15/02/2016
Montecitorio, Sala della Regina

Intervento della Presidente in occasione dell'incontro con i docenti della Rete Universitaria europea 'Verso l'Unione politica' sul tema 'La revisione dell'assetto costituzionale della UE in una prospettiva federale'

Buongiorno a tutte e a tutti. Saluto il Rettore dell'Università La Sapienza, professor Eugenio Gaudio, con il quale abbiamo già svolto diverse iniziative, i professori Francesco Gui, Vincenzo Guizzi Daniela Preda, tutti i docenti e le docenti, gli studenti e le studentesse che sono in questa Sala della Regina.

E' per me un grande piacere ragionare insieme di uno dei temi che ritengo essere tra i più cruciali del nostro tempo: siamo qui per parlare di Europa, per intravedere una prospettiva che ci dovrebbe portare lontano, la prospettiva federale.

Abbiamo l'ambizione, forse il sogno, di pensare che alla fine di questo percorso ci possano essere gli Stati Uniti d'Europa. Vedete questa spilletta che ho sulla giacca? Contiene tre lettere: U - S - E, United States of Europe.

Ve ne parlo oggi, di ritorno da una visita in Grecia che ritengo essere molto significativa per il tema che stiamo affrontando. Sono stata anche a Lesbo, l'isola salita agli onori delle cronache per essere il luogo di approdo di centinaia di migliaia di persone in fuga dalle guerre, dalle violazioni dei diritti umani, dagli abusi. In gran parte sono siriani, iracheni, afghani. Arrivano in quest'isola dopo aver attraversato un braccio di mare di appena poche miglia, ma sufficiente a creare un'ecatombe.

Sono voluta andare nell'isola di Lesbo non per incontrare i richiedenti asilo: non certo per mancanza di rispetto, ma perché volevo mandare un altro messaggio. Un messaggio a Schengen: Lesbo chiama Schengen. E l'ho fatto dicendo grazie alla gente di Lesbo, grazie alle signore di 80, 85, 90 anni, a loro volta rifugiate. I loro genitori vennero scacciati dall'Anatolia nel 1922 e loro si sistemarono in quest'isola come profughe. Non avevano più niente, era stato dato loro un appezzamento di terra sull'isola e costruirono delle baracche. Fecero figli, e questi figli adesso, da adulti, si ricordano i racconti dei loro genitori. Sono andata a dire grazie a queste signore che a 90 anni escono di casa, vanno sulla spiaggia quando arrivano rifugiati, prendono i bambini e gli danno il biberon. Avete visto forse una foto diventata virale, che ha fatto il giro del mondo, di questa donna, Emilia, che insieme alle sue amiche sulla panchina allatta col biberon un neonato arrivato dall'estero. Con loro c'è l'intera comunità, ci sono i pescatori che salvano le persone, la nostra guardia costiera, volontari di tutto il mondo. C'è un'umanità che dice no al cinismo, no all'egoismo, no alla chiusura, no ai muri.

Ecco perché mi sembrava giusto finire lì questa missione istituzionale perché se la Grecia va a fondo anche l'Europa va a fondo. Se noi vogliamo punire la Grecia perché sta ottemperando al diritto internazionale, non mettendo in atto quello che alcuni Stati chiedono inopinatamente, faremo qualcosa di molto grave. Il diritto internazionale, la convenzione di Ginevra del 1951, parla del non respingimento. Ed è quello che sta facendo la Grecia, che sta facendo Lesbo.

La Grecia ottempera a questi obblighi e noi non dobbiamo perdere di vista il senso del nostro stare insieme, la nostra cultura, lo Stato di diritto. E' abbastanza spaventoso sentire che alcuni Stati oggi ritengono possibile la soluzione di chiudere i confini verso gli Stati esterni per consentire la libertà di movimento solo all'interno dell'unione europea.

E' oggettivo che stiamo vivendo una fase di stallo. L'Unione europea non riesce più a dare le risposte necessarie ai propri cittadini. Ma di fronte a questa situazione cosa facciamo? Aspettiamo che tutto vada per il peggio o prendiamo il destino delle nostre mani? Io mi sono posta questa domanda lo scorso luglio, mi sono chiesta cosa posso fare io di fronte al fatto che nell'ambito dell'eurozona si discute di espellere uno stato come la Grecia? Cosa devo fare io che presiedono un'istituzione come la Camera dei deputati di fronte al fatto che migliaia di persone continuano a morire e a questo non si reagisce più?

