20/02/2017
Pisa, Scuola Normale Superiore

Incontro con gli studenti della Scuola Normale Superiore di Pisa sul tema ‘Più integrazione europea: la strada da percorrere.’

Buongiorno a tutte e a tutti. Saluto e ringrazio il professor Vincenzo Barone, Direttore della prestigiosa Scuola Normale Superiore, il Sindaco, i deputati presenti, i rappresentanti delle forze dell'ordine, il corpo docente, i ragazzi e le ragazze.

Sono molto contenta di discutere qui, oggi, un tema che riguarda tutti: il tema del rilancio del processo di integrazione e, in particolare, del percorso verso la costruzione di un'Europa unita e federale. L'Europa è la nostra casa comune e sono contenta di parlarne alla Normale, i cui studenti sono un po' un avamposto dell'integrazione perché attraverso progetti di scambio con alcuni dei più prestigiosi atenei europei sono stati antesignani della generazione Erasmus; e continuano a tutt'oggi ad essere presenti e a contribuire significativamente alla partecipazione dell'Italia alla ricerca in sede europea.

Oggi tutti dobbiamo fare un'analisi approfondita sullo stato e sulle prospettive dell'Europa,che sta vivendo la fase più critica della sua vita. In questi ultimi 60 anni non credo ci sia mai stato un momento più difficile. Certo, come ricordava spesso Altiero Spinelli, la storia europea è caratterizzata da stop and go e la forza di un progetto non sta nella velocità con la quale si realizza, ma nella capacità di rialzarsi dopo una sconfitta.

Il progetto europeo ha avuto successi, ma anche sconfitte. Oggi l'Europa è sulle prime pagine con una narrazione sempre uguale a se stessa e sempre al negativo. I benefici di questa casa comune vengono pressoché ignorati, non se ne parla, oppure vengono dati per scontati.

C'è stato un tempo, non troppo lontano, in cui non era così. Per arrivare alle conquiste che abbiamo accumulato ci sono voluti decenni di lavoro, di compromessi, dando alla parola un'accezione assolutamente positiva.

Adesso questi benefici stentano ad apparire. Al loro posto ci sono sfiducia e disagio che alimentano i movimenti populisti, nazionalisti, xenofobi. In questa situazione, ci sono Stati che si rifiutano di dare esecuzione a decisioni giuridicamente vincolanti dell'Unione, quali quelle sulla relocation dei migranti. Per la prima volta uno Stato membro si appresta a recedere dall'Unione: non era mai successo prima e sicuramente sarà uno spartiacque. La libera circolazione è una delle conquiste più straordinarie di questi decenni. Eppure oggi non sembra più di per sé un valore e viene rimessa in discussione.

Come possiamo reagire? Come possiamo evitare la disintegrazione dell'Unione? E cosa dobbiamo fare per evitare di essere completamente ininfluenti sulla sfera globale, anche alla luce del complesso scenario che si sta delineando dopo le elezioni presidenziali negli Stati Uniti?

Questi sono i problemi che dobbiamo affrontare. E per farlo bisogna analizzare le cause, perché altrimenti tutto quello che segue non è veritiero e non porta lontano.

Come siamo arrivati a questo? Vi propongo una lettura, che magari voi non necessariamente condividerete: siamo arrivati a questo perché la disoccupazione è aumentata in tutti i paesi europei - non in tutti, ma in molti - la povertà è aumentata, è aumentata anche la diseguaglianza nella ricca Europa. Il nostro ricco continente, in questi anni, ha assistito a un impoverimento che ha allargato la forbice della diseguaglianza.

Se l'ascensore sociale non funziona, se un giovane che nasce in una famiglia senza grandi possibilità economiche non può andare avanti, laurearsi, avere una carriera, se chi non ha mezzi rischia di rimanere incagliato, vuol dire che questa democrazia non è forte, che non sta bene. Fino a quando non riusciremo a trovare la strada che ci porta fuori da questa crisi economica non riusciremo neanche a vincere le paure dei nostri cittadini, che sono assolutamente legate al fatto che la classe media per la prima volta non può dare ai propri figli le stesse condizioni di vita perché i figli staranno peggio.

