04/05/2017
Camera dei deputati, Aula del Palazzo dei Gruppi parlamentari

Partecipazione alla Conferenza Internazionale delle Parlamentari G7/G20 ‘The Challenges of a World on the Move: Migration and Gender Equality, Women’s Agency and Sustainable Development’, nell’ambito delle Conferenze del G7

Mi fa molto piacere aprire i lavori qui alla Camera dei deputati di questa importante Conferenza organizzata dall'Intergruppo parlamentare sulla salute globale e i diritti delle donne, dall'AIDOS e dall'European parliamentary Forum on Popolation and development.

Saluto il presidente del Consiglio dei ministri Paolo Gentiloni, la Vice Presidente del Senato Linda Lanzillotta, la Sottosegretaria Maria Elena Boschi, la Vice Presidente della Camera Marina Sereni. Un saluto speciale alla Consigliera di Stato e Ministra per gli affari esteri del Myanmar Aung San Suu Kyi, che mi fa molto piacere rivedere qui alla Camera dei deputati e a cui do il più caloroso benvenuto.

Devo un ringraziamento specifico alll'on. Pia Locatelli coordinatrice dell'Intergruppo parlamentare, a Maria Grazia Panunzi Presidente di AIDOS e a Ulrika Karlsson Presidente dell'European parliamentary Forum per avere organizzato questo importante evento.

La vostra Conferenza ha un tema molto impegnativo: "The challenges of a World on the move", che avete scelto di affrontare in una prospettiva che guarda alla condizione delle donne su aspetti cruciali, come i fenomeni migratori, l'eguaglianza di genere negli spostamenti di popolazione, l'empowerment femminile alla luce degli obiettivi dell'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.

Si tratta di temi che ritengo oggi ineludibili e sui quali i Parlamenti non possono non far sentire la loro voce. E mi auguro che gli esiti dei lavori di oggi saranno presi in considerazione, come auspicato anche da Pia Locatelli, al prossimo vertice G7 che sarà ospitato a Taormina il 26 e 27 maggio.

E' vero, viviamo in un mondo che è "on the move" in misura che non ha eguali nella storia e che ci pone eccezionali sfide.

E' un movimento che vede spostarsi tantissime persone, ma che desta anche molte preoccupazioni. E la politica cosa deve fare per gestire questo spostamento così massiccio di popolazione, e farlo in modo risolutivo?

La politica si divide nel gestire questo fenomeno: c'è chi l'angoscia dei cittadini, il loro senso di disorientamento lo cavalca, a scopo elettorale, perché fa consenso. E lo fa senza troppi scrupoli: ci guadagna in modo elettorale. E c'è invece chi cerca di uscire dallo logica dello sfruttamento a fini elettorali, ma di fornire delle risposte: che necessariamente sono difficili da trovare, perché i problemi sono complicati. Non ci possono essere risposte semplici a problemi complessi. Ma questa è l'unica strada che dobbiamo percorrere: una politica che riesca a governare un fenomeno sempre di più all'ordine del giorno nei prossimi anni.

Dobbiamo convincere i nostri cittadini di questa semplice verità: non riusciremo mai a fermare il movimento delle persone. Dobbiamo dirlo chiaro e tondo: potremo usare tutti i metodi del mondo, ma non ci riusciremo. E allora bisogna capire da dove cominciare.

Noi dobbiamo gestire questo fenomeno innanzitutto in modo umano. Non dimentichiamoci che parliamo di uomini e donne, di esseri umani, e umana deve essere la risposta.

Per arrivare a una soluzione dobbiamo fare i conti con le disuguaglianze, con la povertà, con i conflitti, con tutto ciò che è alla base di questo movimento.

Le donne sono le prime a pagare le conseguenze di migrazioni senza regole, perché sono le prime vittime delle diseguaglianze e della povertà e pagano il prezzo più alto delle migrazioni forzate, del traffico di esseri umani, della tratta e dello sfruttamento del lavoro.

Oggi il numero di rifugiati a livello globale ha raggiunto una cifra senza precedenti dalla Seconda Guerra mondiale - oltre 65 milioni di persone - un numero superiore alla popolazione del nostro paese. Quando lavoravo all'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, pochi anni fa, questa cifra era la metà. Nel frattempo sono aumentate le guerre, le soluzioni mancano, e le persone sono costrette a scappare via. Non lo fanno per divertimento, lo fanno perché non hanno alternativa.

