13/03/2014
Montecitorio, Sala della Regina

Conferenza internazionale 'Il valore dell'Europa. Crescita, occupazione e diritti: l'Unione europea alla prova'

Signor Presidente della Repubblica, Signor Presidente del Senato, Signor Presidente del Consiglio, Signori Presidenti di Parlamenti di Paesi europei, onorevoli deputati e senatori, Autorità, Signore e Signori, è un onore potervi accogliere qui alla Camera dei deputati. Sono rappresentate qui oggi delegazioni parlamentari provenienti dagli Stati membri dell'Unione europea, dai Paesi candidati all'adesione, dal Parlamento europeo e dall'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa.

Delegazioni giunte a Roma per confrontarsi, insieme ad otto relatori di alto profilo, su alcuni tra i temi che si pongono in maniera più pressante sulla strada dell'integrazione europea: il rilancio economico, la crescita, la creazione di posti di lavoro e la garanzia dell'effettività dei diritti fondamentali nei Paesi dell'Unione europea.

Parleremo tra di noi, ma avendo in mente gli interlocutori, le persone che sono fuori di qui. Penso in particolare agli studenti che incontro spesso, ragazzi per i quali le prossime elezioni europee saranno quelle del primo voto. In modo molto diretto mi chiedono: "Presidente, io non vedo un lavoro nel mio futuro. Perché mai dovrei andare a votare? Cosa mi offre l'Europa?" Sono dubbi, paure, scetticismi, che tutti noi conosciamo. Vorrei che queste domande segnassero la nostra discussione.

Le generazioni di chi oggi è presente a questo incontro sono cresciute - siamo cresciuti - dando per scontato il valore positivo dell'Europa. Ora non è più così. Nel momento in cui la crisi colpisce pesantemente la vita quotidiana delle famiglie, dobbiamo saper dimostrare che "l'Europa conviene"; che senza l'Unione ciascuno dei nostri Paesi e ciascuno di noi cittadini sarebbe più debole. Se non sappiamo far questo, nessuna retorica europeistica ci salverà.

Ci riuniamo qui in un momento in cui i venti di guerra soffiano nuovamente alle porte dell'Europa. Come rappresentanti dei Parlamenti europei, dobbiamo fare tutto il possibile, anche attivandoci nei confronti dei rispettivi governi, per scongiurare il pericolo di un conflitto in un Paese amico. L'integrità territoriale dell'Ucraina deve essere rispettata ed il suo cammino di avvicinamento all'Europa non deve essere interrotto. Il nostro incontro di oggi - alla presenza di parlamentari provenienti dai diversi Stati dell'Unione e dai Paesi candidati - è la dimostrazione concreta del successo del processo di integrazione europea, che ha saputo riunire Paesi che, per decenni, si sono trovati su fronti contrapposti.

Quel che accade in Ucraina ci ricorda, inoltre, che - mentre nel nostro continente si diffondono sentimenti di disillusione e di disaffezione nei confronti dell'Europa - c'è chi, ai nostri confini, vede l'Unione Europea per quello che è: uno straordinario progetto che, da decenni, assicura pace, libertà e prosperità a centinaia di milioni di persone. Le immagini di migliaia di giovani in piazza a Kiev,che abbiamo visto in queste settimane, rappresentano anche una cura efficace contro il nostro disincanto. Ci rammentano la grandezza di questo progetto, capace di mobilitare intere popolazioni. Ci ricordano che per i "valori dell'Europa" - espressione che noi talvolta pronunciamo con stanchezza - c'è gente disposta a battersi, persino a rischiare la vita.

E' un progetto cui guardano con speranza anche i popoli della sponda sud del Mediterraneo. Una speranza cui dobbiamo saper rispondere, sostenendo le iniziative per giungere alla pace laddove le violenze incessanti mietono ancora tante - troppe - vittime; ed appoggiando le transizioni democratiche in atto.

