11/04/2017
Roma, Teatro Argentina

Partecipazione alla presentazione del ‘Rapporto annuale 2017. Un anno di attività in favore di richiedenti asilo e rifugiati’ del Centro Astalli

Buongiorno a tutti e a tutte.

Mi scuso per essere arrivata in ritardo, ma avevamo un appuntamento già preso da tempo, in una scuola di Roma, per parlare con studenti e insegnanti di cittadinanza digitale nell'ambito dell'attività della Commissione Internet della Camera.

Un organismo che ho istituito perché non c'era, tra le quattordici Commissioni permanenti di cui disponiamo, e perché penso che Internet sia talmente importante nella nostra vita che non se ne poteva più prescindere. Dopo aver elaborato una Carta dei diritti e dei doveri, la Commissione - in accordo con il MIUR - ora esce da Montecitorio e va nelle scuole. E' iniziato così questo tour che ha già fatto tappa a Torino, oggi a Roma e poi continuerà, per parlare con i ragazzi e le ragazze dello spazio digitale, della violenza e dell'odio in rete.

Saluto e ringrazio padre Manaresi e padre Ripamonti, per l'invito che mi hanno fatto ad essere con voi oggi; saluto monsignor Galantino, saluto Emma Bonino, saluto Massimo Giannini. Saluto tutti voi, vedo tante facce amiche e note, con le quali abbiamo fatto dei bei percorsi insieme.

Comincio da una cosa sgradevole. Noi qui condividiamo sensibilità molto affini, siamo tra 'convertiti', come si dice, però dobbiamo guardare quello che succede fuori.

Proprio perché la Carta di Roma appena menzionata mi porta a parlare dell'importanza della comunicazione, della percezione, dell'utilizzo delle parole, vorrei partire da un titolo, estremamente gradevole, che sottende una società a compartimenti stagni. "Se li accogli ti uccidono" era il titolo, in prima pagina, di un quotidiano italiano qualche giorno fa, dopo l'attentato di Stoccolma.

Questo dà l'idea, la cifra del dibattito mediatico e politico. Il titolo ci suggerisce che non dobbiamo accogliere, perché se lo facciamo ci ammazzano. Quindi si sovverte quel principio di solidarietà a cui pensavamo ci si potesse ancora ispirare in questo Paese. Non è un reato essere solidali, no? E comunque non è l'anticamera dell'omicidio essere solidali. Questo titolo, invece, ci dice che lo è.

Ciò spiega quanto si faccia fatica, nel nostro Paese, e non solo nel nostro, a parlare di questi temi su basi reali e corrette. Credo che dobbiamo ripartire dai numeri, dalla realtà; non dalla riproduzione di parte della realtà, non da una percezione assolutamente strumentale della realtà.

La realtà ci dice che i rifugiati crescono nel mondo perché la comunità internazionale non riesce a dare le risposte adeguate a conflitti vecchi e nuovi che si moltiplicano nel nostro pianeta. I dati ci dicono che i rifugiati non fanno a gara per venire in Europa, che non c'è solo questa meta, che questa meta esiste ma non è la principale. I dati ci dicono che i flussi sud-sud sono maggiori di quelli sud-nord, ma sembra che questa evidenza venga respinta al mittente, come se non esistesse. "Vengono tutti da noi", questa deve essere la realtà, questo deve essere ciò che arriva nelle case degli italiani. Vengono tutti da noi, dunque noi siamo sotto assedio.

Io sono Presidente della Camera da quattro anni, la guerra in Siria è iniziata prima e una delle mie ultime missioni all'Unhcr è stata in Giordania, nel campo profughi di Zaatari. Lì, già quattro anni e mezzo fa, constatai direttamente gli effetti della crisi siriana sulle popolazioni locali. La Giordania ha 6 milioni e mezzo di abitanti, e una popolazione di rifugiati di un milione e mezzo di siriani, in un territorio che è meno della nostra Lombardia. Non è accettabile occultare i dati scientemente per far credere all'opinione pubblica italiana che noi siamo gli unici ad occuparci di questo tema, di questa situazione, che nessun altro fa fronte a questo tranne noi.

Trovo veramente disdicevole anche la commozione a giorni alterni, frutto di un cinismo politico inaccettabile. Un giorno ci commuoviamo tutti vedendo il Aylan a Bodrum, il suo corpicino riverso sulla spiaggia, o quando vediamo i bambini gasati a Idlib. Chi non si indigna? Tutti lo facciamo. Poi, però, nei giorni dispari rimuoviamo questa indignazione, questa tragedia, e parliamo di muri e di respingimenti.

