Intervento della Presidente alla I Sessione della Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti del Consiglio d'Europa, dal titolo 'La crisi dell'immigrazione e dei rifugiati in Europa Ruolo e responsabilità dei Parlamenti'
Presidente Agramunt, la ringrazio per avermi dato la parola. Onorevoli colleghi, permettetemi di iniziare ponendovi una domanda: quando un flusso migratorio può essere considerato una 'crisi'?
Vi sottopongo questa domanda dopo essere stata recentemente in Libano, un Paese di 4,5 milioni di abitanti che ha accolto quasi due milioni di rifugiati. La situazione in quel piccolo Stato dove scarseggiano le risorse ed abbondano le tensioni inter-confessionali è, effettivamente, una situazione di crisi.
Ma l'arrivo di poco più di un milione di persone in un continente di 820 milioni di abitanti può essere considerato una crisi? La risposta dovrebbe essere: "no". Lo diventa se, invece di agire in maniera coordinata, ognuno agisce per sé, magari innalzando muri e barriere. E allora questa crisi diventa più di una crisi dei rifugiati e diventa una crisi dei nostri valori fondativi. Diventa una crisi se si scarica la gestione del flusso su una manciata di Paesi: la Grecia del Presidente Voutsis - che ringrazio, anche dopo la mia visita a Lesbo, dove ho visto gli sforzi fatti - e l'Italia, Stati frontalieri; e una parte del Nord Europa, mèta dei richiedenti asilo, che lì intravedono migliori prospettive di vita.
Diventa una crisi se si ritiene che la solidarietà sia a senso unico, se vogliamo ricevere assistenza nei periodi difficili, ma non vogliamo contribuire ad aiutare gli altri membri della famiglia europea quando ne hanno bisogno.
L'arrivo di un milione di richiedenti asilo e migranti costituisce una crisi, infine, se, a causa della mancanza di standard comuni di accoglienza in tutta Europa, le persone in fuga da guerre e persecuzioni cercano di raggiungere i Paesi dove beneficiano di servizi migliori e, dunque, le possibilità d'integrazione sono maggiori. Ma credo che ognuno di noi lo farebbe: in fuga da un bombardamento, o dai tagliagole dell'ISIS, anche noi andremmo dove si sta meglio.
La colpa della crisi, dunque, non è dei rifugiati. La crisi, cari colleghi, è dovuta al fatto che abbiamo deciso, in larga misura, di agire in maniera individuale e non collettiva. Abbiamo subìto gli accadimenti anziché prevederli, anche se, con milioni di rifugiati fuori dai propri Paesi, non è difficile immaginare che, al tempo della globalizzazione, qualcuno di essi voglia andare più lontano e non fermarsi negli Stati confinanti.
In questa crisi, i Parlamenti a volte sono stati poco propositivi e non hanno ascoltato abbastanza gli esperti, la società civile e le loro proposte. Non sempre hanno cercato di trasporre le raccomandazioni delle organizzazioni internazionali, comprese le varie articolazioni del Consiglio d'Europa, nella normativa o nelle politiche interne.
In un mondo in cui sono oltre 63 milioni le persone costrette a fuggire dalle proprie case, più della popolazione italiana, possiamo semplicemente trovare soluzioni-tampone come chiudere temporaneamente una rotta? E' così che pensiamo di risolvere il problema? Possiamo voltare la testa dell'altra parte, delegando l'accoglienza dei rifugiati a Paesi che non sempre rispettano i diritti umani, quando solo il 6% dei rifugiati al mondo è ospitato in Europa? Possiamo non impegnarci fino in fondo per porre fine ai conflitti che ci circondano, puntando l'attenzione sul vero deficit dei nostri tempi, il deficit di pace? Tutto intorno a noi - a sud, a est - ci sono conflitti.
Cari colleghi e care colleghe, il Consiglio d'Europa fu fondato, sessantasette anni fa, come prima organizzazione regionale basata sul rispetto e la tutela dei diritti umani. I diritti di tutti, i diritti dei cittadini e dei non cittadini.
Nella Giornata mondiale della Democrazia - oggi, 15 settembre - ricordiamoci che, senza diritti, senza il rispetto dei diritti di tutti, dei diritti fondativi della nostra Europa, la democrazia non può esistere e rischia di diventare una scatola vuota.
