10/04/2017
Montecitorio, Sala della Lupa

Saluto introduttivo alla proiezione in anteprima della serie di Rai1 ‘Di padre in figlia’, regia di Riccardo Milani

Buon pomeriggio a tutte e a tutti.

Saluto la direttrice di Rai Fiction, Eleonora Andreatta, che mi fa sempre piacere vedere qui alla Camera con i suoi prodotti intelligenti, e che ringrazio per aver dato questa linea alla produzione fiction della Rai. Saluto l'attrice Cristiana Capotondi, che ha interpretato ultimamente anche un'altra figura importante, Lucia Annibali; saluto anche la scrittrice Cristina Comencini, da sempre impegnata su queste tematiche, e il regista Riccardo Milani.

Sono davvero contenta di ospitare qui alla Camera l'anteprima della serie "Di padre in figlia". Già il titolo mi piace molto: la dice chiara sul contenuto della fiction, che ci racconta di una saga familiare lungo varie generazioni e ci fa vedere come cambiano le nostre famiglie attraverso l'emancipazione femminile.

Il film parte da una posizione di rigidità di un padre che non vuole obiezioni, che si ritiene in diritto di decidere senza mettere in discussione se stesso. Ma attraverso le figlie che rimettono in discussione le sue decisioni quest'uomo comincia un percorso suo.

Serie come questa aiutano a riportare equilibrio nella ricostruzione della nostra storia. Quasi mai la storia ha avuto gli occhi delle donne. Questa fiction, invece, ci dà la possibilità di vedere uno squarcio di tempo con gli occhi delle donne. Cosa eravamo e cosa siamo oggi, quello che abbiamo ottenuto e anche la strada che abbiamo ancora davanti sul percorso dei diritti.

Le ragazze più giovani - e qui ne vedo tante - magari non hanno contezza o una totale visione di quello che era la condizione femminile nel nostro paese, fino a poco tempo fa. Abbiamo fatto tanta strada in poco tempo. Partivamo da un regime fascista che aveva bloccato il percorso di emancipazione, che voleva la donna moglie e madre, mettendo al bando ruoli pubblici, ruoli politici, ruoli sociali.

Il fascismo aveva bloccato quel percorso di emancipazione iniziato a fine Ottocento, con le suffragette. In Italia l'attività delle nostre suffragette purtroppo è poco nota. Ad esempio, quella di Anna Maria Mozzoni, grande donna di impegno civile, la prima che nel 1877 promosse anche una petizione per il voto femminile. Anna Maria Mozzoni purtroppo è poco nota, ma a lei dedicheremo un busto nella Sala delle Donne.

Grazie a lei e a tante altre aveva avuto inizio il percorso di emancipazione interrotto con il regime. Con la caduta del fascismo ci sono state tante figure femminili importanti, ad esempio le 21 Costituenti, ed è iniziato un nostro avanzamento nella società e nella politica del paese.

Certo c'è voluto tempo. Pensate che solo nel 1976 noi abbiamo avuto per la prima volta una ministra donna, dopo 30 anni di vita repubblicana senza una ministra. Tina Anselmi è la prima ministra, e arriva dopo 36 governi e 836 ministri, tutti rigorosamente uomini. Fino a 36 anni fa, nel nostro ordinamento, esistevano ancora il 'delitto d'onore' e il 'matrimonio riparatore'. Vuol dire che se un uomo trovava la figlia, la moglie o un'altra congiunta, 'in flagranza' con un uomo in una situazione di intimità, in un rapporto 'illegittimo', e la uccideva, quell'uomo rischiava solo dai 3 ai 7 anni di reclusione, perché aveva difeso l'onore e dunque non poteva essere troppo colpevole di aver ucciso una donna. Idem per il 'matrimonio riparatore', un'altra vergogna: un uomo stuprava una donna, ma se poi la sposava il reato decadeva. Voi capite che queste fattispecie davano una dimensione totalmente retrograda del nostro Paese. E abbiamo dovuto aspettare il 1996 perché lo stupro diventasse un reato contro la persona e non contro la morale.

