27/02/2017
Montecitorio, Sala della Lupa

Presentazione della relazione finale del Comitato di saggi sullo stato e le prospettive dell'Unione europea

Buongiorno a tutte e a tutti.

Ringrazio e saluto il sottosegretario agli Affari europei Sandro Gozi per essere qui, e tutte le personalità presenti. Mi fa particolarmente piacere vedere la signora De Gasperi e voi, ragazze e ragazzi, che avete deciso di essere con noi per parlare di un tema che ci riguarda tutti.

Un ringraziamento speciale va al 'Comitato di saggi sullo stato e le prospettive dell'Unione europea': Enzo Moavero Milanesi, che lo presiede, Pier Virgilio Dastoli, Tiziana Di Simone, Enrico Giovannini, Eva Giovannini, Simone Fissòlo e Arianna Montanari. Sono davvero grata per il lavoro che avete fatto, un lavoro articolato che rappresenta un contributo importante al dibattito in corso sulla crisi dell'Unione europea, ma anche sul processo di integrazione.

Noi oggi apriamo la strada alle celebrazioni ufficiali dell'imminente Sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma. Inizieremo noi, Camera e Senato, con i Presidenti di Parlamento e con le delegazioni parlamentari, il 17 di marzo. Si terrà una sessione mattutina qui a Montecitorio e nel pomeriggio ci sposteremo al Senato.

Poi il 22 marzo ci sarà una seduta solenne delle due Camere, sempre qui a Montecitorio, alla presenza del Capo dello Stato. E il 25 ci sarà l'evento governativo con i capi di Stato e di Governo dei 27 Paesi. Accanto a questo calendario ci sarà tutta una parte non istituzionale, ma non per questo non importante, che comprenderà molti eventi della società civile, tra cui l'iniziativa del movimento federalista e dei giovani federalisti. Insomma, Roma tornerà ad essere, in quella settimana, capitale europea per tutti gli eventi che si susseguiranno.

Ma cosa dobbiamo augurarci che accada in questo anniversario? Qual è il nostro auspicio? Penso debba essere quello di poca retorica. Credo che lo dobbiamo a questa Europa sessantenne. Dovremo richiamare l'attenzione su quanto abbiamo fatto, che è un percorso straordinario, mai valorizzato abbastanza. Ma dovremo anche dirci quello che non va e, soprattutto, quello che vogliamo fare, in quale direzione vogliamo andare. Una cosa che dobbiamo fare in tempo utile, perché non ne abbiamo più tanto tempo davanti.

Io, personalmente, non ho alcuna intenzione di rassegnarmi al fatto che questa Europa ceda sotto i colpi dei nazionalisti, dei populisti. Non ho alcuna intenzione di accettare l'immobilismo o la politica dei piccoli passi. Questo è il regalo più grande che noi abbiamo fatto finora a chi vuole disgregare l'Unione Europea.

La bufera non passerà da sola. Si placherà se noi sapremo riportare il sereno. E come facciamo? Rilanciando con forza un progetto europeo fedele agli ideali dei Padri fondatori ma anche ascoltando di più i nostri cittadini, traducendo le loro richieste in azioni concrete.

E' su questo punto che voglio richiamare la vostra attenzione: le richieste dei cittadini. Oggi si presenta un Rapporto che nasce proprio da questo. Un percorso nato qui alla Camera, il 14 settembre del 2015, un anno e mezzo fa, quando firmammo un documento che si chiamava 'Più integrazione europea: la strada da percorrere'. A firmare quella Dichiarazione eravamo in quattro, quattro presidenti di Camere basse: la sottoscritta, il Presidente del Bundestag tedesco, il Presidente dell'Assemblea Nazionale francese e il Presidente della Camera dei deputati lussemburghese. Quel giorno noi decidemmo di impegnarci a fare un percorso difficile ma doveroso. Sotto quella Dichiarazione oggi ci sono 15 firme, siamo partiti in 4 e adesso siamo in 15. Ma sia ben chiaro: quel numero non crescerà. È inutile cercare una unanimità che non ci sarà, perché quel documento parla di un cambiamento che non interessa a tutti i Presidenti di Parlamento. Ci sono Presidenti di Parlamento che dicono: "Va bene così. Non sta succedendo niente. Perché questa premura di accelerare, di andare avanti?"

