Saluto introduttivo alla conferenza ‘Safe from fear. Safe from violence’
Sono molto lieta di aprire i lavori di questo convegno organizzato dalla Delegazione italiana alla Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa e dedicato alla Convenzione di Istanbul e alle iniziative per il contrasto alla violenza contro le donne.
Saluto la Ministra per le riforme e i rapporti con il Parlamento, con delega per le pari opportunità, Maria Elena Boschi, il Presidente della Delegazione italiana Michele Nicoletti, la Presidente della Commissione uguaglianza e non discriminazione dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, Elena Centemero, le componenti del Gruppo di esperti sulla lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica del Consiglio d'Europa, Simona Lanzoni, Rosa Logar, Vesna Ratkovic, i componenti del Comitato scientifico del Premio dedicato alla Convenzione di Istanbul. Saluto tutti i parlamentari presenti e gli ospiti in questa sala.
Un saluto speciale va a Mary Beard, Professoressa di lettere classiche all'Università di Cambridge, che ho avuto il piacere di conoscere in una precedente occasione. La professoressa Beard non è solo una delle maggiori conoscitrici del mondo classico e autrice di molte opere sulla civiltà romana. E' anche una personalità molto impegnata proprio sul fronte della difesa della dignità delle donne. Sono certa che la Lectio magistralis che fra poco svolgerà sarà ricca di elementi di ispirazione per tutti noi.
Per introdurre questo convegno vorrei partire proprio da una vicenda personale che ha coinvolto la professoressa Beard e che credo sia un buon inizio per il nostro incontro.
Nel gennaio 2013 Mary Beard diventa vittima di pesantissimi attacchi online in seguito alla partecipazione ad una trasmissione della BBC nel corso della quale aveva messo in discussione che la presenza di migranti nel Regno Unito fosse a detrimento del sistema del welfare. Nell'affermare questo, Mary Beard si scava la fossa. Va a casa, apre il computer, si collega a internet e comincia a vedere una serie di violentissimi attacchi nei suoi confronti, tutti chiaramente a sfondo sessista. Ci pensa e ci ripensa, non le va giù il fatto che - per aver affermato una cosa peraltro vera, in Inghilterra come in Italia come in tutti gli altri Paesi - lei debba subire tutto questo. E allora che fa? Decide di conoscere i suoi aggressori, li vuole vedere in faccia, ci vuole parlare. Uno di questi - uno dei più violenti, che si esprime con il proprio nome e cognome e non con un fake - si scopre essere il figlio di una sua conoscente. E questa signora viene informata da Mary che il figlio ha usato questo termine ai suoi danni. La madre di questo ragazzo ci parla e Mary lo incontra. E' uno studente che aveva scritto cose terrificanti, ma quando la incontra non sa più che dire. Si prostra, chiede scusa, dice che non sa perché lo ha fatto, non sa motivare la ragione profonda di tanta violenza. Lei accetta le sue scuse, capisce che questo ragazzo è seriamente pentito di quanto ha fatto. Lui non trova più lavoro, perché il caso è arrivato ai giornali e quindi si sa che è stato lui a scrivere cose irripetibili. E' a questo punto che Mary, convinta della buona fede di questo ragazzo che ha capito il suo errore, scrive una lettera di presentazione per fargli avere il lavoro che non riesce più a trovare.
Questa storia dimostra quante facce abbia la violenza. La violenza ha la faccia feroce della violenza fisica. Entrando stamattina a Palazzo Montecitorio avrete forse notato il drappo rosso che pende da una delle finestre della facciata. Quel drappo l'ho voluto esporre in segno di protesta, quasi di rivolta contro la violenza sulle donne. L'ho fatto all'indomani di femminicidio particolarmente brutale avvenuto a Roma, dove una studentessa è stata uccisa e bruciata dal suo ex compagno. L'ho fatto perché credo che le istituzioni non possano essere insensibili rispetto ad una piaga come questa.
Ma la violenza ha anche la faccia disgustosa dell'attacco verbale, e molti si nascondono dietro lo scudo dell'anonimato. Neanche il coraggio di metterci la faccia. E devo dire che la piattaforme digitali non aiutano molto. Io sono abbastanza delusa da come affrontano il tema della violenza, perché rimettono tutto alla responsabilità della vittima della violenza: "cancella il messaggio" e il problema non esiste più. In audizione alla Commissione Jo Cox - la Commissione contro la violenza, l'odio e la discriminazione, che abbiamo voluto dedicare alla giovane deputata laburista inglese uccisa a causa dell'odio politico - abbiamo avuto i due più grandi social media: Facebook e Twitter. E cosa ci hanno detto? Ci hanno detto che il loro impegno è di facilitare la cancellazione del messaggio violento. Ma il messaggio violento, anche se io lo cancello, circola comunque. Non può essere questo il modo di affrontare un tema così profondo e grave.