La volontà di dar vita a quest'iniziativa nasce nel corso della mia recente visita ufficiale in Grecia. In quell'occasione, quattro mesi fa, il Presidente Meimarakis ed io - rappresentanti delle Assemblee legislative dei due Paesi che, di lì a poco, avrebbero ricoperto in successione la Presidenza del Consiglio dell'UE - decidemmo di organizzare un evento interparlamentare atipico, che fungesse in qualche modo da ponte tra le nostre due Presidenze. La nostra decisione scaturì dalla comune volontà - che è propria di tutte le forze democratiche europee, a prescindere dall'appartenenza politica - di contrastare le spinte estremiste, populiste ed antieuropeiste che si vanno diffondendo in Europa.

Il nostro - sia chiaro - non è un europeismo di bandiera, ma si fonda su premesse e prospettive concrete.

L'Italia, Paese fondatore della Comunità europea, e la Grecia, culla della civiltà e della storia dell'Europa, sono tra i Paesi che hanno sofferto in modo particolare gli effetti della crisi economica e finanziaria mondiale. Una crisi che rischia di lasciare le ferite più profonde proprio nel nostro continente, dove le incertezze e i ritardi di questi anni non possono certo essere ignorati e saranno qui oggetto del nostro dibattito. Ma la prospettiva europea è imprescindibile: al di fuori dell'Europa, non vi è futuro per stati-nazione come i nostri dalle dimensioni medio-piccole.

Vogliamo dunque dare risalto, in queste due giornate di discussione, da un lato agli importanti traguardi che l'Europa ha raggiunto negli ultimi decenni ed all'impatto positivo che l'Europa ha già sulla vita quotidiana dei suoi cinquecento milioni di cittadini. Dall'altro vogliamo guardare verso le nuove sfide e i nuovi traguardi che abbiamo davanti. Quasi un mese fa, si celebrava proprio qui alla Camera dei deputati il trentesimo anniversario del cosiddetto 'Progetto Spinelli', il 'Progetto di Trattato che istituisce l'Unione europea' che Altiero Spinelli - coraggioso antifascista e padre fondatore dell'Europa - presentò e riuscì a far approvare a larghissima maggioranza dal Parlamento europeo. Gran parte degli obiettivi posti da quel testo, ritenuto allora da molti visionario, hanno poi trovato concreta applicazione nell'attuale assetto istituzionale dell'Unione.

Trent'anni fa - quando molti di noi erano giovani o giovanissimi - occorreva mostrare il passaporto per poter attraversare i confini nazionali; non esisteva una moneta comune europea utilizzata da diciotto Stati; le normative dei singoli Paesi erano spesso molto diverse tra loro. Oggi, come dimostreranno le storie raccontate in prima persona nel breve filmato che vedremo tra qualche minuto, i cittadini europei possono vivere, lavorare e studiare in tutti i Paesi dell'Unione europea godendo delle stesse condizioni e degli stessi diritti dei cittadini di quegli Stati; e beneficiano della cooperazione giudiziaria, che ha snellito procedure e contenziosi un tempo lunghissimi. Grazie ai contributi europei, i centri storici di molti piccoli borghi sono stati riqualificati, creando occupazione e prospettive per il futuro; e vengono tutelati il paesaggio, l'ambiente e le coltivazioni tipiche.

Il Progetto Spinelli venne sviluppato nei primi anni Ottanta, quando l'Europa era ancora alle prese con gli effetti della crisi del 1973. Oggi, di nuovo, l'Europa è chiamata a tornare al significato originario della parola greca krísis, ovvero 'scelta', 'decisione'. Perché la situazione attuale, con i drammatici livelli di disoccupazione - in particolare giovanile - raggiunti in alcuni Stati membri dell'Unione, richiede appunto di fare delle scelte, richiede una nuova visione europea che ci sappia traghettare fuori dalle acque tempestose in cui ci troviamo e che ponga le basi per una crescita solida, duratura e sostenibile.