Oggi, nel 2017, potremmo dire che le cose adesso vanno bene e ci possiamo rilassare. Invece no, non facciamo questo errore, perché non vanno bene se ogni tre giorni in media una donna viene uccisa per mano di chi dovrebbe amarla. Una ogni tre giorni. E c'è molta strada da fare se il femminicidio viene ancora raccontato nei mezzi di informazione come un eccesso di gelosia o un raptus che bisogna capire. E c'è strada da fare se i fondi per i centri antiviolenza faticano ad arrivare nonostante siano stati stanziati.

Ma a prescindere dalle questioni legate alla violenza, credo che davvero la strada sia ancora lunghissima se noi donne continuiamo a guadagnare meno dei colleghi uomini facendo lo stesso lavoro; se solo il 47% delle donne in Italia lavora.

La strada è lunghissima e piena di curve, se usciamo con i più alti voti dalle scuole e dalle università, ma poi non riusciamo a raggiungere i vertici; se siamo le più brave ma ci si dice "accontèntati, non pensare di andare oltre".

C'è molta strada da fare, se noi donne ancora abbiamo ancora bisogno delle doppie preferenze di genere per poter rappresentare nelle istituzioni chi ci ha votato.

Abbiamo molta strada da fare, se ancora le donne coniugate non possono dare il cognome ai loro figli. Sembrerebbe normale, ma non lo è in questo paese.

E allora abbiamo davanti tanta strada, se gli insulti che ci riservano sono quasi sempre a sfondo sessista. Se non si è d'accordo con una donna non si entra nel merito, ma le si rivolgono epiteti volgari, sessuali. Con un uomo non si fa così.

E poi, quando raggiungiamo i ruoli di vertice, ci chiedono di cambiare genere perché il femminile "suona male", al femminile è cacofonico. Sostengono: "non si può sentire ingegnera, è brutto! Avvocata, ministra, sindaca, che provocazione!" Raggiungiamo i vertici e siamo tutti maschi perché suona meglio.

La lista dei "se" sarebbe lunghissima, ve ne dico solo uno per chiudere.

Se ancora solo il 4% delle nostre strade sono dedicate alle donne, e quasi tutte sono sante, la strada è veramente infinita. Dove sono nelle vie delle nostre città le donne della cultura, le scienziate, le letterate, le filosofe, le donne delle istituzioni, le partigiane? Dove ce le siamo dimenticate? Perché le nostre figlie non devono sapere che ci sono tante donne insigni leggendo il nome di una strada? A leggere i nomi delle strade sembrerebbe che siamo capitati in un posto di soli uomini.

Dico quindi che bisogna camminare molto, a passo veloce e senza stancarci, per cambiare il modo di pensare alle donne, di guardare alle donne e di parlare delle donne. Dobbiamo cambiare l'atteggiamento mentale, culturale, che ci portiamo dietro da millenni, noi donne e gli uomini.

Vorrei che gli uomini fossero con noi in questo percorso, orgogliosi di esserlo. Vorrei sentire autorevoli politici dire "Io sono femminista". Vorrei che ciò accadesse come in altri Paesi è già successo: ho sentito il presidente Obama dirlo, il presidente Trudeau dirlo. In Italia - ma forse mi è sfuggito - non ho sentito autorevoli politici dire: "Io sono femminista perché cittadine e cittadini devono avere le stesse opportunità, gli stessi diritti".

Ma arriverà anche il tempo in cui ci saranno uomini politici che si sfideranno su questo terreno. E perché si arrivi a una vera parità serve un lavoro culturale. Per questo spero sia chiara l'utilità di avere nelle scuole una legge che riguarda l'educazione sentimentale dei nostri figli e delle nostre figlie.

Il rispetto dell'altro genere, qualsiasi sia, nell'uno e nell'altro verso, ci aiuterebbe a vivere in una società migliore, più capace di andare avanti insieme senza lasciare indietro il 50%. E allora, siccome lo sforzo è culturale, i media, i mezzi di informazione, la tv, il servizio pubblico giocano un ruolo determinante. La fiction che presentiamo oggi dimostra che lo sforzo è serio e non una tantum, ma è una linea scelta consapevolmente per essere parte, come motore, dello sviluppo del nostro paese.

Grazie.