28/03/2017
Roma, Ambasciata della Repubblica Federale di Germania, Villa Almone

Incontro della Presidente Boldrini con i Capi Missione dell’Unione Europea in occasione delle celebrazioni del 60°Anniversario della firma dei Trattati di Roma

Signora Ambasciatrice, molte grazie per aver organizzato questo incontro con alti diplomatici e ambasciatori di altri paesi dell'Unione Europea, in un momento molto interessante per tutti noi.

Erano in tanti a non credere che saremmo riusciti a portare avanti la Dichiarazione di Roma, sottoscritta in occasione dei 60 anni dell'Europa. Invece ce l'abbiamo fatta: credo anche non a discapito della qualità, perché si tratta di un documento di contenuto e di peso.

Sono molto attenta rispetto alle questioni europee e più volte ho espresso il mio pensiero in merito alle sfide che abbiamo davanti. Credo che in questa Dichiarazione possiamo intravedere i punti che interessano la crescita e l'occupazione, lo sviluppo sostenibile, la coesione sociale, la lotta alla disoccupazione, la lotta alla povertà. Tutti temi cruciali per i nostri paesi.

Si affermano principi importanti, come ad esempio le pari opportunità tra uomini e donne. Il nostro continente non fa discriminazioni, questo è un grande valore aggiunto. Così come, nel nostro continente, non c'è pena di morte.

In questa dichiarazione ci impegniamo ad agire insieme, nessuno escluso. Oltre a fare questo congiuntamente, lo potremo fare anche a ritmi diversi, se necessario; ma non è detto, magari non sarà necessario.

Come sapete, la storia della nostra Unione, della nostra famiglia comune, è piena di battute di arresto e riprese.

Altiero Spinelli diceva che un progetto è forte non perché si arriva rapidamente alla conclusione, ma è forte se si rialza, se sa risorgere dalle sconfitte. E l'Europa ce l'ha sempre fatta in questi sessanta anni a risorgere dalle sconfitte. Brexit certamente è stata una perdita importante, una ferita per tutti noi, non doveva andare così. La Brexit ci insegna che c'è qualcosa che non va in questa Europa.

E ci sono anche altre criticità, le conosciamo, le vediamo da anni. L'Unione europea è un grande malato, ultimamente ha deluso e si è indebolita sulla scena internazionale. Adesso si sta alimentando una vera e propria letteratura antieuropeista che, a mio avviso, si basa su alcune cose vere, ma per molto altro è assolutamente gratuita.

E' importante capire come siamo arrivati a questo, come siamo arrivati a Brexit, e come siamo arrivati al disamore dei nostri cittadini. Credo che la crisi economica sia stata la causa numero uno: l'impoverimento, l'assottigliamento della classe media, l'avanzamento delle diseguaglianze. Questo, a mio avviso, è il motivo principale della crisi europea.

Poi certamente non abbiamo saputo reagire in modo appropriato alle tante crisi ai nostri confini, non abbiamo quasi mai parlato con una sola voce; quando lo abbiamo fatto, siamo riusciti ad essere incisivi. Ma lo abbiamo fatto troppo poco.

Ognuno va avanti per sé, considerando che gli interessi nazionali siano in competizione con quelli europei. Invece no, gli interessi europei sono gli interessi nazionali e noi faremo gli interessi nazionali solo se rafforzeremo l'Europa.

Sui flussi migratori stamattina sono uscite dichiarazioni molto forti. Dall'Austria è arrivata una presa di posizione in merito all'immigrazione e contro la decisione presa nel Consiglio Europeo di procedere con la relocation. I critici sono già pronti a dire che l'altro ieri a Roma si firmava e oggi già ci sono i primi segnali. Non voglio credere a questa versione.

E poi, il metodo intergovernativo: un'altra carenza che ha portato l'Europa a non funzionare come avrebbe dovuto. Il Consiglio Europeo è il luogo delle decisioni, laddove le istituzioni europee sono messe all'angolo, in un certo senso esautorate. Questo metodo non ha fatto bene all'Unione Europea: è calato su una realtà di short termism e tutto proiettato alle politiche interne.

E all'Europa chi ci pensa? Vi sottopongo la mia analisi. Dopo la Dichiarazione di Roma la priorità è dare seguito, nella parte in cui si sancisce che "l'Unione lotta contro la disoccupazione, la discriminazione, l'esclusione sociale e la povertà". Questo è il passaggio che ritengo più importante della Dichiarazione firmata sabato scorso, al quale dobbiamo dare seguito immediatamente con i fatti: perché differire su questo vuol dire compromettere ulteriormente la reputazione europea.

