io, fin dall'inizio, ho messo la questione della parità tra le cose per me più importanti in questo Paese. Nel mio discorso di insediamento - in modo molto irrituale, come mi è stato fatto presente - ho parlato di questo: della parità, della violenza mascherata da amore.

E poi ci siamo portate avanti perché il primo atto parlamentare che abbiamo votato è stata la Convenzione di Istanbul, una pietra miliare perché stabilisce un principio fondamentale: che la violenza sulle donne è una violazione dei diritti umani, non è una questione domestica, familiare, da gestire all'interno delle quattro mura. No, è una questione che riguarda lo Stato perché vìola i diritti, e lo Stato se ne deve occupare.

E poi abbiamo approvato il decreto sul femminicidio che è diventato legge, abbiamo inasprito le pene per la violenza domestica, per i maltrattamenti, per lo stalking, abbiamo anche stabilito un fondo per i centri anti violenza.

Poi siamo andati ancora avanti e a settembre del 2014 alla Camera, in prima lettura, abbiamo approvato la legge sul cognome della madre, anche se oggi l'iter non si è ancora concluso. E' stata la Consulta, pochi giorni fa, a dire che è illegittimo dare automaticamente il cognome del solo padre quando i genitori vogliono dare anche quello della madre. Certo, avrei preferito che ci arrivasse il Parlamento, ma ciò nonostante questo è un passaggio molto importante per il nostro Paese.

Inoltre ho voluto fare alla Camera una cosa che non era mai stata fatta prima: l'istituzione di un Intergruppo donne, cioè donne deputate che prima di essere espressioni di partiti politici sono donne e, dunque, devono riuscire a lavorare insieme sui temi che le riguardano. Cosa facciamo in questo Intergruppo? Cerchiamo di fare provvedimenti, emendamenti che vadano a ribadire il concetto di parità. Lo stiamo facendo adesso, in occasione della legge di bilancio. Ci sono già degli emendamenti pronti. Ad esempio quello di dedurre fino al 50% le spese per colf e babysitter. Sul congedo di paternità stiamo preparando un emendamento che lo faccia arrivare a 15 giorni.

Il Parlamento ha il dovere almeno di provarci, anche se mi rendo conto che ci sono delle questioni che riguardano le coperture finanziarie, che non sono di secondo ordine.

Nonostante ciò ritengo che vada fatto e lo avevamo fatto anche l'anno scorso quando, sempre a novembre, nella data simbolica del giorno dedicato a ricordare al mondo la violenza contro le donne, avevamo intitolato un convegno dal titolo "La ripresa è donna" proprio alla memoria di Valeria.

Quindi già questo approccio lo avevamo tenuto un anno fa. Perché il giorno in cui si ricorda la violenza contro le donne? Perché, vedete, se in famiglia c'è violenza e una donna non lavora, una donna non ha neanche la libertà di andarsene. Ecco perché il lavoro diventa l'antidoto anche contro la violenza, perché dà alla donna più libertà di scegliere la propria vita ma anche perché il lavoro delle donne è qualcosa che fa bene al Paese. Se una donna lavora - sostengono la Banca d'Italia e anche il Fondo monetario internazionale - la produttività aumenta; e il fatto che l'Italia finora non abbia rilanciato l'occupazione femminile come condizione per la ripresa del nostro paese, secondo l'Fmi le fa perdere 15 punti di PIL potenziale. Quindi il lavoro delle donne non è solo una battaglia delle donne: è qualcosa che dovrebbe essere portato avanti nell'interesse del Paese.

E che succede quando le donne riescono a fare una carriera? Ecco, c'è un aspetto che vorrei portare alla vostra attenzione, perché è curioso che ad un certo punto il linguaggio non ci segua, si inceppi. Voglio dire che quando una donna lavora noi decliniamo la sua occupazione al femminile, come è giusto che sia. La nostra è una lingua neolatina, quindi diciamo, senza che nessuno abbia da contestare, 'operaia'. 'Operaia' è cacofonico? 'Contadina' lo abbiamo sempre detto…qualcuno dice che non si può sentire? No.

Ma molti cominciano a storcere il naso quando si dice 'avvocata': "è brutto". 'Ingegnera'? Non ne parliamo! Quando poi arriviamo a 'ministra', a 'sindaca', c'è qualcuno che si sente quasi male.

Come succede che noi si faccia un percorso e poi, dal punto di vista linguistico, questo percorso non ci segua, non ci venga riconosciuto da punto di vista della declinazione?

Anche in questi giorni ho notato una cosa che mi ha fatto riflettere: a seguire le elezioni americane le nostre tv hanno mandato molte donne. Questo è un dato positivo, me ne rallegro. Poi però nel sottopancia c'era scritto 'dal nostro inviato', 'dal nostro corrispondente' e vedevi un volto di donna. Che vuol dire? Perché non si scrive nel sottopancia 'dalla nostra inviata', 'dalla nostra corrispondente'? Perché dobbiamo mascolinizzare una donna che fa un mestiere che si è guadagnata di fare?