E noi donne non possiamo accettare che per stare sulle piattaforme digitali - che sono un grande spazio di opportunità e di libertà - dobbiamo abbassare la testa e subire tutto questo. O subiamo la violenza o dobbiamo uscire dallo spazio digitale. Io non accetto questa alternativa, e trovo che tutte noi dobbiamo fare di più per non abituarci a questo. Non è normale che, per usare uno strumento che dovrebbe dare a tutti delle opportunità, noi donne dobbiamo subire una violenza che ci ferisce profondamente. Non lo voglio per noi e non lo voglio per le nostre figlie.
Dobbiamo lavorare su più piani. Oggi siamo qui per un premio che viene da un passaggio molto importante. La Convenzione di Istanbul è una pietra miliare, perché stabilisce un punto fondamentale: che la violenza sulle donne è una violazione dei diritti umani, e come tale va trattata. Vedete il salto che ci fa fare, questa Convenzione: la violenza sulle donne non è un affare privato, da gestire in silenzio e a casa, in solitudine. E' una piaga che riguarda l'intera società e lo Stato, perché oltre ad essere eticamente inaccettabile la violenza sulle donne costa: una donna maltrattata avrà bisogno delle cure mediche e psicologiche, dell'assistenza legale, non potrà andare al lavoro. Dunque noi ci dobbiamo occupare della violenza sulle donne a pieno titolo, come istituzioni. Molto abbiamo fatto in questa legislatura: la ratifica della Convenzione è stato il primo atto di questa legislatura. Abbiamo lavorato anche sulle misure repressive, con il decreto sul femminicidio che è diventato legge: abbiamo inasprito le pene per molti reati. Ma abbiamo anche cercato di andare oltre la repressione e fare un lavoro più culturale. La Ministra dell'Istruzione ha lavorato alle linee-guida per insegnare a scuola l'educazione di genere. Linee-guida che dovrebbero essere pronte a breve. E in questa Camera ci sono diverse proposte di legge per inserire l'educazione sentimentale a scuola: che è fondamentale per insegnare il rispetto, perché l'amore non è sopraffazione, ma è saper vivere insieme in armonia.
Nonostante ciò, i numeri ci riportano ad una realtà che è un bollettino di guerra. L'ultimo rapporto Istat ci dice che 6 milioni 788 mila donne hanno subito nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale, il 31,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni.
Il 62,7% degli stupri è commesso da un partner attuale o precedente, dunque a casa, in famiglia. Trovo che sia un dato allarmante, che ci ripropone la "violenza mascherata da amore" della quale ho parlato qui dal mio primo discorso come Presidente della Camera.
Credo che le azioni di sensibilizzazione siano importantissime e quindi mi piacere che la delegazione italiana presso l'assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa abbia promosso il Premio per la migliore tesi di laurea magistrale e di dottorato sul tema del contrasto alla violenza contro le donne, con una sinergia tra il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, la Conferenza dei rettori delle università italiane e il Dipartimento per le pari opportunità.
Allora, prima di chiudere, vorrei dire una cosa che ritengo non sia scontata. La violenza sulle donne riguarda tutti. Se colpisce le donne, è un problema degli uomini. E allora agli uomini violenti voglio ripetere: rassegnatevi! arrendetevi! Perché noi donne non torneremo mai indietro, non rinunceremo mai alle nostre libertà, deve essere chiaro.
Ma ai non violenti voglio dire un'altra cosa: fatevi vedere, metteteci la faccia, mettete i violenti all'angolo, fateli sentire indegni di essere uomini! Siate con noi in questa battaglia, perché va a vantaggio di tutti, non solo delle donne. Una società che non rispetta le donne è una società che calpesta i diritti di tutti. Vorrei vedere più uomini a fare questa battaglia, vorrei che nei loro discorsi ci fosse questo tema; che diventasse prioritario nell'agenda politica ma anche in quella sociale di tutti gli uomini che, come noi, detestano la violenza e non vogliano che venga fatta a loro nome.
