11/11/2017
San Vito dei Normanni (BR), Base UNHRD

Visita inaugurale dello spazio espositivo della Base di pronto intervento umanitario delle Nazioni Unite (UNHRD)

Buongiorno a tutti e a tutte.

Saluto e ringrazio il Vicedirettore esecutivo del World Food Programme Ramiro Lopes da Silva: mi complimento per l'italiano, perché negli ultimi anni ha fatto un bel salto in avanti. Saluto l'ambasciatore Pierfrancesco Sacco, che è la Rappresentanza italiana presso gli organismi internazionali che hanno sede a Roma; Marta Laurienzo, la manager, nonché cara amica, la ringrazio per come ha saputo dedicarsi a questa impresa, perché ha messo tutto il suo entusiasmo per far decollare ancora di più questa base insieme a tanti altri colleghi e colleghe che sono impegnati per questo obiettivo; saluto il Colonnello Gioacchino Cassarà, che ci ha spiegato come opera da Comandante del Distaccamento Aeroportuale; Vicky De Marchi, la cara amica Vicky De Marchi, anche lei fa oggi il lavoro che io facevo molti anni fa, e dunque mi fa sempre molto piacere incontrarla. Saluto i Sindaci che oggi hanno deciso di essere qui, le autorità presenti; la deputata Duranti, mi fa sempre piacere incontrare i deputati fuori dal palazzo di Montecitorio. Saluto anche i ragazzi e le ragazze, le insegnanti e le insegnanti che oggi hanno voluto essere qui. Mi sembra importante partecipare oggi a una cerimonia molto informale, perché è tra amici, per capire l'importanza di questa base umanitaria.

Dovevo venire qualche giorno fa, alla vigilia della Giornata mondiale dell'Alimentazione, il 16 ottobre - una data scalfita nella mia mente per sempre, dopo tanti anni dedicati a dare visibilità a questa giornata - ma la legge elettorale in Aula non mi aveva consentito di essere qui e quindi sono contenta che siamo riusciti a recuperare. E' stato detto, ma lo ripeto con piacere: non è la mia prima visita in questa base, ma è la prima visita da Presidente della Camera, e dunque questo ha tutto un altro significato. Qui ci sono stata in altre occasioni: una base così, nel mondo umanitario, è un luogo dove chi opera nel settore non può non passare. Io ho lavorato nelle agenzie delle Nazioni Unite per quasi 25 anni - una vita, se ci pensate - e con il World Food Programme, in italiano il Programma Alimentare Mondiale, ho lavorato 5 importantissimi anni. Anni difficili alla fine degli anni '90, emergenze in tutto il mondo: si lavorava a Roma ma si era sempre nelle varie emergenze, e quando si è nelle emergenze non c'è tempo, c'è solo la corsa contro il tempo.

Ricordo con tanta nostalgia, lo devo dire sinceramente, quei giorni in cui si partiva con i voli umanitari. Dentro c'erano le tende, i medicinali, i kit, c'erano i biscotti ad alto contenuto proteico, e si andava dove c'era l'emergenza.

Era il volo della speranza, e questo è l'aeroporto della speranza. E' un grande orgoglio poter ospitare una base così, non c'è niente di più importante che salvare le vite umane. Che cosa deve chiedere di più una persona, se il suo lavoro è mirato a questo e riesce a fare questo? Penso che quella persona sarà sempre in pace con se stessa, serena nel suo vivere, nella sua giornata, perché non c'è nulla di più importante che salvare vite umane.

Ora sono qui come esponente istituzionale dell'Italia a dire grazie, lo dico in nome e per conto del mio paese, vi dico grazie. Grazie, perché non viviamo tempi ordinari per le relazioni internazionali. La crisi economica e sociale che ha investito molte società occidentali ha prodotto e sta ancora producendo contraccolpi pesanti nei sentimenti collettivi: sono cresciute paura, diffidenza, egoismo, isolazionismo.

Si è diffusa in molti paesi, compreso il nostro, una sensazione sbagliata, ma non per questo meno forte: la sensazione che dai problemi di una globalizzazione che non è stata governata come si doveva si possa uscire se torniamo nei nostri piccoli confini nazionali, se rientriamo nel cortile domestico, se chiudiamo tutto, e se ci disinteressiamo di quello che succede lontano dai nostri confini. Abbiamo paura che il mondo sia troppo complicato, e chiuderci dentro casa ci rassicura.

E a pensarla così, purtroppo, non è soltanto una parte dei cittadini: lo fanno anche i leader politici che sull'innalzamento dei muri hanno creato delle carriere. Poco importa se ormai l'interdipendenza tra i paesi, tra le situazioni, è una realtà irreversibile, non si può pensare di fermare la storia. Ma questo ad alcune persone, ad alcuni leader, poco importa.