Una visione che parta da alcune domande cui rispondere senza preconcetti e senza pregiudizi: le risposte date sinora possono considerarsi sufficienti? O dobbiamo fare uno sforzo ulteriore per assicurare all'Europa un futuro che la veda di nuovo protagonista a livello internazionale?

L'Europa può fare molto, ma molto devono poter fare le istituzioni locali, regionali e nazionali dei vari Paesi, a partire dalle assemblee elettive. Serve un progetto concreto, fatto di misure che siano in grado di contrastare le spinte antieuropeiste laddove trovano terreno fertile per attecchire. E' il terreno dove si diffonde la percezione che l'Europa sappia agire solo allo scopo di garantire il risanamento delle finanze pubbliche e la stabilità dei sistemi finanziari e creditizi e, con molto meno vigore, per il rilancio della crescita e dell'occupazione o per condannare le violazioni dei diritti. Come ha sottolineato con grande chiarezza il Presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, nel suo intervento al Parlamento europeo del 4 febbraio scorso, non può più reggere "una politica di austerità ad ogni costo." In altre parole, un rigore incapace di valutare le sue conseguenze sociali mette a rischio la tenuta stessa delle nostre democrazie, perché le delegittima agli occhi dei cittadini.

L'impatto delle misure volte a conseguire il risanamento di bilancio è stato infatti spesso devastante. Se, in alcuni Paesi, la sanità pubblica non è più garantita, crescono i tassi di mortalità infantile e si ripresentano malattie scomparse da decenni; se più di 26 milioni di cittadini europei, tra cui quasi un quarto dei nostri giovani, non hanno un lavoro; se oltre 120 milioni di persone sono a rischio di povertà, tutto questo vuol dire che, nonostante i segnali di ripresa, non è stato fatto abbastanza ed è necessario un cambiamento.

Se, allora, oggi e, soprattutto, domani parleremo di diritti fondamentali, lo faremo perché molti di questi diritti sono oggi minacciati in Europa. Un'Europa orientata, da decenni, verso un modello industriale insostenibile in termini ambientali e dove, per questo motivo, non sempre è garantito il diritto alla salute. Un'Europa dove la libertà d'informazione non sempre viene adeguatamente tutelata. Un'Europa che non ha esitato a respingere persone in fuga dalle persecuzioni e dalle violenze. Se è vero che tutti gli Stati membri devono garantire condizioni d'accoglienza adeguate ai richiedenti asilo ed ai rifugiati, alcuni Paesi hanno l'onere aggiuntivo di dover salvare vite umane ai propri confini o in mare aperto, come accade nel Mediterraneo.

Un'Europa in cui le conseguenze della crisi hanno minato il diritto ad una vita dignitosa per milioni di persone ed in cui si è aggravato il ricorso, da parte delle aziende in difficoltà, all'erosione dei diritti dei lavoratori o al trasferimento degli impianti industriali in Paesi con manodopera a basso costo. Un ricorso alla delocalizzazione che non compromette solo i diritti di lavoratrici e lavoratori, ma anche i modelli di economia sociale di mercato che sono tipici del nostro continente, e che dobbiamo salvaguardare.

E' per salvare e dare un futuro al modello sociale europeo che oggi serve una svolta. Intendiamoci: io penso che non dobbiamo abbandonare l'attenta gestione e il risanamento dei conti pubblici, perché si tratta di soldi dei nostri concittadini il cui uso merita sobrietà e prudenza. Ma, al necessario rigore, è ora che si accompagnino misure in grado di favorire una crescita che sia sostenibile e duratura. Servono investimenti produttivi capaci di creare nuova occupazione e quindi di rilanciare i consumi. Serve un più consistente sostegno alla ricerca e all'innovazione, per restituire all'intera economia europea un ruolo di traino nella competizione globale.