Questa insicurezza genera paura, e la paura genera la necessità di avere un capro espiatorio. Bisogna prendersela con qualcuno, ed è più facile prendersela con chi è solo e non ha chi lo difende, invece che con i sistemi che hanno alle spalle grandi interessi.

Ecco perché oggi i nostri cittadini sembrano disposti ad ascoltare chi vuole distruggere l'Europa e risultano più attraenti coloro che oggi propinano la distruzione dell'Unione rispetto a coloro che la vogliono rafforzare.

E invece dobbiamo rafforzarci, perché questa visione non venga considerata la soluzione ai problemi delle persone. Le persone credono alle ricette più facili, purtroppo, ma i problemi sono complessi e le soluzioni non possono essere semplicistiche.

E allora dico che noi non dobbiamo farci paralizzare dalla paura, da quella minoranza molto rumorosa che considera l'Europa la causa di tutti i mali. Chi crede in un'Europa che deve procedere nel suo cammino non può rimanersene in silenzio, pena l'affermazione della disgregazione.

Io ho sentito molto questa responsabilità, anche per il ruolo istituzionale importante che svolgo. Mi sono chiesta: come Presidente della Camera cosa posso fare? Non mi posso permettere di aspettare il peggio. Ma bisognava trovare una chiave di volta perché la presidente di una assemblea elettiva potesse promuovere una iniziativa parlamentare coinvolgendo i cittadini.

Nel 2015, nell'estate in cui si discuteva di cacciare la Grecia - uno Stato membro dell'eurozona, perché si credeva fosse la cosa più semplice da fare - nella stessa estate in cui migliaia di persone morivano in mare, ho pensato di prendere un'iniziativa.

Ho iniziato a confrontarmi con i miei omologhi, ho condiviso le mie inquietudini e alla fine ci siamo accordati per fare una iniziativa congiunta. Mi ero rivolta a Norbert Lammert, presidente del Bundestag, la Camera tedesca, al presidente dell'Assemblea nazionale francese, Claude Bartolone, e al presidente della Camera dei deputati del Lussenburgo, Mars Di Bartolomeo, perché era il semestre di presidenza di quel Paese.

Abbiamo deciso di stilare una carta di principi che rilanciasse lo spirito federale. Un documento che, a mio avviso, afferma intenti importanti.

Prima di tutto, afferma che i presidenti delle Camere di Italia, Francia, Germania e Lussemburgo ritengono che ci voglia più Europa; che dobbiamo condividere la sovranità senza paura, perché è l'unico modo per dare risposte ai problemi complessi in tutti quegli ambiti e settori in cui la risposta nazionale è completamente inefficace; che dobbiamo cominciare dalla crescita e dall'occupazione, senza sottovalutare l'impatto sociale delle misure di austerità. In nome di cosa si può chiedere a milioni di persone di rinunciare a tutto, di non avere più il riscaldamento la sera, di non avere più i soldi per iscrivere i figli all'università? In nome di cosa il continente dei diritti umani può fare questo? Ecco perché l'impatto sociale deve essere centrale. Infine, abbiamo detto che vogliamo andare verso un'unione federale di Stati: nella mia opinione personale, significa Stati Uniti d'Europa.

Tutti questi impegni li abbiamo sottoscritti in quattro il 14 settembre del 2015. Oggi la Dichiarazione ha quindici firme. Ma non saremo mai in sedici o diciassette, perché chi non l'ha firmata non crede nel processo federale, non crede che si possa fare veramente un'integrazione politica, non lo vuole fare, non gli interessa.

Ho voluto coinvolgere in questa esperienza anche i cittadini. Per questo ho promosso una consultazione pubblica online. Insieme all'Istat, sono state elaborate sette domande sulla base di quella dichiarazione. Quesiti che abbiamo rivolto a tutti coloro che volevano essere partecipi di questo dibattito.

Sono convinta che se l'Europa non va anche i cittadini devono dirci la propria opinione su cosa non va, su come la vorrebbero: perché i cittadini devono poter contare, nelle decisioni e nelle fasi di cambiamento.

