03/05/2017
Montecitorio, Sala della Regina

Saluto introduttivo all’incontro ‘A Montecitorio due nuovi busti: Salvatore Morelli e Anna Maria Mozzoni, femministi nell’800. E i femministi di oggi?’

Buongiorno a tutte e a tutti.

Saluto le relatrici e i relatori che stamattina ci accompagneranno: la professoressa Maria Grazia Colombari, l'onorevole Livia Turco e il nostro moderatore Giorgio Zanchini.

Quest'oggi avremo delle sorprese, perché la Sala delle Donne - che abbiamo voluto istituire poco meno di un anno fa nella sala adiacente a questa, e che probabilmente avete già visitato - si arricchirà di due busti e di un nuovo ritratto.

Cominciamo dai primi due: i busti, a Montecitorio, non mancano. Ne avevamo già 57, non pochi. Ma tra questi solo uno era di donna, della Presidente Nilde Iotti. Tutti gli altri sono personalità insigni del nostro Risorgimento e del percorso della nostra Repubblica. Però sono tutti al maschile. Quindi ho pensato che fosse una buona idea arricchire la collezione con un'altra presenza femminile. Una donna straordinaria che non poteva non essere riconosciuta come tale, che è stata una combattente per i diritti delle donne. A lei dobbiamo molto, è stata forse la nostra prima suffragetta. Già nel 1877 organizzò una petizione per il voto alle donne. Il suo nome è Annamaria Mozzoni ed è una figura speciale, una conferenziera instancabile che girava in lungo e in largo per il Paese cercando di sollecitare l'entusiasmo delle donne per reclamare i loro diritti. Noi abbiamo ancora bisogno di figure così. Le nostre giovani devono ispirarsi a figure come queste. Una pioniera, della quale adesso vi mostro il ritratto.

Qui alla mia sinistra, invece, ho quest'altro busto, che è ancora coperto. Ritrae un uomo che finirà nella Sala delle Donne. Questo signore è un uomo straordinario, di grande visione, una figura a cui noi donne dobbiamo molto.

Fu deputato nella X e nella XII legislatura del Regno d'Italia, quindi parliamo di fine '800. A lui dobbiamo una proposta di legge per abolire la schiavitù femminile e dare i diritti civili e politici alle donne, incluso il diritto al voto. Con la proposta di cui vi dicevo, fatta nel 1867, questo deputato si scavò la fossa politica. Da quel momento, infatti, venne deriso e delegittimato costantemente. Ogni volta che stava in Aula veniva dileggiato. La satira lo ritraeva con grandi vesti da donna, femminiello, rappresentandolo come se fosse un personaggio assolutamente ridicolo solo perché immaginava una società in cui anche le donne potevano avere il diritto di esprimere le loro opinioni.

Morelli è un personaggio straordinario - la professoressa poi ce ne parlerà in dettaglio - ma io voglio aggiungere che di lui non ricordiamo solo l'eroica proposta per le donne. Morelli, infatti, venne mandato al confino a Ventotene e lì si contraddistinse per la sua capacità di condividere il sapere: cominciò a insegnare agli abitanti dell'isola, non solo ai ragazzini ma anche agli adulti. Ci fu un giorno un incidente in mare, dei ragazzini rischiavano di morire affogati, lui si gettò in acqua, li salvò e per questo gli venne concessa la libertà. Una libertà che lui rifiutò e che preferì passare a un altro confinato, perché padre di famiglia con quattro figli a carico.

Voglio ringraziare Andrea Fogli, l'artista che ha realizzato le opere che state vedendo. Lui stesso ci dirà come ha voluto restituire le immagini di queste due personalità. Io posso dire che mi è piaciuta la scelta di utilizzare la terracotta, un materiale bello ma povero, che non ha molto a che vedere con il marmo ma è capace di restituire verità e concretezza.

E saluto qui oggi anche il sindaco di Carovigno, in provincia di Brindisi, Carmine Pasquale Brandi, il paese natale di Salvatore Morelli, che ha voluto essere qui oggi. Così come la scuola che oggi sta assistendo a questa inaugurazione, l'istituto primario Salvatore Morelli.