Questa irrequietezza mi ha portato a cercare degli alleati tra i miei omologhi perché solo così, a mio avviso, si può riuscire a ottenere risultati. Così ho chiamato i presidenti di altre Camere basse, di altri Parlamenti e ho cominciato con il presidente della camera del Lussemburgo perché era il suo semestre di presidenza, gli chiesto se era disponibile a fare un'iniziativa a Roma. Ho quindi pensato che potesse essere necessario un documento simbolico, una carta di principi, e lui è stato molto presente, mi ha incoraggiato ad andare avanti. Ho quindi contattato il collega dell'Assemblea nazionale francese e Claude Bartolone ha sostenuto immediatamente il motivo della mia telefonata si è detto più che felice di essere parte di questo gruppo. Ma un documento sull'Europa non si poteva fare senza la Germania e allora ho chiamato il collega Norbert Lammert e anche lui ha concordato sul fatto che fosse tempo di agire.

A questo punto ci siamo messi attorno a questo tavolo, il 14 settembre, e abbiamo firmato una Dichiarazione che, a mio avviso, contiene un forte messaggio politico: noi presidenti diciamo cose chiare e semplici, diciamo che in un tempo di crisi come questo non c'è bisogno di meno Europa ma di più Europa. Dobbiamo avere il coraggio di condividere sovranità, senza avere paura, in tutti quei settori in cui l'azione dei singoli Stati oramai è del tutto inadeguata.

Nel documento sottolineiamo la necessità di rilanciare la crescita dell'occupazione perché non si può implementare una politica di austerità senza valutarne l'impatto sociale. E aggiungiamo che vogliamo andare avanti verso un'unione federale di Stati. Nel corso della mia ultima missione, la Dichiarazione 'Più integrazione europea: la strada da percorrere' è stata sottoscritta da altri due omologhi: i presidenti dei parlamenti di Cipro e Atene. Con le loro firme arriviamo a 11 Paesi sottoscrittori e andremo avanti. L'interesse suscitato dal documento ha sorpreso anche a me. Ho raccolto un sostegno non riguarda solo l'ambito parlamentare, ma anche di mondi diversi, come quello accademico che è qui oggi, quello del pensiero e della ricerca, della scuola. E soprattutto, sono tanti i giovani che si ritrovano nei principi europeisti.

Di tutto questo informeremo le istituzioni europee: il prossimo il prossimo 22 e 23 maggio si terrà la conferenza di tutti i presidenti dei Parlamento Ue e i contenuti della Dichiarazione sono all'ordine del giorno. Mi auguro che in quell'occasione avremo anche altre adesioni. Tuttavia, ritengo che l'impegno non debba essere solo istituzionale ma deve andare oltre e coinvolgere anche la società civile, ci vuole una partecipazione più ampia e non penso di togliere qualcosa alla democrazia rappresentativa nel proporre questo.

Noi rappresentiamo il popolo italiano ma saremo più forti se le persone ci indicheranno la via da percorrere. Per questo, in un modo abbastanza nuovo per questa istituzione, ho voluto avviare una consultazione pubblica on-line, aperta tutti i ragazzi e le ragazze. A loro chiediamo di rispondere a sette domande per sapere come vogliono questa Europa e cosa non ha funzionato. In base alle loro risposte, le istituzioni sapranno come dirigere la propria azione.

La consultazione è cominciata venerdì scorso e ci sono state già 1200 adesioni. Ringrazio tutti coloro che ci stanno seguendo su questa iniziativa e che hanno compilato i formulari. Questo riscontro è il segnale che questo passaggio è importante e che le persone, quando hanno la possibilità di partecipare, lo fanno volentieri. Al termine della consultazione un gruppo di saggi, di economisti, giuristi e politologi, lavorerà sui risultati del questionario in modo che, quando andremo tutti a Ventotene a fine agosto su invito dei giovani federalisti europei a discutere d'Europa, si possa arrivare a elaborare un documento che rappresenti l'inizio di un percorso verso l'Europa che cittadini vogliono. La nostra Europa è una macchina che ci ha portato lontano per sessant'anni, che ci ha fatto fare un percorso importante, attraverso stop and go stop and go. Un auto che è stata un buon investimento, ma adesso non va più bene perché ha fatto troppa strada. Ora serve un motore nuovo, gomme nuove, interni nuovi perché è ancora lungo il percorso che abbiamo davanti. Spero che questo nuovo modello piaccia ai giovani e che loro facciano a gara per guidare questa nuova macchina. La prima domanda del questionario riguarda proprio il tipo di Unione che riteniamo sia in grado di poterci guidare nelle sfide globali che abbiamo davanti, dal cambiamento climatico alla minaccia del terrorismo ai grandi flussi migratori. Quale Europa può essere in grado di portarci attraverso tutto questo scenario complicato, che non è in alcun modo gestibile a livello nazionale. Ecco, io credo che solo una federazione permetterebbe all'Europa di dare risposte forte e unitarie. Da Milano ad Amsterdam, da Madrid a Roma il destino di questi territori è un destino comune.