Saluto introduttivo alla conferenza ‘Safe from fear. Safe from violence’
Sono molto lieta di aprire i lavori di questo convegno organizzato dalla Delegazione italiana alla Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa e dedicato alla Convenzione di Istanbul e alle iniziative per il contrasto alla violenza contro le donne.
Saluto la Ministra per le riforme e i rapporti con il Parlamento, con delega per le pari opportunità, Maria Elena Boschi, il Presidente della Delegazione italiana Michele Nicoletti, la Presidente della Commissione uguaglianza e non discriminazione dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, Elena Centemero, le componenti del Gruppo di esperti sulla lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica del Consiglio d'Europa, Simona Lanzoni, Rosa Logar, Vesna Ratkovic, i componenti del Comitato scientifico del Premio dedicato alla Convenzione di Istanbul. Saluto tutti i parlamentari presenti e gli ospiti in questa sala.
Un saluto speciale va a Mary Beard, Professoressa di lettere classiche all'Università di Cambridge, che ho avuto il piacere di conoscere in una precedente occasione. La professoressa Beard non è solo una delle maggiori conoscitrici del mondo classico e autrice di molte opere sulla civiltà romana. E' anche una personalità molto impegnata proprio sul fronte della difesa della dignità delle donne. Sono certa che la Lectio magistralis che fra poco svolgerà sarà ricca di elementi di ispirazione per tutti noi.
Per introdurre questo convegno vorrei partire proprio da una vicenda personale che ha coinvolto la professoressa Beard e che credo sia un buon inizio per il nostro incontro.
Nel gennaio 2013 Mary Beard diventa vittima di pesantissimi attacchi online in seguito alla partecipazione ad una trasmissione della BBC nel corso della quale aveva messo in discussione che la presenza di migranti nel Regno Unito fosse a detrimento del sistema del welfare. Nell'affermare questo, Mary Beard si scava la fossa. Va a casa, apre il computer, si collega a internet e comincia a vedere una serie di violentissimi attacchi nei suoi confronti, tutti chiaramente a sfondo sessista. Ci pensa e ci ripensa, non le va giù il fatto che - per aver affermato una cosa peraltro vera, in Inghilterra come in Italia come in tutti gli altri Paesi - lei debba subire tutto questo. E allora che fa? Decide di conoscere i suoi aggressori, li vuole vedere in faccia, ci vuole parlare. Uno di questi - uno dei più violenti, che si esprime con il proprio nome e cognome e non con un fake - si scopre essere il figlio di una sua conoscente. E questa signora viene informata da Mary che il figlio ha usato questo termine ai suoi danni. La madre di questo ragazzo ci parla e Mary lo incontra. E' uno studente che aveva scritto cose terrificanti, ma quando la incontra non sa più che dire. Si prostra, chiede scusa, dice che non sa perché lo ha fatto, non sa motivare la ragione profonda di tanta violenza. Lei accetta le sue scuse, capisce che questo ragazzo è seriamente pentito di quanto ha fatto. Lui non trova più lavoro, perché il caso è arrivato ai giornali e quindi si sa che è stato lui a scrivere cose irripetibili. E' a questo punto che Mary, convinta della buona fede di questo ragazzo che ha capito il suo errore, scrive una lettera di presentazione per fargli avere il lavoro che non riesce più a trovare.
Questa storia dimostra quante facce abbia la violenza. La violenza ha la faccia feroce della violenza fisica. Entrando stamattina a Palazzo Montecitorio avrete forse notato il drappo rosso che pende da una delle finestre della facciata. Quel drappo l'ho voluto esporre in segno di protesta, quasi di rivolta contro la violenza sulle donne. L'ho fatto all'indomani di femminicidio particolarmente brutale avvenuto a Roma, dove una studentessa è stata uccisa e bruciata dal suo ex compagno. L'ho fatto perché credo che le istituzioni non possano essere insensibili rispetto ad una piaga come questa.
Ma la violenza ha anche la faccia disgustosa dell'attacco verbale, e molti si nascondono dietro lo scudo dell'anonimato. Neanche il coraggio di metterci la faccia. E devo dire che la piattaforme digitali non aiutano molto. Io sono abbastanza delusa da come affrontano il tema della violenza, perché rimettono tutto alla responsabilità della vittima della violenza: "cancella il messaggio" e il problema non esiste più. In audizione alla Commissione Jo Cox - la Commissione contro la violenza, l'odio e la discriminazione, che abbiamo voluto dedicare alla giovane deputata laburista inglese uccisa a causa dell'odio politico - abbiamo avuto i due più grandi social media: Facebook e Twitter. E cosa ci hanno detto? Ci hanno detto che il loro impegno è di facilitare la cancellazione del messaggio violento. Ma il messaggio violento, anche se io lo cancello, circola comunque. Non può essere questo il modo di affrontare un tema così profondo e grave.