A me che sono figlia di questa cultura, di questa esperienza - e che oggi sono la terza carica dello Stato perché rappresento quei valori, per nessun altro motivo se non per questo - ciò mi porta a dire che noi oggi stiamo vivendo una crisi del multilateralismo.

E' questo uno dei problemi del nostro tempo. Abbiamo imparato a familiarizzare con parole che fino a poco tempo neanche sapevamo che esistessero: oggi noi parliamo di 'sovranismo'. Vediamo che potenze, più o meno grandi, stanno mettendo in discussione quella dottrina di valori che aveva retto i rapporti internazionali dalla Seconda Guerra Mondiale a oggi. Il multilateralismo nasce sulle ceneri della Seconda Guerra Mondiale: le Nazioni Unite sono il polo di convergenza per riuscire a trovare la soluzione, un passo prima che questo diventi guerra; il luogo dove le controversie devono trovare una soluzione diplomatica. L'Onu, la grande conquista della società internazionale nasce - ricordiamocelo - sulla Shoah, sull'Olocausto, sull'abominio, sulla volontà di avere la meglio sull'altro attraverso lo sterminio. Tutto questo portò il mondo a costruire un forum dove si doveva discutere, trovare una soluzione negoziale.

Adesso invece prevalgono i livelli nazionali su quelli multilaterali. Abbiamo visto qualcosa di sorprendente qualche tempo fa a Davos, al World Economic Forum. C'è un'inversione dei ruoli, questo aumenta ancora di più - se possibile - la confusione dei ruoli: il leader cinese parla in favore dei mercati aperti. Non si capisce più come questo sia possibile. Questa situazione del tutto fluida, in via di trasformazione, ci porta a dire che forse noi dobbiamo aspettarci qualche ripercussione. Questo nuovo assetto avrà ripercussioni sul mondo umanitario? Oggi dobbiamo chiedercelo, dobbiamo chiederci se avrà un impatto sulla sostenibilità economica degli aiuti umanitari.

Al tempo stesso - è stato già detto - noi ci troviamo di fronte a conflitti che si trascinano per anni, per decenni, gli stessi conflitti di cui mi occupavo io prima di lasciare, nel 2012, sono ancora tutti lì. Scoppiava la guerra in Siria, c'erano le prime avvisaglie e abbiamo ancora il conflitto in Siria. In Yemen all'epoca c'erano già gli spostamenti di popolazione, e oggi, a fine mandato di Presidente - parliamo di quasi 5 anni - mi ritrovo la stessa situazione. Situazione uguale nella Repubblica democratica del Congo e in Somalia. Nel Sud Sudan c'è stata l'istituzione di uno stato, ma questo non vuol dire che non ci sia più la guerra.

Quei conflitti, noi qui lo sappiamo, generano spostamenti forzati di popolazioni: la gente se ne va quando c'è insicurezza, quando ci sono i bombardamenti, quando ci sono i tagliagole, quando ci sono quelli che arrivano e stuprano. E' legittimo andarsene, è un diritto andarsene, nessuno di noi può rimanere di fronte a una situazione come questa.

Dobbiamo capire che, se non si investe di più nei negoziati per arrivare alla fine di questi conflitti, ci troveremo sempre di più di fronte a situazioni emergenziali che diventano la normalità, cioè la condizione permanente di vita. Ci sono generazioni di bambini che ho visto in Kenya, nel campo di Dadaab, e che non hanno visto altro che quella rete: generazioni di bambini che oggi chiedono internet per uscire fuori da quel recinto e sapere cosa c'è al di là, non sanno nulla di quello che c'è al di là. Si può vivere un'esistenza senza uscire da un campo profughi? Senza avere la speranza che un giorno si potrà uscire, andare a casa? Che privilegio, andare a casa! Ci sono situazioni così lunghe e protratte nel tempo che rischiano di far sì che intere generazioni nascano, crescano, diventino adulte e muoiano nei campi profughi. Come è possibile non rilanciare i negoziati? Come è possibile non concentrarsi sullo sforzo di farcela? Perché questo viene sempre dopo? Perché c'è ben altro che è sempre più importante di questo? Non è sopportabile. E questo ci rientra in casa. Non è vero che se succede lontano non è affare nostro, perché ci ritorna. Mi dispiace dire che oggi ci sono paesi che considerano l'aiuto internazionale, l'aiuto allo sviluppo, l'aiuto all'emergenza, una sottrazione di risorse ai proprio connazionali. "Non si può sottrarre risorse ai nostri connazionali quando stanno male, quando hanno bisogno di aiuto per destinarli alla Cooperazione internazionale": passa questo principio. Non è facile, perché è vero che nel nostro paese, come in altri, ci sono ancora tanti bisogni che non trovano una risposta, ma non investire in modo lungimirante sulle crisi internazionali e sulla loro risoluzione è un problema che ci ritorna indietro. Mi fa piacere sottolineare - è stato già detto, l'Ambasciatore lo ha ricordato - che l'Italia è la principale finanziatrice di questa struttura di Brindisi, e che il World Food Programme è al secondo posto tra le Agenzie delle Nazioni Unite beneficiarie di contributi italiani, dopo la sola Unhcr.