Un'Europa federale deve avere anche mezzi, per questo parlo spesso di un bilancio federale. Attualmente il bilancio dell'Unione europea rappresenta l'1% del Pil dei paesi membri mentre il bilancio federale degli Stati Uniti d'America è il 25% del Pil. Quindi, se vogliamo fare sul serio dobbiamo cominciare dalle risorse che non possono arrivare senza una decisione politica in senso federale. Ecco perché su questo punto dobbiamo insistere perché altrimenti ci troviamo ad accusare l'Europa che però non ha gli strumenti per poter dare risposta ai nostri problemi.

A un'Europa federale, poi, bisogna arrivare in modo democratico. Serve un rafforzamento del Parlamento europeo e bisognerà ragionare in termini di rappresentanza. Oggi ogni Paese ha le proprie liste elettorali, i deputati eletti magari appartengono a partiti che in altri paesi non esistono e si presentano con i simboli dei partiti nazionali. Ecco, allora, forse si dovrebbero avere liste transnazionali, con simboli di famiglie politiche uguali in tutta Europa. Così sarebbe più chiaro che l'interesse nazionale combacia con l'interesse europeo e che se l'Europa è forte più tutti siamo più forti. Certo è un punto sul quale credo ci sia parecchio da fare, ma spero che ci sia la possibilità di ragionare. E c'è un'altra questione sulla quale riflettere: chi dovrà far parte della federazione europea? Noi adesso siamo 28 Paesi, a me piacerebbe molto andare avanti tutti insieme, ma dobbiamo essere realisti e non ci deve scandalizzare l'idea che ci possano essere due cerchi uno a 28 e l'altro che comprenda i Paesi dell'euro zona, che condivide una moneta.

In questo spazio si potrebbe pensare ad un ministro delle finanze o del tesoro unico, con un bilancio adeguato ma ci vorrebbe anche un ministro dell'economia che si occupi delle politiche del lavoro e industriali comuni, un ministro degli affari sociali. Insomma, ci vorrebbe un assetto completo di governo, non solo un superministro magari messo lì a controllare i conti e nient'altro. Non è questo che ci serve, ci vuole una struttura che consenta una gestione della eurozona come entità unica che ci rappresenti tutti.

Insomma, ci possono essere tante soluzioni ma certo c'è bisogno di una legittimità democratica e di creare il demos europeo, il senso della cittadinanza. Oggi la cittadinanza europea è derivata da quella nazionale e per diventare cittadino in Francia e in Italia o in Spagna ci sono procedure e criteri completamenti diverse. Armonizzarli mi sembra il minimo per stimolare il senso di cittadinanza e dare un segnale chiaro e forte dal punto di vista dei diritti sociali.

L'Europa è il continente dei diritti umani e i suoi cittadini mai e poi mai dovrebbero essere lasciati al proprio destino in un momento di difficoltà o di indigenza. Ecco perché propongo anche una forma di reddito minimo di dignità, erogato dall'Europa non dagli Stati nazionali. Sarebbe un elemento identitario della cittadinanza europea. Infine, dovremmo fare un'altra cosa: rafforzare gli strumenti di democrazia partecipativa. Oggi i cittadini si possono mettere insieme, raccogliere le firme per chiedere dei provvedimenti speciali che ritengono importanti. Ebbene, questo strumento c'è e fino ad ora 6 milioni di cittadini hanno sostenuto 51 proposte di iniziativa popolare. Ma solo tre sono state dichiarate ricevibili. In questo modo questa sistema di democrazia partecipativa diventa un miraggio e cresce l'amarezza dei cittadini.

Su tutti questi fronti bisogna agire subito perché ci sono movimenti e partiti che mettono al centro della propria agenda l'antieuropeismo e più tempo passa in questa situazione più loro diventano forti e acquisiscono buone ragioni perché questa Europa è difficilmente difendibile. Dobbiamo essere ambiziosi e se il 2015 è stato l'anno della crisi più profonda, spero che il 2016 sia invece sia l'anno in cui tutti quanti saremo in grado di dare nuovo impulso al progetto europeo e di andare avanti per la strada che venne tracciata nel 1941 a Ventotene: la strada degli Stati Uniti d'Europa.

Vi ringrazio.