Noi, invece, in quella Dichiarazione diciamo il contrario: non si può stare fermi, bisogna andare avanti perché se ignoriamo il grido che arriva dalla nostra gente saremo complici della disgregazione europea. Questa Dichiarazione è un atto politico: noi Presidenti diciamo che vogliamo più Europa, non meno Europa. Diciamo che non possiamo più ignorare l'impatto sociale delle misure economiche, non possiamo più permettercelo. Diciamo che vogliamo puntare sulla crescita e sull'occupazione. Diciamo che dobbiamo avere il coraggio di condividere sovranità, che vuol dire avere meno peso a livello nazionale ma perché questo è utile per tutti i Paesi dell'Unione Europea. Se noi continuiamo a tenerci stretta la sovranità in ambiti in cui i singoli Stati non possono avere risultati concreti facciamo un torto al nostro Paese e all'Europa. Dunque, ci spingiamo oltre e diciamo "Unione Federale di Stati": questo è il nostro obiettivo.

Oltre al livello istituzionale, bisognava coinvolgere anche i cittadini. Allora ho pensato che questa Dichiarazione doveva essere messa a loro disposizione per capire quale era la direzione. Ho avviato una consultazione pubblica online e ho chiesto a tutti i cittadini di partecipare - perché la democrazia non è solo andare a votare una volta ogni 5 anni, ma è partecipare - di dire la propria e di farlo rispondendo a sette semplici domande che sono state elaborate dall'ISTAT.

Abbiamo chiesto cosa non va in questa Europa e come la vorreste. Hanno partecipato più di diecimila persone e risulta chiaro che il 77% di loro crede ai benefici dell'Europa. Ai cittadini piace la libera circolazione all'interno dell'Unione, il fatto che abbia garantito pace e stabilità, che ci siano scambi culturali.

Poi ci hanno detto anche quello che non piace. Ci hanno detto che l'Unione Europea è stata carente su alcuni ambiti, ci hanno confermato lo scetticismo verso la sua capacità di promuovere occupazione e crescita e anche criticità rispetto al modo in cui sono stati gestiti i flussi migratori.

E ancora, dicono che questo assetto istituzionale è inadeguato, non funziona, e ci chiedono di considerare la necessità di rafforzare il concetto di cittadinanza europea.

Come si fa ad essere cittadino europeo oggi? Se qualcuno volesse diventarlo, da fuori dell'Europa non c'è modo di esserlo, se non attraverso la cittadinanza di uno degli Stati membri. Oggi la cittadinanza europea è un accessorio. E i partecipanti alla consultazione ci chiedono di cambiare questo concetto di cittadinanza europea.

Il comitato dei saggi, composto da personalità indipendenti, autorevoli, che hanno lavorato in assoluta libertà, ha analizzato le risultanze della consultazione e ha tirato delle conclusioni.

Nel Rapporto si mettono in evidenza i benefici di cui ho parlato prima e si capisce benissimo che l'Europa non è affatto da buttare. Gli "eurosaggi" ripercorrono traguardi che oggi noi diamo per scontati e che invece sono stati frutto di anni e anni di lavoro, di negoziati, di mediazioni fatte senza avere le prime pagine dei giornali. Ci ricordano l'importanza di avere l'assistenza sanitaria: se uno di noi si sente male in un altro Paese dell'Unione può andare in ospedale, può avere assistenza medica. Ci ricordano che grazie all'Europa possiamo fare un mutuo per una casa a tassi di interesse bassissimi. Ci ricordano che la qualità del cibo europeo è la più sicura del mondo, che i giocattoli con cui giocano i nostri figli sono anch'essi i più sicuri al mondo. Ci ricordano che se oggi vogliamo sostituire un oggetto perché difettoso possiamo farlo: prima non si poteva. Ci ricordano che telefonare o mandare sms nei paesi dell'Unione Europea si fa senza sovraccarico. Ci ricordano dell'Erasmus, della tutela dell'ambiente, della lotta all'inquinamento che fa l'Europa.