Il "pilastro sociale" è ora, non può essere rimandato se vogliamo essere rispettati dai nostri cittadini. Dunque è importante l'incontro che si farà a Goteborg a novembre in cui si discuterà di questo. Che vuol dire concretamente? In un rapporto redatto da un Gruppo dei Saggi che ho istituito, ci sono dei suggerimenti. Questo documento è stato redatto sulla base dei suggerimenti dei cittadini. Poiché ritengo che il punto cruciale sia aprire ai cittadini, infatti, ho avviato una consultazione on line e ho sottoposto alle persone sette domande elaborate dall'Istat su quello che non va e su come vorrebbero l'Europa. Il gruppo dei Saggi ha analizzato le risposte e ha elaborato proposte concerete che possono essere messe in atto a trattati vigenti.

Come emerge dal rapporto del Comitato dei Saggi, bisogna cominciare con il Pilastro sociale, in particolare con un sussidio europeo di disoccupazione.

Immaginate come cambierebbe la percezione dell'Europa se fosse l'Unione ad occuparsi di questo tema. Aggiungo che un altro elemento importante per far sì che l'Europa sia percepita in modo positivo è un reddito di dignità europeo.

Così l'Europa dei diritti non lascerebbe nessuno indietro.

L'Europa dei diritti deve essere all'altezza della sua tradizione e un reddito minimo di dignità potrebbe essere finanziato dal bilancio europeo, che però al momento è ridicolo e inadeguato. Come potrebbe l'Europa risolvere le crisi quando ha a disposizione l'1% del PIL dei nostri stati membri? E' impensabile, è ipocrita, è altamente ingiusto. Bisogna dare alle Istituzioni europee un bilancio realistico. Potremmo averlo se credessimo nella integrazione politica, che è la meta a cui io personalmente ambisco. Se negli Stati Uniti il bilancio federale è il 25% del PIL, io non dico di arrivare a tanto, ma per lo meno cerchiamo di portarci avanti rispetto all'1%.

A mio avviso il progetto europeo non funziona perché è monco, incompleto, incompiuto. Penso dunque che chi vorrà dovrà portarlo avanti. A livello parlamentare, come alcuni di voi sanno, ho preso l'iniziativa già nel settembre 2015, insieme ad altri Presidenti dei parlamenti, rappresentanti del popolo. Se dobbiamo superare il metodo intergovernativo, infatti, sono i cittadini, attraverso la rappresentanza, a dover dire la propria.

Ritengo importante, dunque, che nella Dichiarazione di Roma ci sia un focus sui parlamenti nazionali che devono poter dire la propria perché rappresentano il popolo, la gente, le persone.

Insieme ai presidenti del Bundestag tedesco, dell'Assemblea nazionale francese e della Camera dei deputati lussemburghese, nel 2015 sottoscrivemmo una Dichiarazione con la quale attestavamo di essere pronti a condividere sovranità, in cui dicevamo che volevamo un'Europa più sociale.

I rappresentanti di questo quattro Paesi hanno chiesto: più crescita, più occupazione e un'unione federale di Stati. Un documento è stato successivamente sottoscritto da altri presidenti e siamo arrivati a 15 firme. Non più di 15 perché c'è chi ci crede, nell'integrazione politica, ma c'è anche chi non ci crede.

La Dichiarazione di Roma e la Dichiarazione dei Presidenti di Parlamento vanno in parallelo. La seconda non cercava l'unanimità, era a sottoscrizione e abbiamo potuto permetterci di essere più assertivi nei principi. La prima ha cercato l'unanimità, il punto di convergenza, ed è comunque un esercizio utile e importante.

Entrambe mettono al centro l'Europa, l'unica dimensione che dà un futuro a noi e ai nostri figli. Per rafforzarla dobbiamo investire tutte le nostre energie, tutta la nostra credibilità, e dobbiamo portare avanti con slancio ed entusiasmo quel progetto. Su questo io sono fortemente impegnata e penso che valga la pena spendersi per un'Europa che sia più capace di rispondere alle aspettative dei nostri cittadini.

L'ultimo passaggio della Dichiarazione dice: "L'Unione europea è il migliore strumento per conseguire i nostri obiettivi". Noi raggiungeremo i nostri obiettivi nazionali se riusciremo a dare forza e solidità all'Unione Europea, e dal mio punto di vista su basi di giustizia sociale e di crescita.

Vi ringrazio.