Questo avviene in Europa oggi, questo è il sentimento: ci si commuove, però poi se qualcuno fa muri non succede niente. Questo è il cinismo che ha portato l'Europa anche a consegnare le chiavi del problema della migrazione ad un paese terzo come la Turchia. Gli abbiamo delegato il diritto di asilo, abbiamo deciso di 'delocalizzarlo', lo diamo in gestione a loro. Ci costerà pure un po', però ci evita un problema. Così accettiamo, di fatto, di non riuscire a 'trovare la quadra' all'interno dei 27 Stati, rinunciamo politicamente a una soluzione che sarebbe stata possibile se solo tutti gli Stati avessero dato seguito alla proposta della Commissione Europea. La Commissione Europea aveva preso atto del fatto che è un flusso che proseguirà nel tempo e che non potevano essere pochi Paesi a farsene carico. Aveva trovato il modo per affrontare la questione: la relocation. Ma quel sistema, purtroppo, non è stato considerato sostenibile da tutti gli Stati. E così un flusso gestibile di persone è diventato automaticamente una crisi per alcuni Stati e una crisi per tutta l'Europa, che rischia di schiantarsi su questo tema.

Noi, nel delegare il diritto di asilo a un paese terzo, abbiamo fatto una cosa gravissima, abbiamo spazzato via anni di civiltà giuridica, abbiamo misconosciuto il diritto d'asilo, uno dei temi più identitari: ce n'è traccia già nel 430 avanti Cristo, quando Euripide parla dei figli di Eracle condannati a vagare nell'Egeo perché nessuno vuole dare àsilon, perché questo implicherebbe dichiarazione di guerra contro il Re di Argo. Eppure i figli di Eracle trovano asilo, sarà Atene a darglielo.

Ora noi Europei abbiamo delegato questa identità a un paese come la Turchia dove, oggi più che mai, c'è da farsi qualche domanda. Se in Turchia gli stessi diritti del popolo vengono messi in discussione non voglio immaginare cosa possa accadere ai rifugiati che si trovano lì.

E questa macchia reputazionale pesa sull'Europa, perché se fino a ieri l'Europa poteva dire agli altri paesi di non fare respingimenti, di assistere secondo gli standard internazionali, oggi non può più farlo. Oggi noi Europei possiamo essere oggetto di facile ironia. A me è capitato in Libano, lo scorso anno, per la Giornata Mondiale del Rifugiato. In quella occasione ho visitato questo paese proprio perché fa enormi sforzi per mantenere i rifugiati, avendo 4 milioni di abitanti e un milione e mezzo di rifugiati, con una percentuale forse anche più critica rispetto a quella giordana. Ebbene, ricordo con imbarazzo le battute ironiche delle massime cariche istituzionali durante i nostri incontri : "Cosa dobbiamo fare per ottenere un qualche aiuto dall'Europa, comportarci come la Turchia? Minacciare di spedirvi centinaia di migliaia di persone e così costringervi a sostenerci?".

Così l'Europa si indebolisce, perde credibilità e autorevolezza per il fatto che alcuni Stati europei non ottemperano ai loro obblighi, alle decisioni prese in Consiglio Europeo.

Aggiungo un'altra considerazione: come stiamo gestendo tutto questo? Che prova stiamo dando della nostra capacità di dare delle risposte in questa situazione? Sicuramente abbiamo fatto e stiamo facendo tutto il possibile per salvare vite umane in mare. Lo fanno i corpi dello Stato, la marineria, le Ong e tutti coloro che danno valore alla vita umana. In mare si salva, non c'è un'altra alternativa. Però poi c'è una questione su cui dobbiamo interrogarci: il livello di accoglienza e di integrazione. E dobbiamo farlo senza sconti. Credo che abbia ragione il Ministro dell'Interno quando dice: "L'accoglienza ha un limite nella capacità di integrazione". E' vero. Ma perché questo binomio possa funzionare c'è bisogno di due cose: investimenti adeguati per l'integrazione e politiche di inclusione sociale. Perché altrimenti questa frase rischia di perdere significato e di essere un'affermazione di principio a cui non fa seguito coerentemente un'azione politica.

Io ho sempre il vizio di guardare cosa succede negli altri paesi, forse per la mia esperienza in ambito internazionale. In Germania, dal 2016 al 2020, è stato deciso di investire 93,6 miliardi in integrazione: che vuol dire alloggio, corso di lingua, corso di formazione professionale, integrazione al lavoro, internship nelle aziende.