La consultazione è stata attiva dal febbraio all'agosto del 2016. Il risultato è stato interessante: mi piace sottolineare che il 77% di chi ha partecipato ha detto che riconosce e valuta positivamente il cammino fatto dall'Unione Europea,che ha garantito sessant'anni di pace, libertà e benessere.

La pace ci ha accompagnato per 70 anni, credo che sia il periodo più lungo nella storia di questo continente. Una pace frutto delle idee maturate durante la guerra a Ventotene, da parte di un gruppo di antifascisti relegati nell'isola pontina. Nel loro progetto c'era anche la federazione di stati che non abbiamo ancora realizzato.

I giovani e i meno giovani che hanno partecipato alla consultazione sulle prospettive dell'Europa hanno riconosciuto che pace, libertà di movimento all'interno dell'Unione sono fattori positivi. Criticano, però, l'Europa che non ha saputo dare le risposte ai bisogni delle persone.

Tutte le risposte dei 10mila cittadini che hanno partecipato alla consultazione sono diventate oggetto di uno studio condotto da un gruppo di "eurosaggi" da me nominato. Tra loro ci sono professori universitari, giornalisti, esperti. Tutti si sono messi a disposizione, regalando il loro tempo, le loro intelligenze, il loro punto di vista.

Il prossimo lunedì alla Camera presenteranno il risultato di questo studio, che anticipa le celebrazioni per il 60mo anniversario dei Trattati di Roma. Il 17 marzo si apriranno le celebrazioni ufficiali con un evento parlamentare e si concluderanno con l'evento governativo fissato per il 25.

Nel gruppo di 'eurosaggi' che ha studiato i risultati della consultazione c'è anche un giovane federalista che ha fatto un'analisi linguistica attraverso il word cloud. Ha voluto vedere quali siano le parole più usate nei Trattati vigenti. Ebbene, è curioso vedere che il risultato è: Unione, Consiglio, Stati e sicurezza. Non ci sono, invece, parole fondamentali come economia, lavoro, solidarietà e valori.

Un'ulteriore conferma che questa nostra Europa è come una vecchia macchina, bella ma un po' malconcia, con il motore che non va più tanto bene, ma di cui noi abbiamo bisogno per portarci avanti. Quindi forse è giunto il momento di cambiare il modello di macchina di cui abbiamo bisogno.

Come deve essere questa Europa? Come può essere competitiva negli scenari globali e capace di vincere le sfide che oggi ci troviamo davanti? Io non dubito del fatto che debba essere, come ho già detto, una federazione europea.

Sono convinta che ampie competenze esclusive debbano essere date alle istituzioni europee, specialmente in quei settori in cui la singola azione degli Stati risulti inadeguata.

Perché, ditemi, come si fa ad affrontare il cambiamento climatico all'interno dei confini nazionali? Come si fa a decidere le politiche energetiche da soli? E ancora peggio: il funzionamento dei mercati finanziari lo decidiamo Paese per Paese? Un altro punto riguarda la fiscalità: continuiamo a farci la concorrenza tra Stati membri dell'Ue, così ci guadagnano solo le multinazionali che pagano le tasse dove costano di meno? E sulle politiche dell'immigrazione e dell'asilo è evidente che gli Stati singoli non sono in grado di gestirle. Nella lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata, abbiamo visto quanti problemi ci sono tra gli Stati membri per passarsi informazioni. Come pensiamo di vincere queste sfide ognuno per sé, nei limiti dei confini nazionali?

Tutte queste considerazioni mi portano ad affermare che non c'è nessun Paese europeo, inclusa la Germania, che possa competere con i giganti globali. E ritengo che sia necessario condividere sovranità in materia sociale, perché la tutela dei diritti delle persone non può essere considerata meno importante dello 0,2% del rapporto deficit-Pil. Non nell'Europa dei diritti! Se questo avvenisse sarebbe un tradimento dei nostri valori fondanti.