Dobbiamo farlo perché vogliamo migliorare le condizioni materiali delle persone, ma anche perché vogliamo difendere i diritti e i valori di libertà che sono alla base della Costituzione europea. Non possiamo dimenticare, infatti, che la crescita della povertà e della disuguaglianza in molti Paesi membri è stata alla base dell'aumento della tensione sociale e del conseguente ricorso sempre più massiccio all'incitamento all'odio - on- e off-line - ed alle violenze nei confronti delle donne, delle minoranze etniche, dei migranti e dei rifugiati, delle persone LGBT. Un ricorso alla retorica xenofoba ed omofoba che, troppo spesso, contagia anche l'arena della politica nazionale ed europea.

L'Unione europea si trova oggi di fronte ad un paradosso. Il rispetto delle regole dello stato di diritto e dei diritti fondamentali fa parte degli obiettivi che gli Stati candidati all'adesione devono rispettare. Così come i diritti umani costituiscono ormai parte integrante dell'azione esterna dell'Unione. Tuttavia, cosa può fare concretamente l'Unione nel caso di violazione di tali diritti in uno Stato membro o, come direbbero i colleghi britannici, come si può agire nei confronti di chi non aspira ad entrare, ma è già 'in the club', nel circolo ristretto dei Paesi membri? E, se il monitoraggio dei diritti fondamentali negli Stati membri avviene già, anche grazie all'operato dell'Agenzia in materia, come si possono prevedere meccanismi efficaci per garantire ex post quell'azione prevista invece nell'ambito del risanamento delle finanze pubbliche?

E' di soli due giorni fa la presentazione di una nuova, importante proposta della Commissione europea per salvaguardare lo stato di diritto nell'Unione europea, una proposta che risponde proprio a questi quesiti e che prevede un meccanismo rafforzato di monitoraggio delle cosiddette 'disfunzioni sistemiche' dello stato di diritto prima dell'attivazione dell'articolo 7 del Trattato sull'Unione europea, da molti criticato sino ad oggi per la sua sostanziale inefficacia.

Nei prossimi mesi è prevista inoltre l'adesione dell'Unione europea alla Convenzione europea dei diritti dell'Uomo, i cui effetti in termini giuridici saranno molteplici e che rafforzerà gli stretti legami tra l'Unione ed il Consiglio d'Europa, che tra poco più di un mese festeggerà sessantacinque anni di attività incessante in favore dei diritti umani sul nostro continente e che voglio ringraziare per l'importante lavoro che ha svolto e che continua a svolgere.

Al di là dei diversi approcci e delle diverse proposte, oggi è essenziale agire. Ne va della credibilità dell'Europa sulla scena internazionale e, soprattutto, nei confronti dei propri cittadini, a cui si deve poter dire: l'Europa non si occupa solo di bilanci; l'Europa tutela i vostri diritti. Si deve anche dire, infine, che l'Europa si avvicina ai propri cittadini aumentando il carattere democratico delle proprie istituzioni, permettendo ad esempio ai cittadini di scegliere, votando alle elezioni europee, anche il candidato alla carica di Presidente della Commissione europea.

Per fare questo dobbiamo essere in grado, come sottolineavo all'inizio del mio intervento, di proporre una visione che consideri tutti i Paesi membri come paritari e che permetta all'Europa intera di ripartire, appianando i dissapori e quelle recriminazioni tra Stati membri che troppo spesso l'affliggono. Un progetto che, soprattutto, ridia speranza ai milioni di persone che oggi sono senza lavoro ed ai nostri giovani. Un progetto che metta al centro l'anima sociale dell'Europa. Mai come adesso il processo di integrazione è stato a rischio. Noi siamo qui perché vogliamo salvarlo, e anzi rilanciarlo. Ma sappiamo bene che l'Europa avrà un futuro unitario e democratico solo se sarà in grado di dare risposte convincenti a chi, più di altri, paga il costo della crisi.

Come ebbe a dire nel 1949 un grande leader dell'Europa democratica, Winston Churchill, parlando dell'Europa unita: "I pericoli che ci minacciano sono immensi, ma immensa è anche la nostra forza".

Di nuovo, benvenuti alla Camera dei deputati e buon lavoro.