Sottopongo alla vostra attenzione anche questo aspetto culturale. Alla Camera al riguardo ho voluto dare un segnale. Per la prima volta, a Montecitorio, gli atti parlamentari prevedono il femminile. Prima esisteva solo "il deputato", "il deputato Laura Rossi", "il ministro Paola Bianchi". Oggi esiste anche il genere femminile negli atti parlamentari.

E' stato un passaggio che potrebbe sembra scontato, ma non lo è. In Aula più volte ci sono state situazioni quasi divertenti. Io ho invitato i deputati e le deputate a rispettare il genere delle colleghe che parlavano, che prendevano la parola, e anche il mio genere. Io non sono "signor presidente": perché se io sono "signor presidente", il deputato che si rivolge a me in questo modo è "signora deputata". Ci dobbiamo capire, perché se fa sorridere "signora deputata", fa anche sorridere "signor presidente".

Certo, il linguaggio non è l'unica cosa che fa fatica ad avanzare. C'è anche un altro aspetto che non funziona: quando uomini e donne fanno lo stesso lavoro, non guadagnano la stessa cifra. Non funziona affatto.

Lo sciopero simbolico - lo avrete visto - delle donne francesi , il 7 novembre scorso, nasce dalla pubblicazione dei dati Eurostat sul gender pay gap. Il gender pay gap ci dice che è come se noi donne, da un certo punto dell'anno, lavorassimo gratis, perché i nostri stipendi sono inferiori a quelli dei nostri colleghi uomini. Le francesi hanno fatto un calcolo e hanno detto che dal 7 novembre alla fine dell'anno è come se loro lavorassero gratis. Allora hanno fatto uno sciopero simbolico per dire "basta, noi non ci stiamo più".

Che succede in Italia? Che cosa dice Eurostat dell'Italia? In Italia, ad una prima occhiata, sembra che le cose vadano meglio, pare che il gap dell'Italia rispetto a questo ambito salariale, sia del 6%. Quindi noi dovremmo iniziare a far sciopero dal 9 dicembre. Ma questo dato del 6% trae in inganno e tutti noi sappiamo perché. Le statistiche, ovviamente, non includono il lavoro non dichiarato, cioè il lavoro nero, e molte donne nel nostro Paese lavorano appunto senza un regolare contratto: in nero, come si dice.

Quindi resta difficile stabilire una data per fare questo sciopero, perché una fetta del lavoro femminile non è rintracciabile nelle statistiche, specialmente al meridione, e non possiamo fare un calcolo che rispecchi la realtà del nostro Paese.

Non possiamo fare questo sciopero simbolico, ma abbiamo comunque bisogno di simboli. Per questo alla Camera ho voluto abbassare a mezz'asta l'8 marzo la bandiera italiana sulla piazza di Montecitorio, in segno di lutto. Per lo stesso motivo ho voluto esporre un drappo rosso nella facciata di Montecitorio, e lo terrò lì fintanto che continuerà questa mattanza delle donne.

Due giorni fa un'altra donna uccisa a Sassari. Perché? Perché il marito non si rassegnava ad essere lasciato, allora meglio morta che con un altro.

Ed è importante che le istituzioni si facciano sentire: perché le istituzioni non sono vestali, sono l'espressione del Paese. Ecco perché sono andata alla manifestazione a Reggio Calabria, organizzata per dire no alla violenza del branco contro una quattordicenne. Per dire no perché nel branco c'è anche il figlio del boss, per dire no alla 'ndrangheta. Sono andata alla manifestazione per dire no all'indifferenza che spesso avvolge tutto questo, perché c'è vergogna. Ma chi si deve vergognare? La ragazza violata e umiliata, o lo stupratore?

Per questo è importante che ci siano i simboli. Ed è per questo che a Montecitorio ho voluto dedicare una sala alle donne della nostra Repubblica. Montecitorio è un palazzo molto bello, pieno di busti in marmo bellissimi, ma tra questi non c'era una donna. Eppure la nostra Repubblica è stata fatta anche grazie alle madri costituenti. Ecco perché ho voluto esporre i ritratti delle 21 costituenti, con le loro storie, i loro profili, perché loro sono degli esempi. Ho voluto mettere le dieci sindache elette nel '46: di loro non c'era traccia, le abbiamo recuperate dopo mesi di lavoro negli archivi. Ho voluto mettere la prima donna Presidente della Camera, Nilde Iotti; la prima donna ministra, Tina Anselmi, la grande Tina Anselmi, scomparsa pochi giorni fa; la prima presidente di una Regione, Anna Nenna D'Antonio.

Queste sono donne che hanno aiutato noi a portarci avanti, non è possibile che non ce ne sia rappresentanza visiva nelle nostre istituzioni.

Concludo citando proprio le parole di Tina Anselmi, prima donna ministra dopo 36 governi e 836 ministri, tutti rigorosamente uomini. Tutte noi dobbiamo molto a Tina Anselmi che più volte disse: "Quando le donne fanno delle battaglie e le vincono, la vittoria va a vantaggio di tutto il Paese". Quindi, siccome la strada da fare è molto lunga, chiudo con le parole di Valeria che ci esorta ad andare avanti e che ci dice: "Forza ragazze, al lavoro!".

Vi ringrazio.