Intervento della Presidente alla I Sessione della Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti del Consiglio d'Europa, dal titolo 'La crisi dell'immigrazione e dei rifugiati in Europa Ruolo e responsabilità dei Parlamenti'
Presidente Agramunt, la ringrazio per avermi dato la parola. Onorevoli colleghi, permettetemi di iniziare ponendovi una domanda: quando un flusso migratorio può essere considerato una 'crisi'?
Vi sottopongo questa domanda dopo essere stata recentemente in Libano, un Paese di 4,5 milioni di abitanti che ha accolto quasi due milioni di rifugiati. La situazione in quel piccolo Stato dove scarseggiano le risorse ed abbondano le tensioni inter-confessionali è, effettivamente, una situazione di crisi.
Ma l'arrivo di poco più di un milione di persone in un continente di 820 milioni di abitanti può essere considerato una crisi? La risposta dovrebbe essere: "no". Lo diventa se, invece di agire in maniera coordinata, ognuno agisce per sé, magari innalzando muri e barriere. E allora questa crisi diventa più di una crisi dei rifugiati e diventa una crisi dei nostri valori fondativi. Diventa una crisi se si scarica la gestione del flusso su una manciata di Paesi: la Grecia del Presidente Voutsis - che ringrazio, anche dopo la mia visita a Lesbo, dove ho visto gli sforzi fatti - e l'Italia, Stati frontalieri; e una parte del Nord Europa, mèta dei richiedenti asilo, che lì intravedono migliori prospettive di vita.
Diventa una crisi se si ritiene che la solidarietà sia a senso unico, se vogliamo ricevere assistenza nei periodi difficili, ma non vogliamo contribuire ad aiutare gli altri membri della famiglia europea quando ne hanno bisogno.
L'arrivo di un milione di richiedenti asilo e migranti costituisce una crisi, infine, se, a causa della mancanza di standard comuni di accoglienza in tutta Europa, le persone in fuga da guerre e persecuzioni cercano di raggiungere i Paesi dove beneficiano di servizi migliori e, dunque, le possibilità d'integrazione sono maggiori. Ma credo che ognuno di noi lo farebbe: in fuga da un bombardamento, o dai tagliagole dell'ISIS, anche noi andremmo dove si sta meglio.
La colpa della crisi, dunque, non è dei rifugiati. La crisi, cari colleghi, è dovuta al fatto che abbiamo deciso, in larga misura, di agire in maniera individuale e non collettiva. Abbiamo subìto gli accadimenti anziché prevederli, anche se, con milioni di rifugiati fuori dai propri Paesi, non è difficile immaginare che, al tempo della globalizzazione, qualcuno di essi voglia andare più lontano e non fermarsi negli Stati confinanti.
In questa crisi, i Parlamenti a volte sono stati poco propositivi e non hanno ascoltato abbastanza gli esperti, la società civile e le loro proposte. Non sempre hanno cercato di trasporre le raccomandazioni delle organizzazioni internazionali, comprese le varie articolazioni del Consiglio d'Europa, nella normativa o nelle politiche interne.
In un mondo in cui sono oltre 63 milioni le persone costrette a fuggire dalle proprie case, più della popolazione italiana, possiamo semplicemente trovare soluzioni-tampone come chiudere temporaneamente una rotta? E' così che pensiamo di risolvere il problema? Possiamo voltare la testa dell'altra parte, delegando l'accoglienza dei rifugiati a Paesi che non sempre rispettano i diritti umani, quando solo il 6% dei rifugiati al mondo è ospitato in Europa? Possiamo non impegnarci fino in fondo per porre fine ai conflitti che ci circondano, puntando l'attenzione sul vero deficit dei nostri tempi, il deficit di pace? Tutto intorno a noi - a sud, a est - ci sono conflitti.
Cari colleghi e care colleghe, il Consiglio d'Europa fu fondato, sessantasette anni fa, come prima organizzazione regionale basata sul rispetto e la tutela dei diritti umani. I diritti di tutti, i diritti dei cittadini e dei non cittadini.
Nella Giornata mondiale della Democrazia - oggi, 15 settembre - ricordiamoci che, senza diritti, senza il rispetto dei diritti di tutti, dei diritti fondativi della nostra Europa, la democrazia non può esistere e rischia di diventare una scatola vuota.