In Italia, in materia di "Immigrazione, accoglienza e diritti", abbiamo stanziato 2,86 miliardi per il 2017. Per gli anni 2018 e 2019 lo stanziamento è 2,54 miliardi annui. Vuol dire che in 3 anni noi stanzieremo 8 miliardi.

Quindi, dopo cinque anni in Germania quei rifugiati avranno probabilmente portato a termine un percorso di cittadinanza, mentre da noi ho qualche dubbio che nello stesso tempo i richiedenti asilo riconosciuti con protezione internazionale riusciranno ad avere la padronanza della lingua e un'integrazione sociale.

Ma non è certo solo una questione di fondi. E' anche una questione politica, una politica che punti all'inclusione e al coinvolgimento delle comunità locali, perché anche questo è importante. So che per i sindaci è impegnativo, ma quando chi arriva in una comunità ha la possibilità di farsi conoscere tante barriere e resistenze vengono meno. Il passaggio della conoscenza reciproca è fondamentale se vogliamo abbattere i muri che oggi troviamo sul nostro percorso di integrazione.

Invece ha la meglio questo parallelismo - indissolubile per alcuni - tra il presunto allarme-sicurezza e la presenza degli immigrati. Ieri ero alla Festa della Polizia e vorrei portarvi qualche dato per smontare questo parallelismo. Secondo il Capo della Polizia nel nostro Paese calano i furti, le rapine e gli omicidi. Diminuiscono ovunque. Quindi l'Italia non è il Far West che alcuni ci vogliono presentare. Non è così, anche grazie alle nostre forze dell'ordine. Ma questo significa anche che noi, più che sulla sicurezza, dobbiamo ragionare sulla percezione di insicurezza, che è altrettanto importante e va presa seriamente.

Ma mi chiedo: quali sono le risposte giuste, quando è la percezione a farla da padrona? Non la sicurezza di per sé, ma la percezione, che domina il dibattito politico e mediatico. Perché si va dietro alla percezione senza contrastarla? Come possiamo far capire ai nostri concittadini che il problema è sentito, ma non corrisponde alla realtà dei fatti? Sono convinta che una società è più sicura e viene percepita come tale se è coesa, inclusiva, quando non c'è un sentimento di solitudine forte che attanaglia tante persone anziane, che non hanno mezzi, che si sentono escluse dalla società. E' la coesione a farci sentire più sicuri.

E quando è che una città viene percepita come più sicura? Secondo me una città viene percepita come più sicura se le sue strade sono illuminate, se sono pulite. Ci si sente meglio quando si attraversa un parco dove non ci sono persone che dormono per strada, gli spazi verdi sono curati, quando i rifiuti non sono ammassati, quando ci sono iniziative anche la sera, quando la città è viva, la gente esce. Questo penso dia la sensazione di sentirsi più sicuri. Quindi i sindaci si devono concentrare su come rendere le città più vivibili per tutti, con accortezze che poi non sono neppure impossibili da mettere in atto.

Riguardo al fatto che la percezione tocca tutti, vorrei sottoporre alla vostra attenzione una notizia che ha avuto poco seguito.

E' stato il Presidente della Repubblica che, recependo il parere del Consiglio di Stato e accogliendo il ricorso proposto dall'Associazione 'Avvocato di strada', ha sottolineato il principio secondo cui 'chi chiede l'elemosina senza dare fastidio non può essere multato'.

C'è voluto l'intervento del Presidente della Repubblica per stabilire che chi fa l'elemosina senza molestare non può essere multato. Perché il problema non si risolve nascondendo la povertà o punendo i poveri, ma trovando misure che contrastino la povertà.

Chiudo solo ricordandovi l'impegno che ci siamo presi anni fa, tutti insieme: la legge sulla cittadinanza. Non posso dimenticare che con tanti di voi abbiamo organizzato manifestazioni, ci siamo impegnati, abbiamo fatto audizioni, mobilitazioni. Quella legge non è l'ideale, ma comunque è una norma di cui oggi abbiamo terribilmente bisogno.

E' stata approvata alla Camera e adesso è in attesa di essere portata in Aula al Senato. Mi auguro che la legislatura non termini prima che quella legge non venga approvata, perché abbiamo centinaia di migliaia di 'italiani di fatto' nel nostro Paese che hanno un'aspettativa, che vorrebbero essere a pieno titolo italiani e che ancora non lo sono. Penso che questo sia il modo più efficace di fare inclusione, ma anche di fare sicurezza nel nostro Paese.

Vi ringrazio.