Ma, come dicevo, le sorprese non sono finite, perché oggi inauguriamo anche un nuovo ritratto per la Sala delle Donne: un'altra sindaca del 1946. Quando ho voluto istituire questo spazio per rendere omaggio alle prime donne delle istituzioni repubblicane, mi sono trovata di fronte alla mancanza di documentazione. Nessuno aveva mai pensato di fare una ricerca sulle prime sindache del 1946. Quindi abbiamo cominciato a lavorare negli archivi, e, con il Ministero dell'Interno, abbiamo tirato fuori dieci figure di sindache elette nel '46. Ce ne mancava una, abbiamo omesso l'undicesima sindaca - forse magari ce ne sarà una dodicesima, una tredicesima, questo non lo so - ma comunque adesso siamo venuti a conoscenza dell'elezione in quella prima tornata elettorale anche di Ines Nervi Carratelli, prima cittadina di San Pietro in Amantea, in provincia di Cosenza, eletta nel marzo del '46. Qui c'è il sindaco Gioacchino Lorelli, che saluto e ringrazio per essere venuto.

A Montecitorio, in questa legislatura, abbiamo anche organizzato una mostra per i 70 anni, a mio avviso molto bella - nella quale hanno trovato spazio anche le figure di questi due personaggi meravigliosi. La mostra si intitola "1946. L'anno della svolta. Le donne al voto" e vi invito a vederla, perché anche se non è più nella sale di Montecitorio oggi si può consultare sul sito della Camera. Troverete tutta la storia del lungo percorso che hanno fatto le donne nel nostro Paese, ovviamente raccontato attraverso gli atti parlamentari.

Oggi questa iniziativa ha un titolo un po' provocatorio: i femministi dell'800. E la domanda che faccio è: e i femministi di oggi dove sono? Ne abbiamo oggi di femministi? A me sembra che sulle questioni femminili ci sia un po' di silenzio, è calata l'attenzione che invece sarebbe auspicabile fosse ancora alta. Credo che tutti quanti dovremmo essere femministi, se per femminismo s'intende adoperarsi per fare in modo di vivere in un Paese dove ci siano gli stessi diritti per uomini e donne. In altri Paesi, presidenti e capi di Stato si sono definiti femministi. Lo ha fatto più volte e lo ha scritto il presidente Obama. Il presidente Trudeau ha fatto altrettanto.

In Italia io non ho sentito molti esponenti politici maschi affermare, apertamente e con convinzione, di essere femministi. Ma, comunque, nutro la speranza che questo accada anche da noi.

Perché farlo? Perché il futuro dell'umanità sarà un futuro a metà se non riusciremo a promuovere lo sviluppo delle donne. Perché se noi immaginiamo il futuro, questo può essere una replica del presente o qualcosa di molto diverso.

Immaginiamo un futuro in cui le donne non partano svantaggiate; un futuro in cui le donne non siano più le prime vittime di diseguaglianza e povertà, come oggi. Sradicare la povertà significa prima di tutto liberare le donne, perché le donne sono le prime vittime della povertà.

Immaginiamo un futuro in cui donne e uomini abbiano uguale accesso al mercato del lavoro, perché oggi non è così: in Italia solo il 48% delle donne lavora, e questo ci porta a essere fanalino di coda rispetto alla media europea del 60%.

Immaginiamo anche un futuro in cui le donne ai vertici delle aziende non siano delle mosche bianche, su cui scrivere tanti articoli perché sono delle eccezioni. Oppure un futuro in cui non ci sia bisogno delle cosiddette quote rosa per essere rappresentate in politica. Immaginiamocelo, perché è possibile che questo accada.

Immaginiamo un futuro in cui le donne e gli uomini siano pagati allo stesso modo. Chiediamo troppo? Un futuro in cui non faccia notizia che un imprenditore assuma una donna incinta al nono mese. Anche questo futuro vorrei immaginarmi.