Insomma, ci ricordano tutti i benefici che noi diamo per scontati e che non sappiamo neanche di avere grazie al lavoro del Parlamento europeo e della Commissione Europea.

Chi lavora ai negoziati non ha quasi mai le prime pagine. Invece oggi l'Europa ottiene spesso spazio sui media, ma quasi sempre secondo una narrazione negativa, come se fosse la causa di tutti i mali.

In questa relazione, invece, vengono forniti gli strumenti per promuovere un sentimento di identità e di appartenenza europea, l'orgoglio che dobbiamo avere in quanto europei. E' chiaro che poi la relazione mette in evidenza anche le cose critiche, quello che non va: il disagio sociale, la disoccupazione e la crescita delle diseguaglianze. Ma la relazione ci dice anche che ci sono gli strumenti per migliorare questa Europa, anche a trattati vigenti, e dà dei suggerimenti sulle misure che, a mio avviso, cambierebbero enormemente la percezione dell'Europa: il reddito minimo di dignità, ad esempio. Immaginate come ne cambierebbe la percezione se fosse l'Europa a erogarlo, se l'Europa non si dimenticasse di chi sta male, se fosse l'Europa dei diritti che non lascia nessuno indietro. E anche il sussidio europeo di disoccupazione sarebbe un elemento molto importante per cambiare la percezione europea.

Per fare queste cose, però, si dovrebbe dare al bilancio una consistenza che oggi non ha, perché il bilancio europeo oggi è l'1% del PIL dei paesi europei, mentre negli Stati Uniti d'America il bilancio federale è il 25% del PIL.

Inoltre la Relazione si occupa anche della struttura istituzionale che non funziona, che è inadeguata perché esalta il metodo intergovernativo, e quindi gli interessi nazionali a breve termine a discapito della costruzione europea.

Su questo c'è un'analisi linguistica interessante fatta con lo strumento del word cloud. I tag con le parole più usate associate ai trattati sono: "Unione", "Consiglio", "Europeo" e "Membri". Poi arriva "Sicurezza". Allora mi chiedo: perché, tra le parole più ricorrenti, non c'è "Lavoro", non c'è "Solidarietà", non c'è "Crescita"?.

La Relazione sottolinea, con grande pragmatismo, anche la necessità di prendere in considerazione l'Europa a due velocità. Io condivido assolutamente questa lettura: Europa 'a due velocità', che non può significare però 'a più velocità'. 'A due velocità' vuol dire che chi vuole portarsi avanti verso un'Unione sempre più stretta, verso una federazione, deve poterlo fare. Chi non crede a questo iter può benissimo aspettare, ma non può impedire agli altri di portarsi avanti. Le 'più velocità' invece sarebbero un'altra cosa, cioè che ogni Stato decide quello che gli conviene e quello che non gli conviene. No! Questo ritengo che sia il metodo più sbagliato, perché il pacchetto è unico, non si può scegliere a seconda delle convenienze. No all'Europa à la carte.

Infine, la relazione evoca la necessità di definire una vera cittadinanza europea, che - come vi dicevo prima - non esiste. Non solo dal punto di vista giuridico. Oggi in Francia si diventa cittadini in un modo, in Germania in un altro, in Italia in un altro ancora. C'è bisogno di armonizzare il modo in cui si diventa cittadini europei e far capire, soprattutto, che noi saremo un "demos", un popolo solo, un popolo capace di sentirsi tale, quando capiremo che è attraverso la solidarietà tra popoli europei che riusciremo a stare meglio.

Ringrazio di nuovo i saggi per questo lavoro, che è una cerniera tra i cittadini e le istituzioni, e concludo ricordando l'esortazione di Altiero Spinelli: la federazione europea non può essere solo un'ideale a cui ispirarsi ogni tanto, a cui rendere omaggio. La federazione europea è una prospettiva concreta che dobbiamo perseguire e per la quale dobbiamo impegnarci e agire. E Spinelli diceva: agire ora. E con questa esortazione vi ringrazio e vi auguro una buona mattinata.