Di questa struttura sono state date delle belle definizioni: è il pronto soccorso umanitario, l'aeroporto della speranza, non è retorica, è semplicemente vero. E allora bisogna ricordarlo con più forza, farlo conoscere questo sforzo, perché qui c'è uno dei due soli depositi in Europa come base da cui partire per le missioni: c'è Brindisi e c'è Las Palmas, e questo è un primato fantastico. Ci siamo noi e gli spagnoli in prima linea come base umanitaria, per partire in poche ore, per salvare vite umane.

Poi mi fa piacere anche ricordare che in questa base c'è un aspetto più logistico delle Nazioni Unite, sapere che 23 missioni di pace e molte agenzie specializzate possono comunicare tra loro e con New York grazie a questo network globale amministrativo con base qui a Brindisi. Si comunica grazie allo sforzo di tante persone che lavorano qui. Sono contenta e orgogliosa di essere qui, orgogliosa perché da qui partono delle azioni che salvano tante vite umane. Io spero anche, Ambasciatore, che il nostro contributo possa aumentare: non solo per questa base, ma anche al WFP e anche alle altre agenzie delle Nazioni Unite che svolgono un lavoro importante, perché un paese del G7 come l'Italia deve poter destinare più risorse ad un ambito così strategico.

I contributi italiani a chi vanno? I contributi italiani al WFP dove vanno? Ricordiamolo perché è significativo.

Si destinano questi aiuti alla Libia, paese per noi strategico, dilaniato dalle contese, che non riesce a trovare un sistema di dialogo e che oggi è impegnato a livello parlamentare: sono i Parlamenti adesso che si parlano tra di loro, si incontrano a Tunisi e cercano di trovare una soluzione per riportare la pace nel paese.

C'è lo Yemen, una vecchia crisi, lì gli aiuti sono mirati ad evitare la carestia. Poi abbiamo gli aiuti alla Somalia, al Sud Sudan, alla Nigeria, grande paese africano, 200 milioni di abitanti, un paese che vive una grande pressione dalla componente terroristica Boko Haram.

Questi sono anche i paesi che "producono" gli arrivi sulle nostre coste. Il nesso di cui si parlava prima tra insicurezza alimentare, conflitti e migrazione è evidente, è chiaro. E qui ribadiamo che si sbaglia chi pensa che quello che succede lontano da casa nostra non ci riguarda. Ci rientra tutto, anche in termini di migrazioni forzate.

Dicevo della Nigeria: poco tempo fa ho fatto una visita istituzionale in Nigeria e l'ho voluta fare iniziando da Benin City, la città da cui partono migliaia di ragazze che vengono ingannate e portate in Europa, costrette con la forza a prostituirsi e a diventare degli oggetti che vengono venduti e comprati, vittime di tratta, che è la nuova schiavitù contemporanea. Ho iniziato la visita istituzionale non da Abuja con il mio omologo, ma da Benin City, perché volevo che questa visita non dimenticasse quella piaga della nostra contemporaneità che è la riduzione in schiavitù attraverso la tratta. Faccio così le visite istituzionali, un po' a modo mio: incontro i presidenti dei parlamenti, i capi di stato, i ministri, ma poi voglio capire dove sto, e quindi voglio andare nei posti dove in quel paese accadono le cose. Allora ho chiesto al Presidente della Camera bassa di Abuja di venire con me in un campo di sfollati. Sfollati che venivano dal nord est del paese, da un territorio che è controllato da Boko Haram. Quasi due milioni sono gli sfollati costretti a fuggire perché ci sono i terroristi, perché la sicurezza non è una prerogativa solo nostra, ma di tutti, e sono 200mila i rifugiati nei paesi vicini. Siamo andati lì e lo stesso rappresentante del Wfp mi disse che erano molto preoccupati perché mancavano le donazioni ed erano costretti a tagliare le razioni alimentari. Voi capite che questi campi non sono organizzati, non sono gestiti dalle Organizzazioni internazionali, sono campi spontanei senza i minimi standard di vivibilità. Quando vai a tagliare le razioni alimentari la situazione non la controlli più, diventa molto complicata anche in termini di sicurezza. Io non so poi se la situazione è cambiata, non so se sono aumentate le donazioni per la Nigeria, però so che in quei giorni c'era tanta preoccupazione che non arrivassero le donazioni e che bisognasse tagliare le razioni alimentari.