Immaginiamo un futuro in cui le donne possano avere lo stesso accesso all'educazione che hanno gli uomini. A oggi il 60% degli adulti analfabeti è costituito da donne; eppure i Paesi che crescono di più sono quelli in cui le donne hanno più accesso al sistema educativo. Ciò nonostante il gap è ancora alto.

Immaginiamo un futuro libero dalla violenza sulle donne. Nel mondo il 35% delle donne è stato vittima di violenza fisica o psicologica. E io vorrei anche un futuro in cui non ci fosse più quella violenza sul web subdola e aggressiva ai danni delle donne. E vorrei arrivare a un giorno in cui gli insulti alle donne siano gli stessi rivolti agli uomini, e non a sfondo sessista come sistematicamente è oggi.

Vorrei un futuro in cui si guardi alle donne in un altro modo, in cui si parli alle donne in un altro modo, si pensi alle donne diversamente rispetto a oggi. Mi auguro che nel futuro immediato ci siano tante scienziate quanti scienziati; e se poi le donne avranno la possibilità di andare sulla luna non si pensi al tipo di capelli e non si facciano articoli sull'acconciatura di chi va nello spazio, come purtroppo accade oggi.

Di certo c'è ancora moltissimo da fare, e chi ha ruoli pubblici ha una enorme responsabilità. Per quanto mi riguarda questo tema è stato cruciale. Ne ho fatto una bandiera della mia Presidenza alla Camera. Con un impegno legislativo ma non solo.

L'ho fatto istituendo un "intergruppo donne", che alla Camera dei deputati non c'era mai stato. L'ho fatto perché le donne deputate devono riuscire a lavorare insieme anche quando appartengono a gruppi diversi per il bene delle donne.

L'ho fatto promuovendo incontri sulla produttività, con il mondo del lavoro, con i sindacati, con le parti sociali, perché il lavoro è essenziale per la libertà e se una donna vive in un contesto violento e non ha un lavoro ha molta più difficoltà a uscire da quel contesto.

E l'ho fatto anche attraverso l'affermazione del linguaggio di genere. In questa Camera per 70 anni non si è usato il genere femminile, eravamo tutti "deputati": "il deputato Laura Bianchi", "il ministro Maria Rossi", non esisteva il femminile. Ci dovevamo adattare: che importa, tanto il maschile va bene. Ma, al contrario, chiamare tutti "deputate" andrebbe bene? Sarebbero contenti gli uomini?

E poi anche gli atti simbolici contano. Per questo ho voluto la Sala delle Donne; per questo ho esposto il drappo rosso sulla facciata di Montecitorio contro il femminicidio; per questo mettiamo la bandiera a mezz'asta l'8 marzo in memoria delle donne che continuano a morire.

Anche gli atti simbolici hanno un peso. Bisogna fare in modo che non vengano considerati goliardate o manifestazioni un po' bizzarre. Qui, nella Sala delle Donne, ci sono tre specchi. Volevamo mettere le foto delle prime donne nelle più alte cariche delle nostre istituzioni, ma non avevamo foto perché mai nessuna donna aveva rivestito quei ruoli. Che foto dovevo mettere sopra la carica "Presidente del Consiglio", "Presidente del Senato", "Presidente della Repubblica"? Nessuna foto.

E allora ci ho messo lo specchio, scrivendo al suo fianco: "Potresti essere tu la prima". E' un modo per dire alle nostre giovani che con autostima, impegno, determinazione è possibile arrivarci. La nostra Costituzione non fa differenze.

Dunque, questi specchi sono un modo per immaginare un futuro diverso, che è la stessa cosa che avevano cercato di fare Morelli e Mozzoni. Loro lo volevano senza disparità, e a forza di volerlo, di desiderarlo, di sognarlo, sono riusciti a raggiungere alcuni obiettivi. Ma la strada è ancora lunga. Penso che ispirandoci a loro possiamo continuare con determinazione e sono sicura che poi i risultati arriveranno.

Vi ringrazio.