L'anno scorso sono stata in Libano per una visita istituzionale in occasione della Giornata mondiale del Rifugiato. Ma non potevo non andare nella valle della Bekaa, perché in quella zona - in un Paese con quattro milioni di abitanti - vive oltre un milione di rifugiati. Trovate donne e bambini in accampamenti provvisori, senza servizi né strutture di alcun tipo. Tornare in Siria non è possibile, integrarsi in Libano neanche. Il Libano è un Paese che deve anche conservare il suo equilibrio, e dunque pone limiti nel livello di accoglienza: limiti non numerici, ma in termini di integrazione. E quelle persone restano 'sospese' lì, senza futuro.

Questo riguarda le migrazioni forzate. Poi ci sono le migrazione economiche, anch'esse importanti. Fra il 2000 e il 2015 il numero dei migranti nel mondo è aumentato del 41 per cento raggiungendo l'impressionante cifra di 244 milioni di persone. Sempre di più sono donne. Oramai è quasi la metà.

Anche questa è una novità della nostra epoca. Se in passato erano soprattutto gli uomini a migrare per cercare fortuna lontano da casa e sostenere così le loro famiglie in patria, oggi in molte situazioni sono donne sole a doversi recare all'estero per cercare lavoro. Vanno avanti le donne, e gli uomini non seguono, o seguono meno.

Vanno avanti donne che lasciano a casa famiglie, figli, per lavorare nelle famiglie nostre, coi nostri figli, i nostri vecchi, per consentire a noi donne di avere una vita lavorativa, sociale, pubblica. Noi donne possiamo fare quello che facciamo nei nostri Paesi sulle spalle di altre donne, le donne migranti, che vivono in una condizione di desolazione affettiva. I mariti si rifanno una vita: accade quasi sempre. I figli crescono coi nonni, e chiamano le madri per lo più quando hanno bisogno di risorse: mamme-bancomat, che vivono una toale deprivazione dei propri sentimenti. Il lavoro di queste migranti rimane completamente "invisibile" agli occhi dell'opinione pubblica. Vivono nelle nostre famiglie, ma a volte non sappiamo nemmeno da quale Paese vengono, in quale quartiere vivono nelle nostre città. Eppure il loro è un lavoro importante: per noi, ma anche per i loro Paesi d'origine, perché sui loro redditi ci vivono famiglie, non solo la loro famiglia diretta. Basti pensare che le rimesse dei lavoratori e delle lavoratrici all'estero oggi equivalgono al triplo del totale degli aiuti allo sviluppo. Il loro lavoro è importantissimo, ma non viene riconosciuto.

Le donne migranti devono accettare quasi sempre impieghi molto al di sotto delle loro qualifiche. A me è capitato di trovare donne che fanno le pulizie, ma parlano tre lingue. Avevano un ruolo nella società da cui provengono.

Domani partirò per una visita istituzionale in Nigeria: un grande Paese, molto importante, che noi conosciamo per le sue risorse di petrolio, per i problemi in materia di terrorismo. Ma lo conosciamo anche perché da lì vengono tante ragazze che sono vittime di tratta e popolano i marciapiedi delle nostre strade. Vengono via di lì non perché sappiano che andranno a fare questo, ma con l'inganno: vengono brutalizzate durante il viaggio, e arrivano qui ormai ridotte in una tale condizione di sudditanza psicologica che qualcuna di loro ti dice di meritare quella situazione. Questa è la cosa peggiore: pensare di meritarselo.

Il numero dei migranti provenienti in Italia dalla Nigeria cresce continuamente. Ricordo fino al 2012, quando facevo un altro lavoro, che a Lampedusa le donne nigeriano aumentavano sempre di più. E mentre gli altri migranti erano felici di essere arrivati e baciavano la terra perché ce l'avevano fatta, queste ragazze avevano sguardi completamente spenti. Viaggiavano con uomini che erano sedicenti mariti, sedicenti fratelli, ma chi erano davvero? E purtroppo i dati dell'Oim - l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni - confermano che il 70% delle ragazze nigeriane che giungono nel nostro Paese sono vittime di tratta.

Questa evidenza ci impone di occuparci di questo fenomeno. Impone ai nostri Parlamenti di mettere al centro anche dell'attività legislativa ogni misura possibile per contrastare questo fenomeno, anche attraverso le risorse necessarie per dare a queste giovani la possibilità di uscire da un terribile tunnel in cui sono state cacciate.

Noi abbiamo una buona legislazione, in materia di tratta. Però poi mancano le risorse, e quella legislazione che ci viene riconosciuto essere all'avanguardia rischia di non poter essere usata al meglio.

C'è quindi molto da fare. E' un atto di giustizia verso la metà del genere umano. Ma è anche un modo per garantire il progresso complessivo dell'umanità.

Vi ringrazio.