E noi donne non possiamo accettare che per stare sulle piattaforme digitali - che sono un grande spazio di opportunità e di libertà - dobbiamo abbassare la testa e subire tutto questo. O subiamo la violenza o dobbiamo uscire dallo spazio digitale. Io non accetto questa alternativa, e trovo che tutte noi dobbiamo fare di più per non abituarci a questo. Non è normale che, per usare uno strumento che dovrebbe dare a tutti delle opportunità, noi donne dobbiamo subire una violenza che ci ferisce profondamente. Non lo voglio per noi e non lo voglio per le nostre figlie.
Dobbiamo lavorare su più piani. Oggi siamo qui per un premio che viene da un passaggio molto importante. La Convenzione di Istanbul è una pietra miliare, perché stabilisce un punto fondamentale: che la violenza sulle donne è una violazione dei diritti umani, e come tale va trattata. Vedete il salto che ci fa fare, questa Convenzione: la violenza sulle donne non è un affare privato, da gestire in silenzio e a casa, in solitudine. E' una piaga che riguarda l'intera società e lo Stato, perché oltre ad essere eticamente inaccettabile la violenza sulle donne costa: una donna maltrattata avrà bisogno delle cure mediche e psicologiche, dell'assistenza legale, non potrà andare al lavoro. Dunque noi ci dobbiamo occupare della violenza sulle donne a pieno titolo, come istituzioni. Molto abbiamo fatto in questa legislatura: la ratifica della Convenzione è stato il primo atto di questa legislatura. Abbiamo lavorato anche sulle misure repressive, con il decreto sul femminicidio che è diventato legge: abbiamo inasprito le pene per molti reati. Ma abbiamo anche cercato di andare oltre la repressione e fare un lavoro più culturale. La Ministra dell'Istruzione ha lavorato alle linee-guida per insegnare a scuola l'educazione di genere. Linee-guida che dovrebbero essere pronte a breve. E in questa Camera ci sono diverse proposte di legge per inserire l'educazione sentimentale a scuola: che è fondamentale per insegnare il rispetto, perché l'amore non è sopraffazione, ma è saper vivere insieme in armonia.
Nonostante ciò, i numeri ci riportano ad una realtà che è un bollettino di guerra. L'ultimo rapporto Istat ci dice che 6 milioni 788 mila donne hanno subito nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale, il 31,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni.
Il 62,7% degli stupri è commesso da un partner attuale o precedente, dunque a casa, in famiglia. Trovo che sia un dato allarmante, che ci ripropone la "violenza mascherata da amore" della quale ho parlato qui dal mio primo discorso come Presidente della Camera.
Credo che le azioni di sensibilizzazione siano importantissime e quindi mi piacere che la delegazione italiana presso l'assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa abbia promosso il Premio per la migliore tesi di laurea magistrale e di dottorato sul tema del contrasto alla violenza contro le donne, con una sinergia tra il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, la Conferenza dei rettori delle università italiane e il Dipartimento per le pari opportunità.
Allora, prima di chiudere, vorrei dire una cosa che ritengo non sia scontata. La violenza sulle donne riguarda tutti. Se colpisce le donne, è un problema degli uomini. E allora agli uomini violenti voglio ripetere: rassegnatevi! arrendetevi! Perché noi donne non torneremo mai indietro, non rinunceremo mai alle nostre libertà, deve essere chiaro.
Ma ai non violenti voglio dire un'altra cosa: fatevi vedere, metteteci la faccia, mettete i violenti all'angolo, fateli sentire indegni di essere uomini! Siate con noi in questa battaglia, perché va a vantaggio di tutti, non solo delle donne. Una società che non rispetta le donne è una società che calpesta i diritti di tutti. Vorrei vedere più uomini a fare questa battaglia, vorrei che nei loro discorsi ci fosse questo tema; che diventasse prioritario nell'agenda politica ma anche in quella sociale di tutti gli uomini che, come noi, detestano la violenza e non vogliano che venga fatta a loro nome.
Vi ringrazio.