Vi voglio invitare a venire tutti alla Camera il 21 novembre, perché dopo questa visita ho pensato che bisognava dare seguito agli impegni e allora ho invitato le autorità nigeriane e la società nigeriana a venire a Roma, alla Camera dei deputati, perché dovevamo intensificare questo rapporto e capire con le autorità di tutti e due i paesi come riuscire ad eliminare la piaga della tratta. Faremo alla Camera un incontro con le autorità nigeriane, il Presidente del Parlamento; da parte nostra ci sarà il Governo Italiano, ci sarà il Capo della Polizia, ci saranno le ONG che si occupano di questo tema e quindi mi farebbe piacere se anche voi poteste aderire a questa iniziativa.

Il Wfp, è stato detto, sta vivendo una situazione particolarmente critica in termini di sicurezza alimentare: lo sappiamo, è la peggiore dalla Seconda Guerra Mondiale a oggi perché ci sono le guerre, e lo abbiamo sentito, l'80% delle risorse va lì, a dare le risposte a chi fugge dalla guerra e dai disastri causati dall'uomo. Poi ci sono i disastri naturali, sempre causati dall'uomo come conseguenza del cambiamento climatico. Il cambiamento climatico non è un'ipotesi, è scienza, è realtà, e causa dei disastri che sono pesantissimi per la società. Ci sono alcune stime, le più accreditate, che dicono che entro il 2050 esisteranno oltre 250 milioni di eco-rifugiati, o migranti ambientali, chiamateli come volete. Ma vi rendete conto che vuol dire? Che impatto può esserci,se non mettiamo in atto serie politiche di contenimento del cambiamento climatico, delle emissioni di CO2? Questa è forse una delle più grandi emergenze del pianeta oggi.

Ecco qui il nesso tra assistenza umanitaria e sviluppo sostenibile, sostenibile dal punto di vista ambientale e sociale. Ce lo dice anche l'Agenda 2030 quello che bisogna fare. E allora penso che contro la fame e la malnutrizione bisogna essere radicali, non ci sono mezzi termini. Stiamo tornando indietro, a un certo punto si era abbassato il numero delle persone malnutrite, stavamo tutti tirando un sospiro di sollievo, "questa è la strada giusta". No, fermi, non è così, di nuovo nuovi affamati, nuove persone che non riescono a vivere una vita sana perché non riescono a mangiare. Bisogna vedere le storture di un modello di sviluppo che non funziona. Questo modello di sviluppo che cosa sta facendo? Sta concentrando la ricchezza nelle mani di pochi e aumentando le diseguaglianze. Il nostro modello di sviluppo attuale è questo, la ricchezza va nelle mani di 8/10 persone a livello globale e tutti gli altri sono più poveri. VI rendete conto che non può funzionare un modello così, non c'è ridistribuzione, non è più sostenibile un modello come questo. E le diseguaglianze non aumentano solo nel Sud, aumentano anche a casa nostra: la crisi economica degli ultimi anni ha segnato la società italiana, sono aumentate anche nel nostro paese le diseguaglianze. Penso che lo sviluppo sostenibile debba essere diverso, debba mettere al centro la persona umana, l'uomo, la donna. Che cosa è lo sviluppo sostenibile se non consentire a tutti di bere acqua potabile, consentire a tutti di potersi curare? Io ho lavorato in diversi contesti africani, come molti di noi qui: se non hai la possibilità di andare in una clinica privata non ti curi, perché nelle campagne della Tanzania, del Burundi, gli ospedali non sono in grado di curare le persone.

Lo sviluppo è umano, è delle persone, le persone devono poter accedere ai servizi, devono poter andare in una scuola degna di questo nome, questo è lo sviluppo umano. L'unico modo per creare veramente sostenibilità è partire dall'essere umano, mettere al centro la persona. Questo ha una prospettiva: non mandare qualche azienda a lavorare in Africa, magari per arricchirsi pure perché il costo del lavoro è più basso. Non è sviluppo quello, non è quella la strada.

Cari amici e care amiche, cari ragazzi, lo sviluppo umano, ricordatevelo, è cominciare dalle persone: le persone delle quali si occupano gli organismi umanitari, delle quali si occupa il Wfp. Il Wfp si prende cura delle persone nel momento più duro delle loro vite, quando le persone sono più vulnerabili. E' per questo motivo che è gratificante ed è molto importante sostenere il vostro lavoro. Vi ringrazio.