Non possono tuttavia esisterepolitiche federali senza i mezzi per attuarle. Chi, giustamente, lamenta l'inadeguatezza della risposta europea alla crisi, paragonandola a quella di altri partner globali, dovrebbe ricordare che attualmente l'Ue ha un bilancio pari a meno dell'1% del Pil europeo, mentre il bilancio federale americano è pari al 25% del Pil complessivo degli Usa!

Abbiamo dunque bisogno di un bilancio federale finanziato mediante tributi propri dell'Ue: penso ad una tassa sulle transazioni finanziarie, già in discussione, o ad una carbon Tax sulle emissioni inquinanti. Andrebbe inoltre prevista la possibilità delle Istituzioni federali di emettere obbligazioni per finanziarie investimenti di interesse europeo.

Altro punto che credo sia importante per avviare un cambiamento reale è quello di dare legittimità democratica a questo assetto. Credo che serva, per un verso, il superamento del metodo intergovernativo, limitando il ruolo del Consiglio europeo; per altro verso, il rafforzamento del ruolo del Parlamento europeo, che deve esercitare in via primaria la funzione legislativa, incluso il diritto di iniziativa, e votare la fiducia ad un Governo europeo.

L'obiettivo verso cui dobbiamo puntare, se vogliamo un'Unione federale e realmente democratica, è quello di un Parlamento europeo eletto sulla base di liste transnazionali, presentate da ciascun partito europeo in tutto il territorio dell'Unione. Solo in questo modo supereremo l'idea per cui anche in seno al Parlamento europeo il criterio della nazionalità prevale su quello dell'orientamento politico. Solo in questo modo avremo veri partiti politici europei, in grado di animare il dibattito politico intorno a priorità europee e non a questioni di mera rilevanza interna.

E poi, chi dovrà far parte della federazione? Certo, a 28, anzi a 27, sarebbe l'ideale. Ma bisogna essere pragmatici: è realistico andare avanti tutti insieme? La risposta l'ho già data prima: no, non lo è.

E allora credo che bisogna fare un ragionamento di onestà, usare parole di verità. Va dunque presa in considerazione un'Europa a due velocità, o a circonferenze concentriche, in cui si proceda a un'integrazione più stretta fra un gruppo di Stati, lasciando agli altri la possibilità di aderire in un secondo momento. La stessa dichiarazione del 14 settembre 2015 è una testimonianza chiara che già esistono in Europa Paesi che vogliono avanzare verso un modello federale e Paesi che non sono invece disposti a condividere allo stato ulteriore sovranità.

È certo da escludere la soluzione «a più velocità», o a geometrie variabili, che ho sentito proporre, dove ognuno può scegliere e comporre la strada che preferisce come da un menu: l'Europa à la carte non può essere contemplata.

Quello che auspico e che ritengo sia utile, anzi indispensabile in questa fase storica, è consentire a chi vuole portare avanti il processo di integrazione politica di farlo, senza sentirsi obbligato a dover aspettare chi non si sente pronto in questo momento.

L'eurozona potrebbe costituire l'avanguardia per un'integrazione, purché si doti di politiche e figure istituzionali - veri e propri ministri - volte primariamente al perseguimento della crescita, dell'occupazione e dell'inclusione sociale, e non soltanto al controllo sulle finanze pubbliche e all'attuazione di riforme strutturali.

Inoltre, un'altra domanda è: come creare un demos europeo?

Oggi non c'è una definizione giuridica di cittadinanza europea, la cittadinanza europea è un accessorio di quella nazionale. Credo che bisogna definirla, in termini di diritti e di doveri, ma anche in senso politico come principi e valori. Io mi permetto di dire che sarebbe molto bello dare alla cittadinanza europea una connotazione più ampia nel campo dei diritti sociali. A me piacerebbe che un elemento significativo della cittadinanza europea fosse il reddito di dignità per le persone indigenti: anche se nei singoli Paesi si può decidere di non intervenire con il proprio welfare,ci potrebbe essere la protezione europea.

Un reddito di dignità europeo significherebbe che nel continente dei diritti umani nessuno viene lasciato indietro. Immaginate come cambierebbe la percezione dell'Europa.

Poi bisognerebbe armonizzare le condizioni per l'acquisizione della cittadinanza, nei vari Stati membri, anche da parte di persone non comunitarie.

In Italia per diventare cittadini non basta la residenza: anche se alla Camera abbiamo approvato una legge sulla cittadinanza che ora è ferma al Senato e che mi auguro sia approvata definitivamente prima del termine della legislatura. In altri Stati, invece, basta nascere nel Paese per avere la cittadinanza.

Un altro ambito di rafforzamento della cittadinanza europea attiene alla sua dimensione politica. Mi riferisco all'esigenza diunaprocedura elettorale uniformeche preveda, come già dicevo prima, l'elezione dei parlamentari europei in base a liste transnazionali, identiche per tutti i Paesi.

E poi, come ultima cosa, ma non meno importante, c'è il sentimento di identità e appartenenza. Quando gli studenti partecipano al progetto Erasmus tornano consapevoli dell'importanza di conoscere coetanei di altri paesi, di vivere con persone di altre culture, e del fatto che c'è così tanto in comune tra noi che vale la pena essere europei.

Credo sia importante lavorare di più sull'identità di appartenenza europea. Da quando sono presidente della Camera, ho voluto che ogni cerimonia ufficiale in Aula iniziasse con l'inno italiano e finisse con l'inno europeo.

Allo stesso modo bisognerebbe valorizzare la Festa dell'Europa. Tanti non sanno nemmeno quando si celebra. Può sfuggire, quando nessuna la celebra e l'identità comunitaria passa anche da questo. Il 9 maggio, per la Festa dell'Europa, a Montecitorio abbiamo aperto l'Aula a cittadini e ragazzi, e poi abbiamo marciato in un grande corteo per le vie e i vicoli di Roma arrivando fino al Campidoglio. C'erano rappresentanti del governo, delle istituzioni europee e tantissimi giovani. C'era uno striscione con la scritta: "No ai muri, sì all'Europa dei diritti".

Penso che ci vorrebbero tante iniziative di questo genere. Non perché ci piaccia questa Europa - che comunque non è l'unica possibile - ma perché abbiamo bisogno di Europa, anche se diversa, più attenta ai bisogni delle persone, più capace di essere apprezzata.

In conclusione, vi dico che siamo a un bivio e dovremmo essere consapevoli che in certe occasioni la storia richiede delle scelte.

Non possiamo più continuare con un'Europa come questa, e far finta che il problema non esista, né lasciare che tutto accada, aspettando quello che deve arrivare con fatalismo.

Credo che chiunque sia animato da una spinta valoriale oggi debba fare la propria parte. Istituzioni, cittadini, autorità locali, tutti. E si può andare solo avanti perché altrimenti saranno gli altri a prevalere e tutto quello che abbiamo costruito cadrà, si frantumerà.

E se si frantuma l'Europa non sarà una cosa circoscritta all'Unione. Oggi nei Balcani occidentali si sta facendo un grande sforzo di democratizzazione, il processo delle riforme tiene ancora, nonostante i nazionalismi siano ancora molto vivi, perché c'è un unico viaggio: la destinazione europea. Se l'Europa non ce la fa, non ce la fanno neanche i Balcani, e vi ricordo che il primo grande esodo di rifugiati e richiedenti asilo non arrivò dal Medio Oriente ma avvenne a seguito della guerra di Bosnia e della Guerra del Kosovo.

L'Europa deve avere anche questo senso di responsabilità rispetto al Medio Oriente, al Maghreb. I nostri vicini hanno difficoltà a comprendere quello che stiamo facendo.

Concludo con parole non mie, ma che ritengo debbano diventare nostre. Sono le parole che chiudono il Manifesto di Ventotene e ci impegnano in una impresa non semplice, perché "la via da percorrere non è facile né sicura, ma deve essere percorsa e lo sarà". Credo che non abbiamo altra scelta che seguire l'invito di chi scrisse quel Manifesto, molti anni fa, e che dedicò la vita a questa costruzione che ancora oggi, purtroppo, è rimasta incompleta.

Vi ringrazio.